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Gianfranco Murtas

“Sciapotei”, l’universo villacidrese attraversato da Salvatore Erbì

di Gianfranco Murtas

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Sono 474 pagine da leggere per mettere a fuoco e fissare nella memoria, magari nell’agenda degli argomenti da discutere con questo o con quello, una biografia o le vicende d’un monumento pubblico, le glorie di una montagna o i tormenti di un fiume, le grazie di un fiore o d’un’altra qualsiasi specie botanica, lo svolgimento dettagliato di un episodio della storia collettiva, i passaggi di vescovi e padri mercedari, di feudatari e sindaci, di banditi e povere vittime (risuscitate per perdonare i carnefici!), le alterne fortune dell’agricoltura e dell’industria come quelle di artisti e poeti, e quant’altro ancora… belle époque e guerre mondiali, tradizioni paganeggianti e culti dei santi, banche e scuole, e naturalmente turismo e sport, archeologia e politica… Tutto dentro, ma tutto ordinato e tutto correlato. Perfetto, quasi perfetto. Ché la perfezione dell’opera sarà un dono di contraccambio dei lettori all’autore e al suo editore (la benemerita Grafica del Parteolla, forte già di un catalogo di prima categoria!). Sciapotei, Dizionario Enciclopedico Villacidrese sarà un mattone (o un grattacielo? un castello? una cattedrale?) di conoscenza/conoscenze omnibus per chi ne sa e per chi non ne sa nulla ma è morso dalla voglia di scoprire l’universo terrestre, storico e ambientale, sentimentale e dottrinale, sviluppatosi attorno al Linas e lungo la secolare Fluminera. Ognuno sarà libero di imboccare un suo personalissimo percorso, di combinare temi e personaggi ed eventi, se vuole, così come di passeggiare, lettera dopo lettera, nell’ordine alfabetico. Il libro è liberale e va per empatie…

Sciapotei è appena uscito, forse non è stato ancora distribuito ovunque (sperando che ovunque arrivi) con le sue belle pagine di carta patinata e il corredo di fotografie diverse delle quali assolutamente rare e preziose, così per le storiche etichette commerciali come per i gruppi familiari o le imprese sociali di caccia, di lavoro, di religione.

Il testo/multitesto dunque non è ancora conosciuto e meriterebbe – meriterà? – un suo spazio nella prossima manifestazione del Premio Dessì (purtroppo, a mio avviso, sempre meno convincente per le ricadute modeste che un tale oneroso evento ha sul paese, le sue attività, i suoi talenti ancora in potenza e meritevoli di riconoscimento e spinta e invece ancora inespressi).

Ci tornerò in occasione della presentazione pubblica prevista per l’autunno. E per intanto ecco qui di seguito – volendo offrire come un’anticipazione del gran valore che presenta questo risultato di fatica – di una fatica di venti, trent’anni, che l’autore s’è sobbarcato con lieta volontarietà, in esercizio quotidiano e soltanto per amore al suo paese d’ombre e di luci, di mille luci e di mille ombre, le righe che Salvatore Erbì, medico di professione e militante di passione civica per tutto il resto (dunque anche storico e giornalista), ha premesso al suo libro.

Con la sua introduzione, i brevi testi di presentazione offerti dagli amici dell’autore a vario titolo coinvolti nella gustosa impresa: Efisio Cadoni, l’anima sempre più patriarcale di Villacidro, con le sue virtù d’ispirazione e le virtù materiali espresse in molte migliaia di pagine in prosa e in versi e in qualche centinaio di pietre ricreate a vita come anche di tele che sono come gli affacci d’un mondo perdutosi alle soglie della modernità, e Gianfranco Murtas, comunitario elettivo dentro tanta grazia sociale.


