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Gianfranco Murtas

Risalendo la Fluminera. Trent’anni fa uscì l’antologia storico-fotografica di Villacidro curata da Marco Sardu e Angela Maria Fadda

di Gianfranco Murtas

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La recente comparsa in libreria di Sciapotei. Dizionario Enciclopedico Villacidrese, curato con infinita, resistente e ammirevole fatica, ed altrettanto amore alla sua comunità, da Salvatore Erbì, mi ha suscitato il desiderio di ributtare uno sguardo, rapido sì ma attento e selettivo, alla sezione libraria (con l’accompagnamento di emeroteca e carte sparse) intitolata a Villacidro, concapitale sentimentale del Medio Campidano, insieme con Sanluri, con Guspini, con San Gavino, l’Acquapiana dei racconti e dei romanzi di Giuseppe Dessì. Una sezione libraria e pubblicistica che ho messo su nell’arco di qualche decennio ed attualmente in corso di cospicua e massiva implementazione per le acquisizioni dai notiziari di circa un cinquantennio della “Nuova Sardegna”, come a coprire idealmente l’arco temporale che dall’indomani della morte accidentale di Giuseppe Fulgheri muove fino alla costituzione della prima sezione fascista di Norbio. Dopo le sindacature ed amministrazioni che di più hanno segnato la belle époque cidrese, da Cogotti sr a Cogotti jr, da Pinna ad Anni, a Sanneris a Piga, ecc., catino ambientale e propriamente sentimentale, oltre che civile, delle esperienze di vita e letterarie di un Bernardu De Linas alias Gigino Cadoni – per evocare un nome particolarmente caro – o di un Beppe Dessì ancora bambino e ragazzo, nelle alternanze di residenza con Cagliari. Le esperienze anche religiose dei confratelli del Rosario o di Santa Maria del Suffragio o ancora di Sant’Efisio e dei preti nell’organico parrocchiale di Santa Barbara, da don Francesco Luigi Sardu – già avvocato di Nurachi, vedovo e padre di famiglia, cognato del ben noto dottor Efisio Marini il medico pietrificatore dei cadaveri – a don Giuseppe Ortu, biografato anni fa Salvatore Curridori, che ha restituito alla conoscenza interessata e anche appassionata di molti la tracce altresì di un vita combattuta e generosa quale fu quella di Giuseppe Fulgheri.

Accompagnano questa mia sezione cidrese tutta cartacea, i quadri o le piccole sculture di Efisio Cadoni, e tutto ho fatto ruotare, nel nuovo allestimento, attorno a quel Risalendo la Fluminera. Fotomosaico di Villacidro che Marco Sardu e Angela Maria Fadda dettero alle stampe, dopo un lavoro compositivo di inimmaginabile pazienza, giusto trent’anni fa. 

Era l’11 novembre 1989 e nel mezzo pomeriggio di quel sabato ci trovammo nella Biblioteca comunale di via Nazionale in quanti…? centocinquanta, duecento ad ascoltarci reciprocamente, ed a gustare la prima visione di un libro fotografico bellissimo, di formato grande e taglio orizzontale, riunente nelle 314 pagine di carta lucida ben 289 fotografie chiamate a raccontare un secolo, o quasi, dagli anni ’90 dell’Ottocento agli anni ’80 del Novecento, la complessa e fascinosa realtà fisica e sociale di Villacidro. Fotografie tutte servite da una didascalia più o meno dettagliata, sovente ricollegata alle suggestioni letterarie di Dessì, per i richiami che di quei soggetti lo scrittore aveva fatto ora in Paese d’ombre ora nei Passeri o in Michele Boschino, ecc.