Così scrive l’autore di “Sciapotei”

Tanti autori si sono avvicendati, con alterne fortune, nella descrizione di Villacidro, ma nessuno si era affidato prima d'ora alla forma del dizionario enciclopedico per descrivere fatti, personaggi, ambiente sociale, culturale e naturale di questa grande comunità e di questo vasto territorio della Sardegna. Sciapotei, piccolo dizionario enciclopedico, nasce dalla penna di un "compilatore" che, per anni, ha operato una ricognizione sulle fonti archivistiche, istituzionali, memorialistiche, giornalistiche, raccogliendo una grande mole di informazioni e notizie sui più svariati campi della vita locale.

Il volume ha carattere divulgativo e propedeutico alla conoscenza del luogo nelle sue molteplici espressioni e rappresentazioni. Ha l'ambizione di far capire al lettore quanto Villacidro sia stato al centro di molte e importanti vicende della storia sarda. Dalla microstoria alla storia. E’ un invito alla scoperta rivolto alla curiosità del forestiero, o, a quanti hanno intrecciato, anche per un solo attimo, il proprio destino con le sue vicende. Ma è soprattutto dedicato ai villacidresi affinché la lettura della storia, luoghi, ambienti e personaggi richiami in essi il senso di appartenenza ad una comunità che, pur tra mille contraddizioni e difficoltà, ha saputo scrivere attraverso l'opera e l'ingegno di molti suoi figli illustri nei campi dell'arte, letteratura, politica, fede e scienza, pagine memorabili, capaci di varcare i ristretti confini dell'isola di Sardegna.

Sciapotei si presta a una lettura sincopata, dove è il lettore a stabilire i percorsi da cui farsi trasportare. Sarà lui, districandosi tra lemmi apparentemente slegati tra loro, a riannodare a piacimento i fili della vita del paese. Gli servirà a ritrovare, attraverso un percorso di sensazioni ed emozioni un'identità prima sconosciuta, a maturare la consapevolezza che, nel "villaggio globale", Villacidro può talvolta apparire il punto più grande del suo universo, ma anche il punto più recondito e piccolo, se si ignora il suo passato, se non si vive il suo presente, se non si progetta il suo futuro.


Le riflessioni di Efisio Cadoni

Tore Erbi non è solo scrittore. È anche mèdico. Anzi, è "uomo della medicina", prima ancora d'èssere mèdico e scrittore. Ed è scrittore proprio perché è mèdico. Credo che in lui viva quell'immortale figura del gran sacerdote che egli manifesta, indubbiamente, quando cura il suo paziente, con sapienza e gentilezza, non solo nel corpo, ma anche nello spirito, poiché sua è la innata prerogativa, direi, il suo privilegio di intèndere, di conòscere, di indagare dentro, come è già detto nella stessa radice della sua arte professionale. E ciò lo spinge, poiché è nel suo destino, a perseguire le vie della conoscenza, anche perché ha, dentro di sé, un'energia atlètica che in tal senso lo muove e gli fa raggiùngere la prefissa meta: l'amica E., la sua, la nostra amica E. E che cos'è questa vocale maiùscola puntata, E., se non un simbolo? E questo simbolo è stato da lui ripescato da una profondità di quasi quattrocento anni, dentro al mondo di Alsted, autore della primavera "Encyclopaedia", nel 1630: "E.", come un'intesa. "E." deve considerarsi come un accordo tra lui indagatore, scrittore e uomo della medicina, tutti quelli e tutte quelle notizie in funzione "umana" che in questo libro leggeremo, da una parte e, noi, suoi lettori, dall'altra. Ciò per farci capire sùbito, con immediatezza, che ci troviamo di fronte allo scrigno della conoscenza del nostro paese, Villacidro, di un importante centro vitale della Sardegna, ancora per poco misteriosamente chiuso, ma pronto a venire alla luce, con il beneplàcito del genio, senza fòrmule d'Aladino, non appena l'avremo goduto pàgina dopo pàgina.

Questo suo egregio, singolare lavoro vien fuori della sua grande primaria passione di conoscenza, appunto, e fuori della sua grande passione sportiva che ad essa s'accompagna. Per quest'òpera ha dovuto, fino ad oggi, gareggiare con il suo tempo pieno di mèdico della ASL nel paese in cui àbita da sessantatre anni, cioè da quando è nato, per vincere, per trionfare contro quel grande male illusorio dell'esistenza che ben sa di poter personalmente sconfiggere. Sa di poter vincere con la sua filosofia del conòscere il proprio paese, la propria gente e del piacere-dovere di farli conòscere, gente e paese, con chiarezza, mètodo, precisione, attraverso questa sua ricerca. E non è, dunque, soltanto Enciclopedia, ma e anche Essere, che con il fare, con lo scandagliare, con il suo frugare nel passato profondo, si fa spazio individuale nella comune esistenza, ma non per isolamento, sibbene per stare insieme con gli altri, per la propria e l'altrui esistenza, ossia per stare bene insieme. Essere per esistere, dunque, e esistere per èssere.

Non è nuovo pensiero il suo. Sapeva bene di fare òpera sociale, anche quando, nel 2002, pubblicò un libro basilare per lo sport e per lo sport calcistico dell'Isola e per lo sport calcistico villacidrese in particolare, scoprèndone le fondamenta stòriche in generale e mettèndone a nudo, con la sua storia d'atleti, di uòmini, di squadre, di società, di mestiere, di tàttica, di sentimenti, di vita, con le sue notizie essenziali, le sue immàgini originali e rare, le radici locali fin dal lontano 2 novembre del 1932 con l'inaugurazione del "Campo littorio" e con la "prima partita" del 26 dicembre del medésimo anno.

Questo nuovo libro di Tore Erbi è una enciclopedia "limitata", per la ragione che nasce già nei suoi confini villacidresi e riguarda solo Villacidro, anche se interessa tutti ed è perciò, in questo senso, universale. Non è l'enciclopedia di tutto il sapere, di tutte le discipline, un "ciclo" universale dell'educazione alla conoscenza, come vorrebbe significare la parola. Si tratta di una minuziosa e completa descrizione di accadimenti di rilievo, attenta registrazione di eventi stòrici, elencazione con ricche notizie di persone che, in un certo modo, si distinguono dalle altre, perché fanno cose diverse da quelle del fare comune o perché semplicemente scrivono o perché sono davvero scrittori, narratori, poeti o perché semplicemente càntano o suònano o fanno fortuna o sono davvero voci eccellenti, musicisti di vaglia, imprenditori, commercianti di fiuto oppure s'èlevano nella scienza econòmica o priméggiano nella politica o sono grandi uòmini della Chiesa o raggiùngono notorietà o fama nell'arte perché sono artisti puri o perché cèrcano il loro sentiero nell'infinito mondo dell'immaginazione, nei vàri percorsi dell'esistenza, per una vita migliore o, almeno, per una vita meno disadorna e per òttime capacità, come avrèbbero detto Diderot e D'Alembert, che di enciclopedie s'intendévano, d'un grand savoir faire, propre à l'homme qui méle de l’eau avec du vin, come, nella vita di tutti i giorni, càpita nel mondo, da che mondo è mondo. Tutti sono uòmini e donne villacidresi o, in qualche modo, sono legati, anche per breve tempo, ma significativamente, al paese. Talvolta vèngono accompagnati da una più che opportuna serie di notizie e, talvolta, da qualche personale giudizio d'accoglienza, però, in ogni caso, mai da giudizi di valore o di mèrito sulle loro òpere o sul loro operare. Sono qui eventi, fatti, persone che hanno avuto o hanno che fare, in qualche modo, con Villacidro, per la loro eccellenza, per la loro eccezionalità o, semplicemente per la loro distinzione. Tutto ciò perché, nella visione dell'Autore, è necessario o, meglio, è giusto che venga scritto, affinché nel tempo si ricordi. E ce lo rivela già nel titolo, Sciapotei. E quest'antica espressione sarda (sciaus poita est ei, si sappia perché è si) divenuta una locuzione invariàbile che nell'uso contemporàneo è usata raramente, fusa in un'ùnica parola (scipotei, sciapotei, a ben ragione, ecco perché) è stata recuperata e scelta dall'Autore come titolo originale della "nostra" enciclopedia villacidrese: Sciapotei.