Da Sardu e dalla Fadda sono venuti nel tempo altri lavori assolutamente egregi e giustamente apprezzati in paese e a Gonnosfanadiga, la patria nativa di Sardu. Citerei in primo luogo Alla scoperta di Villacidro, con sottotitolo Visita guidata al “paese d’ombre” e ai suoi dintorni in due o più giorni: deliziosa proposta di otto itinerari nel centro storico e nei paraggi boscosi di Villacidro. (Ebbi anche in quella occasione – eravamo nel 2001 – l’onore di presentare, con lo scritto e con la parola, un lavoro prezioso che meriterebbe una ristampa e magari anche una integrazione o un aggiornamento). Citerei anche, editorialmente gemello di Risalendo la Fluminera, e rimontante al 2006, Gonnosfanadiga. I figli del Linas, volume forte anch’esso di trecento e passa fotografie documentarie, e documentanti un secolo pieno della vita di quel paese che a tante illustri personalità ha dato i natali ora anagrafici ora elettivi (citerei qui soltanto, per meriti speciali di scienza, il professor Licinio Contu, figlio dello storico medico condotto del paese dottor Ottavio). 

Le collezioni di cartoline fotografiche dell’intera area del Linas, e di Villacidro in particolare, apparentano i Sardu-Fadda ad Efisio Cadoni, il padre-patriarca di tutti noi: pari è il loro amore alla storia civica, sociale e religiosa del paese, e svariate le occasioni in cui i materiali sono stati da loro messi nei circuiti di conoscenza pubblica.

Anche per questo i villacidresi dovrebbero sentire un debito morale da appagare collaborando, soltanto collaborando, alle iniziative che dalle loro fucine partono, per quanto sia ancora nelle energie e nell’entusiasmo di chi finora ha dato tutto per la comunità. Iniziative fra le quali merita ricordare, dei Sardu-Fadda – e lo fa bene Salvatore Erbì nel suo Sciapotei – il cosiddetto “Calendario dell’Avvento”, «secondo una tradizione proveniente dalle regioni del settentrione, che consiste nel mettere in piazza Zampillo, sino alla notte di Natale, una statua di legno rappresentante uno gnomo», o la biblioteca circolante...

Offerti, da Cagliari, gli onori ad Angioletta Fadda e Marco Sardu, ho pensato, in questo trentennale della loro maggior opera, di riproporre il mio testo di presentazione di Risalendo la Fluminera. Fotomosaico di Villacidro. Fu quella, e rimane ancora intatta, una testimonianza certa del mio affetto e della mia gratitudine per l’ospitalità ricevuta nella loro casa… una vita fa.


In lode di uno spoon river fotografico

Immagini che traducono le parole di molti racconti che sono poi un solo racconto: il filo rosso di Paese d'ombre, quello di Norbio nel suo passaggio di secolo fra '800 e '900, il filo rosso dei Passeri, negli anni d'attività dell'aeroporto militare e nel mezzo di tutte le inquietudini delle albe di guerra...

Giuseppe Dessi forse avrebbe contraddetto questa lettura didascalica della moviola in azione, ritenendo che il mondo attorno a Ruinalta - lo stesso mondo di Norbio e di Pontario, di Olaspri e di Ordena, di Cuadu e di quant'altri segmenti dell'atomico centro dell'universo - non sappia incarnare la Storia ma, assai più poveramente, quella sequenza naturale di attimi che è la vita A motivo dello stesso «fondo etnico della popolazione». Infatti: «Il solo modo di capire storicamente Ruinalta è di rinunciare a inquadrarla, sia pure approssimativamente, nella concatenazione dei fatti di cui la Storia è intessuta, lasciandola in quel tempo immobile nel quale ancora oggi si trova, e che è il suo, cioè nella preistoria».

E ancora: «È chiaro che qui non si può parlare di continuità di tempo storico, ma solo di continuità di vita, come se ne parlerebbe per le api o le formiche pelasgiche; senza dimenticare tuttavia che quando si parla di continuità di vita bisogna comprendere nella vita anche la morte, che salda una generazione all'altra». Perché «tutte le generazioni che si sono succedute in Ruinalta e, in genere, in Parte d'Ispi, sono ugualmente lontane e vicine dai padri originari, dai quali li separa un tempo che può essere pari al sonno di una notte come ai mitici millenni» [cfr. La ballerina di carta, Bologna, Cappelli, 1957].