Ringrazio personalmente, con queste righe di parole, l'amico Tore, non solo perché ha rivolto a me il suo pensiero, inserèndomi in uno spazio che esprime a fondo la sua fiducia nel mio crèdere da sempre nelle cose della vita giuste e belle, ma soprattutto per aver dato a tutti indistintamente, villacidresi e no, questo segno d'amore per il paese, veramente ùnico, completo e originale nel suo gènere, una ideale pansofia intellettuale da cui, per sempre, dovremmo tutti attingere, per imparare.


Gianfranco Murtas, le “ombre di materia, la vita storica di Norbio e Ruinalta”

In un libro, tutto in un libro… il paese d'ombre nella sua piena e complessa originalità di natura fra montagne, rivi e cascate, fra boschi e pascoli piani; il paese d'ombre nel suo divenire storico dalle provate antichità nuragiche e romane, giudicali e spagnole ai suoi approdi novecenteschi e perfino del terzo millennio; il paese d'ombre nei suoi monumenti, quelli ormai soltanto di memoria e quelli, civili o religiosi, fortunatamente resistenti ed a missione rinnovata; il paese d'ombre nel suo popolo lavoratore fra campagne, officine e commerci, nei suoi innesti generazionali, nelle sue tradizioni e nei suoi culti, attorno a Santa Barbara, San Sisinnio e gli altri santi del Cielo; il paese d'ombre nei suoi provvidi vescovi e vicari, frati mercedari e confraternite ognuna per una speciale devozione di rialimento degli spiriti dispersi; il paese d'ombre nei suoi notabili otto-novecenteschi, nelle sue liti intestine fra partito e partito, nei ricambi municipali e nei risarcitori processi perfino di tribunale; il paese d'ombre nelle sue glorie presenti, nelle arti e negli sport così come nella chiesa e nei laboratori della scienza mondiale; il paese d'ombre nelle sue creazioni letterarie, nel genio dei suoi poeti e pittori-scultori così come nell'accoglienza garbata ed anfitrionica dei suoi ospiti; il paese d'ombre nell'assortimento sempre felice delle sue produzioni agricole e nelle alterne vicende delle sue etichette commerciali, nelle sue illusioni e delusioni industriali e nei faticosi sbandamenti sociali di certa gioventù così come nelle risposte pedagogiche, solidali e comunitarie... Quant'altro potrebbe essere entrato in questa raccolta di quasi settecento lemmi curata con la pazienza degli anni da Salvatore Erbi, medico cidrese e giornalista, esemplare protagonista di un amore terragno, discreto e appassionato insieme?

Un lettore locale potrebbe scorrere le quasi cinquecento pagine di questo Sciapotei con gli occhi, sì, del villacidrese, navigatore interno, esperto di luoghi e passaggi storici, e goderselo o rigoderselo il suo paese d'ombre, e raccontarlo a sua volta... Potrebbe anche immaginare però di accostarsi al libro e alle sue sorprendenti narrazioni muovendo da tutt'altra storia, da tutt'altre conoscenze ed esperienze, e di lasciarsi prendere dall'incanto delle tappe di quel percorso forse assolutamente nuovo, fra le coordinate suggestive e anzi magiche degli spazi fisici e delle temporalità civili... Ne verrebbe, per una tale convergenza, una universalità di sentimento attorno all'unità varia che Giuseppe Dessi – perché è a lui che dobbiamo sempre tornare – ci ha fatto conoscere attraverso gli assetti di Norbio e Ruinalta, di Pontario e San Silvano, di Cuadu e Ordena ed Olaspri...

Il lavoro compilativo ed ordinatore di Salvatore Erbì teso a dare onore al suo paese nativo e insieme celebrarlo portando ad attingere da esso tanto i vicini quanto i lontani – gli stessi cidresi naturali e quelli elettivi o a tanto esser chiamati dalla sorte – funziona, secondo me, con dinamiche esplicative, direttamente approcciando il lettore alla fonte del suo interesse: all'archivio storico del paese, che Dessì individua nelle pietre di Ruinalta – nel riciclo delle case di pietra dalla montagna alla valle cioè – ma che forse, anzi per certo è da scorgere nelle forme "non" però «labili come farfalle» che si sono posate e si posano – come azzarda lo scrittore – «su questa materia inconoscibile», tutt'altro...

A dirla con altre parole: quella rappresentazione che l'autore di Paese d'ombre offre di Norbio e Ruinalta già nelle sue anticipazioni dei racconti diffusi dal 1949 in poi su diversa stampa nazionale (e anche – fiore di una lunga collaborazione – sulla nostra Unione Sarda, come fu quella volta del 28 agosto 1956) – «queste viti, questi alberi di fico, questi vasi di basilico, questi rosai selvatici dei piccoli cortili, e i polli, i bambini, la biancheria stesa altro non sono che forme labili posate come farfalle» – il compilatore ed ordinatore Salvatore Erbì la reinventa emancipandola dall'impressionismo o dal soggettivismo e fissandola alle coordinate dello spazio e al calendario del tempo. Strappandola dal puro sentimento cioè, da un indefinito transito onirico, e collocandola nell'umano terrestre del quando e del come e del perché, della causa ed effetto, dell'organica sequenza di semina e raccolto.

Piuttosto merita, a mio avviso o secondo il mio sentire, una rivalutazione certa e convinta dei ruoli del compilatore ed ordinatore che parrebbero quasi derubricati nelle classifiche di merito: ché non si tratta, in nessun modo e mai, dei mestieri banali e senza anima di chi, duplicante, registra quel che gli capita sott'occhio, si tratti di favolosi libri antichi o di montagne che germinano foreste, di giornali sportivi o di cronaca varia oppure di monumenti in rassegna fra cataloghi e rapsodiche mostre fotografiche. Tutt'altro: il compilatore ed ordinatore, quale è e si rivela Salvatore Erbi, è un creatore di ponti fra l'umano terreste, storico e geografico, e il quidam che già soltanto approssimandosi al risultato della sua fatica si candida alla partecipazione cittadina, consapevole e finalmente responsabile, in logica di attiva restituzione morale e materiale, o di saldo d'un debito contratto verso tanta ricchezza offertagli prodigalmente.

Quidam di dentro – il cidrese di nascita – e quidam di fuori – il cidrese elettivo – entrano tutti quanti nelle dinamiche della storia e della geografia, congiungendo (ed armonizzando) il presente al passato ora prossimo ora perfino remoto, sussumendo e spiegando il lembo del particolare nella larga complessità della trama e dell'ordito che non conosce marginalità o periferie.

I verbi coniugati al passato ed al presente, nei 683 lemmi, segnalano le compresenze sullo scenario sempre quello e sempre altro... «Quei sassi biancastri o verdini dalla forma un poco allungata di uova d'anatra hanno fatto parte ora del muretto di un orto, ora della rustica scalinata di una casupola, e, mettiamo, dieci secoli più tardi, dell'arcata della porta carraia di un cortile, e sono passati per le mani di uomini di generazioni lontanissime...». Lo spiega Dessi. E Salvatore Erbì ha, certo, non completato l'opera, ma l'ha sviluppata creativamente: ha dato un nome e un tratto distintivo, assolutamente identificativo ed irripetibile, al muretto dell'orto ed alla rustica scalinata d'una casupola, all'arcata della porta carraia di un cortile, soprattutto agli uomini e alle donne che hanno costituito le generazioni, ricevendo vita e trasmettendo vita nel tempo provvidenziale.