“Paese d'ombra” - il racconto uscito la prima volta nel novembre giusto di quarant'anni fa su un quotidiano romano, passato poi alla raccolta bolognese e riproposto nella recente monografia Il lume dei due occhi. G.Dessi: biografia e letteratura [a cura di S. Caronia, Edizioni Periferia, Cosenza, 1987] - costituisce come un prologo obbligato a questa straordinaria selezione fotografica che, con «intelletto d'amore», ci è offerta da Angioletta e Marco Sardu. Appassionati alla cultura locale e, insieme, devoti alle pagine di Dessi, sovente richiamate nelle note illustrative delle immagini proposte, i curatori hanno offerto ai molti che ancora sentono Villacidro come un'emozione che riempie, assorbendolo, il tempo, un documento finora senza pari, nella sua peculiarità di testimonianza, e per cui deve esser data loro piena lode. A conferma, appunto, che è l'amore a tendere la mano alla tecnica, non viceversa, quando si voglia portare a livelli di conoscenza (e dunque di arricchimento) omnibus la propria scoperta, il risultato della propria ricerca. Nel nostro caso: il caleidoscopio delle mille e segrete frazioni materiali di quel reale che è noto, usato e, spesso, travolto e stravolto dalla banalità degli accidenti quotidiani.

«il paese è adagiato sullo scoscendimento di una frana, lungo il fianco della montagna [...]. Chi viene su dalla pianura per la strada carrozzabile ha l'impressione che Ruinalta sia posata pericolosamente su una fiumana di pietre che per miracolo, e solo momentaneamente, abbia arrestato la sua discesa, ma che all'improvviso, con un sol crollo potrebbe travolgere e inabissare ogni cosa». La magia della scrittura dessiana introduce ad una conoscenza prima neppure ipotizzabile ed assegna la chiave interpretativa, o una chiave suggestivamente interpretativa, del repertorio fotografico di Angioletta e Marco Sardu: le pietre come «solo archivio storico» del paese d'ombra, le persone come gli eguali perenni solo sfiorati dalle ragioni dell'intelligente moto cosmico.

Scrive Dessi: «Essendo le case addossate al pendio, se un muro crolla (e questo succede di frequente, perché i muri qui sono costruiti con pietre e malta di fango) non vengono mai utilizzati gli stessi sassi ma altri presi un poco pii a monte; mentre quelli del vecchio muro serviranno a riparare o a ricostruire, quando che sia, un muro della casa sottostante. E così via di casa in casa, giù fino allo strapiombo. I sassi che si trovano ora in fondo al dirupo o sulla via di arrivarci sono passati, attraverso i secoli, per tutte le case di Ruinalta, dalla prima all'ultima, e la strada lentissima seguita da ogni sasso si può ricostruire percorrendo con l'occhio il profilo del paese, che si staglia esile e bruno, sul cielo, come appare al tramonto, visto dal ponte di Bragadanza. Le pietre sono il solo archivio storico di Ruinalta». Non merita lamenti o pianto l'incendio che anni fa ha distrutto le carte secolari del Municipio, documenti d'una storia finta, quasi incapace di raccordarsi compiutamente ai documenti dell'altra ed infinita storia, quella della natura.

L'effimero eterno di Villacidro. Protagonisti di questo scenario surreale eppure così concreto sono, con le pietre, gli uomini e le donne e i bambini di qui. Ma il teatro condiziona gli attori, emana i suoi input che soggettività tanto apparentemente uniformi quanto ontologicamente autonome ed anzi irripetibili, rielaborano riversandone gli esiti nello stesso recinto del finito e del già vissuto... La frana che travaglia Ruinalta ne costituisce la «vera, immutabile storia». Immaginando - come la progressione d'un film - quella lenta discesa dello smottamento verso valle, passando attraverso le case e gli uomini, «non si può fare a meno di pensare, nella dissoluzione della materia, che questo è un paese d'ombra, di fantasmi e di case; e che queste viti, questi alberi di fico, questi vasi di basilico, questi rosai selvatici dei piccoli cortili, e i polli, i bambini, la biancheria stesa altro non sono che forme labili posate porne farfalle su questa materia inconoscibile».