Ecco, ancora di seguito, estrapolati dalla messe delle pagine e delle colonne, due lemmi “celebrativi” di altrettanti cidresi insieme di nascita e d’onore (cidresi universali quali anche furono Giuseppe Dessì ed Erminio Costa, e con loro alcuni altri nell’arte e nella magistratura): i fratelli Angelo e Giuseppe Pittau. Alla memoria di padre Giuseppe S.J., arcivescovo della curia vaticana e già autorevole e dotto rettore della università Sophia di Tokio e poi anche della Gregoriana a Roma, ed alla corrente amicizia e (per tanti aspetti) colleganza con don Angelo, personalità multianime singolarissima e necessarissima del nostro tempo nel nostro territorio, piego adesso pubblicamente, … universalmente il capo.

Valgano già soltanto questi due lemmi di Sciapotei a dar conto al lettore potenziale della ricchezza dell’opera cui l’autore Erbì e l’editore Paolo Cossu hanno riservato tante belle energie.


PITTAU ANGELO - Religioso (Villacidro 1939). Ordinato sacerdote nel 1965, dopo l'esperienza di viceparroco a Tuili parte missionario nel Vietnam. In Oriente insegna nel Pontificio seminario e nel seminario diocesano di Da Lat, dove consegue la licenza in teologia pastorale nella locale facoltà pontificia. Prete operaio, prima per tre mesi in Francia, poi nella periferia di Torino, dove contribuisce a fondare la parrocchia "L'Ascensione". Nel 1974 ritorna in Sardegna. Il vescovo di Ales Antonio Tedde gli affida l'incarico di fondare a Villacidro la parrocchia Madonna del Rosario. Una comunità giovane e intraprendente gli si stringe intorno e costruisce con lui la chiesa, la casa parrocchiale, l'oratorio, le palestre e la chiesa succursale di Sant'Ignazio da Laconi. La fervida attività pastorale e comunitaria di quegli anni è sostenuta dall'uscita nel 1977 del giornale «Confronto», diventato il fulcro di un animato dibattito di base. Intensa la sua attività sociale a sostegno dei poveri e degli emarginati. Nel 1983 fonda centri d'ascolto a Villacidro, Lunamatrona, Terralba, Guspini, Oristano e Cabras e, qualche anno dopo, anche in Bosnia e Croazia. Intorno ad essi da vita ad alcune cooperative sociali per i disoccupati. In prima fila nelle opere di recupero dei soggetti affetti da tossicodipendenza, ha eretto diverse comunità terapeutiche e di pronta accoglienza, che rappresentano ancora oggi, stante il disimpegno di fatto del servizio pubblico, l'unica mano tesa a questi soggetti fragili e dalle vite spezzate. Fonda le comunità "Alle Sorgenti" a Morgongiori nel 1988, "San Michele" a Serramanna nel 1990, "Betania" a Guspini nel 1997, "San Michele 2" a Sanluri Stato nel 1998 e "Il Salvatore" a Villacidro nel 2000. Per la sua esperienza e influenza nel settore, è stato chiamato alla presidenza del coordinamento delle comunità terapeutiche della Sardegna ed è stato membro della Consulta nazionale per le tossicodipendenze. Ha promosso, stimolato e coordinato le energie del mondo del volontariato. In questo campo ha ricoperto l'incarico di presidente del comitato promotore del centro servizi del volontariato Sardegna Solidale ed è stato membro dell'Osservatorio regionale del volontariato. Tanti gli incarichi diocesani: membro del consiglio presbiterale diocesano e del consiglio pastorale diocesano, direttore della Caritas diocesana (1986), delegato vescovile per le opere socio-assistenziali nella diocesi di Ales-Terralba (2002) e cappellano di sua santità (1991). Ha insegnato religione nel Liceo classico di Villacidro dal 1975 al 1994. Nell'autunno 2001 si è insediato nella parrocchia san Nicolò di Guspini, al posto del villacidrese Salvatore Spettu, prematuramente scomparso. La sua attività pastorale si è sempre coniugata con un grande fermento culturale. Laureatosi a Roma con una tesi sull'ambiente sociale nei romanzi di Giuseppe Dessì, nel 1978 ha conseguito con pieni voti anche la laurea in pedagogia presso l'Università di Sassari. E’ autore di un libro sulla sua esperienza di guerra in Oriente, Vietnam: una pace difficile, e di sei raccolte di versi, tra le quali Lasciatemi solo a pensare (1962) e Leggére (2013). Nel 2018 è uscito il volume Viaggiando Chiesa, da Villacidro al mondo, dal Vietnam alla Sardegna. I preti non sono fatti in serie, curato da G. Murtas e A.G. Pirastu, edito da Ediuni, una stimolante testimonianza di fede e di cultura, dettata sulla soglia dei suoi ottanta anni, vissuti con grande intensità e partecipazione.

PITTAU, GIUSEPPE - Religioso (Villacidro 1928 - Tokio 2014). Studiò nel seminario diocesano di Ales, rettore monsignor Fabre, successivamente in quello di Villacidro, rettore monsignor Abramo Atzori. Si trasferì in seguito a Cuglieri, dove maturò la vocazione che lo ha avvicinato alla Compagnia di Gesù. Dopo una breve parentesi in Spagna, dove conseguì la laurea in filosofia, nel 1952 partì missionario in Giappone. Gli americani il 10 maggio avevano concluso l'occupazione (iniziata nel 1945), ma la presenza degli yankie era ancora palpabile, perché le basi navali e aeree giapponesi erano strategiche per la guerra di Corea. Si cimentò subito con le difficoltà della lingua, in una scuola per stranieri nei pressi della base navale di Yokosuka, un'ora di treno da Tokio. Praticò per due anni dieci ore di studio il giorno, in un sistema di apprendimento duro ed efficace che gli permise di studiare, assieme alla lingua, anche la storia, la cultura, le usanze e il galateo giapponese. Occorreva conoscere la cerimonia del tè, dei fiori, del canto ritmico giapponese, così ad evitare di essere considerati americani, ovvero non giapponesi, ossia stranieri, seppure in un paese ospitale. Assieme al giapponese imparò anche l'inglese. Fu un lavoro duro ma stimolante, in una terra che si presentò agli occhi di Pittau affamata e martoriata dalla guerra, ma che riuscì a fare, tra le cose più importanti per risorgere dalle macerie, la riforma della scuola e la ricostruzione degli edifici scolastici, (che alla fine apparivano gli unici efficienti, fra i tanti in rovina). Per due anni (1954-1956), che giudicò come i migliori della sua vita, insegnò inglese e morale sociale nella scuola media "Eiko Gauken". Due anni dopo si iscrisse alla facoltà di Teologia dell'Università "Sophia" di Tokio, dove conseguì la laurea finché, nel 1959, fu ordinato sacerdote. Si trasferì tre anni negli Stati Uniti, presso la prestigiosa Università di Haward, dove acquisì il dottorato di ricerca in Scienze politiche (relazioni internazionali). Arrivò a Boston con pochi soldi e si arrangiò a fare qualche lavoro per i Gesuiti, finché incontrò un professore che prese a cuore le sue sorti e gli fece ottenere una borsa di studio da una potente fondazione ebraica. Quel docente che fece una brillante carriera politica, fino a diventare segretario di stato americano, si chiamava Henry Kissinger, e diventò un suo caro amico. Tornato in Giappone, insegnò per ventidue anni nella facoltà di Diritto all'Università cattolica "Sophia", prestigiosa scuola fondata nel 1910 da Gesuiti tedeschi, che non si limitava a «formare solo buoni laureati, ma anche buoni cittadini, aperti al mondo, con una visione umana e spirituale della vita». Per tredici anni ne fu anche rettore. Nel 1981 venne nominato provinciale dell'Ordine del Giappone e il 31 marzo lasciò la "Sophia", fra attestati di stima e gratitudine. Giovanni Paolo TI (1920-2005) visitò il paese del Sol Levante dal 23 al 26 febbraio 1981. Fuori dell'ufficialità del programma, mentre era diretto all'aeroporto di Hiroshima, fece una deviazione per incontrare il missionario villacidrese, che gli starà accanto per il resto del viaggio. In quello stesso anno, deceduto il "papa nero" padre Pedro Arrupe (1907-1991), Giovanni Paolo II nominò suo delegato padre Paolo Dezza (1901-1999) e vice padre Giuseppe Pittau. E’ accaduto spesso che i Gesuiti abbiano portato ai vertici confratelli con esperienze in Giappone: da lì veniva Arrupe, di lì è passato Adolfo Nicolas (1936), preposito generale della Compagnia dal 2008 al 2016, che ha insegnato come monsignor Pittau alla "Sophia". Tenuto in grande considerazione dalla casa imperiale, con cui coltivò fervidi e costanti rapporti d'amicizia, l'imperatore Hiroito (1901-1989) gli concesse l'Ordine del Sol Levante, riconoscimento che solo raramente ha premiato gli stranieri. Nel 1993 ricevette il Japan Foundation Award, che viene conferito agli ambasciatori della cultura giapponese all'estero, per il suo alto contributo alla mutua comprensione tra il Giappone e l'Italia. Nel 1992 divenne rettore della Pontificia Università Gregoriana di Roma, nel 1997 cancelliere della Pontificia accademia delle Scienze sociali, nel 1998 Segretario della Congregazione per l'Educazione cattolica. In conseguenza di questo incarico venne nominato arcivescovo di Castro, diocesi soppressa nel 1503 con la bolla di Giulio II (1443-1513) Aequum Reputamus, strumento con il quale il pontefice riorganizzò le diocesi della Sardegna, unendo in quella circostanza quelle di Usellus e di Terralba con il trasferimento della sede ad Ales. Castro era stata soppressa con Bisarcio che, unita ad Ottana trovò in Alghero la sua sede episcopale. Giovanni Paolo II il 26 settembre del 1998, giorno della consacrazione come vescovo, gli si rivolse con queste parole: «ha dato sempre prova di grande fedeltà a Cristo e alla sua Chiesa, animato dallo spirito di sant'Ignazio di Loyola e favorito dalle belle virtù e capacità di cui la Provvidenza l'ha dotata». In occasione dell'ordinazione episcopale, Giovanni Paolo Il incontrò il 26 settembre 1998 una delegazione di villacidresi e giapponesi nella Sala degli svizzeri del Palazzo Pontificio di Castel Gandolfo. Intellettuale di fama internazionale, il vescovo Pittau è stato dei maggiori conoscitori dei problemi del continente asiatico. Grande viaggiatore, congressista, studioso di problemi economici e politici, non ha trascurato mai la sua dimensione del pastore, che ha curato con umiltà, mantenendo sempre il contatto con la Sardegna, Villacidro e la sua grande famiglia. Il 9 febbraio del 2000 l'Università di Cagliari gli concesse la laurea honoris causa in Scienze Politiche. Il 23 settembre 2009, nelle vesti di direttore del Consiglio di amministrazione della "Sophia", presentò a Giovanni Paolo II la Nuova Enciclopedia Cattolica Giapponese: quattro volumi (di circa 1.500 pagine ciascuno), iniziatasi nel 1981 e conclusasi dopo trent'anni di lavoro. Il progetto editoriale, fortemente voluto dal vescovo villacidrese, rientrò nel quadro delle celebrazioni per il centenario di fondazione dell'Ateneo da parte della Compagnia di Gesù, che è stato festeggiato nel 2013. Nel 2003 rinunciò ad ogni incarico per prendersi cura della sua parrocchia. Colpito da ictus, è morto tra le braccia dei fratelli Angelo ed Efisio il giorno di Santo Stefano del 2014. Il corpo è stato cremato. Una parte delle ceneri sono state traslate a Villacidro e deposte nella cappella di san Luigi, presso la parrocchia di santa Barbara, l'altra parte sono rimaste a Tokyo, dove il 14 gennaio sono state celebrate le esequie pubbliche.


Fonte: Gianfranco Murtas
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