Otto decenni di scatti di macchina fotografica, dal 1894 agli anni della seconda guerra mondiale, all'oggi che sarà già passato, e passato remoto, domani. L'impianto generale del paese, le chiese - testimonianza sempre dei secoli e dei millenni - e le altre strutture pubbliche, e le strade: - quelle di terra e quelle, così singolari, d'acqua - identificano qui il paesaggio, all'ombra delle pinete, ormai da molte generazioni. Il lavatoio costruito da un'amministrazione lungimirante è stato inaugurato da un anno circa quando scatta il primo flash del fotografo, uno dei molti «coautori» di questo libro. Il 1894 è anche l'anno in cui, all'Università di Cagliari - relatore il professor Bacaredda - un giovanotto brillante ed estroverso come Ignazio Cogotti si laurea con una bella e così datata tesi sullo «Stato d'assedio». E Ignazio Cogotti riporta alla mente molto di quanto - nella poesia forse più che nella politica municipale - da Villacidro è venuto negli anni della nostra tarda micro-belle époque.

Lo zampillo, la fluminera, il montegranatico, il forno dei Cadoni, il convento mercedario, i lampioni ad acetilene, le scuole e le scolaresche, i costumi, le battute di caccia, gli arredi parrocchiali, i prospetti delle case borghesi, le aie, il ponte de su Vicariu, il cimitero antico, le sagre paesane, le compagnie barracellari, la torre dell'orologio, le confraternite spagnole, le Anime ed il Rosario, la miniera e la fonderia, le feste di matrimonio, la stazione dei treni, il fascio littorio, i funerali corali, il vescovo ed i suoi seminaristi, le bande musicali, le gare sportive, i pini e l'araucaria, le marce pensose dei buoi, le banche, le sughere e gli agrumeti, il municipio, il Leni, la mietitura, le chiese di campagna, e cento altri soggetti sono proposti in un disordine tematico coincidente con la regolarità della scansione cronologica, cui è andata la preferenza, come opzione metodologica della narrazione, dei curatori dell'antologia. La vita delle persone intimamente connessa con quella dell'ambiente, negli anni di Angelo Uras e dopo. L'illusione, solo l'illusione del movimento, avrebbe commentato Dessi: nessuno qui è padrone del tempo, ognuno vive il suo attimo e nulla di più.

Lo spoon river fotografico villacidrese, come nella penosa risurrezione dei fantasmi evocati dal grandissimo Salvatore Satta nel suo Giorno del giudizio, sembra caricare l'osservatore moderno di una invincibile sofferenza: non per il mondo materiale ed anche umano che è passato, secondo le inesorabili leggi fisiche, ma per la consapevolezza della fragilità dell'eredità morale che da quelle cadute, da quelle esperienze, da quelle conquiste abbiamo saputo derivare, noi ancora così lontani dai nostri ambiziosi traguardi di solidarietà comunitaria, fra gli eterni luoghi di pietra, a Norbio-Ruinalta. Perché, pur sentendoci anche noi, i protagonisti di oggi, «forme labili posate come farfalle su questa materia inconoscibile», non per questo non avvertiamo, in tutta la sua esistenziale drammaticità, la sfida al bene, hic et nunc. Sarà infatti solo un attimo, quello che ci tocca vivere: ma è un attimo che basta a contenere la nostra risposta ad una domanda che è per tutti. Quella risposta segreta e personale che salda definitivamente la nostra umana finitezza all'eternità di Dio.


Fonte: Gianfranco Murtas
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