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Alberto Medda Costella

Su Stai, l’altra “bonifica veneta” di Sardegna

La bonifica dello stagno di Sanluri, raccolta dalla voce dei coloni

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Quando si parla di bonifiche idrauliche e agrarie in Sardegna è inevitabile che il pensiero sia rivolto ai grandi lavori di risanamento realizzati dalla Società Bonifiche Sarde nella piana di Mussolinia, oggi Arborea. Dicasi altrettanto quando si parla di veneti.Immagine rafforzata dal riconoscimento,e conseguente premio, a comune onorario della Regione del Nordest Italia, frutto del lavoro del locale circolo della Associazione Veneti nel Mondo. Eppure l'esperienza di bonifica e di popolamento con elementi alloctonidi Mussolinia non fu l'unica nell’isola. Mentre il vicentino Giulio Dolcetta col gruppo Comit-Bastogi portava avanti l’operanell'Oristanese, a circa 50 chilometri di distanza erano ripresi sotto la guida dell’Opera Nazionale Combattenti ilavoridi bonifica dello stagno di Sanluri,per renderlo coltivabile e idoneo alla costruzione di centri colonici, funzionali all’accoglienza di nuove popolazioni che sarebbero state insediate nei terreni da appoderare.

È un venerdì di metà settembre del 2018, ultimi scampoli d'estate. Squilla il telefono. È Fabrizio Tognon. Mi comunica che una famiglia di Sanluri Stato è disponibile ad incontrarmi. Da tempo vado alla ricerca di storie di personaggi o di famiglie di cultura veneta che dal Nordest dell’Italia si sono trasferite in Sardegna.Fabrizio Tognon è discendente di una di queste nella bonifica di Sanluri. I Tognon erano partiti da Camisano Vicentino nel 1930, per raggiungere l’allora Villaggio Mussolini e prendere possesso del podere 204-205 della SBS. Ripartirono nel gennaio del 1934, verso Marrubiu, così riporta il registro anagrafe della SBS. Non sappiamo quando si trasferirono nella piana dell’ONC, ma è certo, per suo racconto, che i contatti con Arborea non sono venuti meno e le relazionidi amicizia e di parentela sono proseguite.

Il tempo quindi di preparare registratore, macchina fotografica e taccuino, e infilarmi nella 131, la principale arteria stradale dell’isola. Durante il viaggio provo a fare ordine nella mia testa: non ho preparato alcuna domanda e cerco di far mente locale su quel poco che conosco della bonifica di Staini(così chiamata in sardo)e di adattare dei quesiti che avevo già posto ai coloni di Mussolinia. Mezz'ora circa di automobile e arrivo a destinazione.

Oltre il cavalcaferrovia,che si deve attraversare arrivando da Sanluri,la prima impressione che si prova èquella di un posto già visto, familiare. In realtà non ci ho mai messo piede. Forse in un sogno. Un paesaggio squadrato, solcato da strade e canali, perfettamente perpendicolari gli uni con gli altri. La sensazioneèla stessa che si ha al passaggio che vi è da Terralba alla Tanca Marchese, la porta sud della bonifica della SBS. C'è perfino un grande canale che attraversa la piana redenta e viè lo stesso criterio di numerazione delle strade: Strada 18, Strada 6, etc. Le case coloniche,non sono identificate danumeri, come aveva deciso la SBS nella bonifica di Mussolinia o l’ONC nell'Agro Pontino, ma coi nomi dei monti, fiumi o luoghi, resi celebri dalla Grande Guerra, che coincidono, in parte, anche con i luoghi di provenienza dei coloni. Fattoria o Podere: Grappa, Tonale, Cengio, Magnaboschi, Pasubio, Isonzo, Piave,Ortigara. Ma anche le battaglie d'Africa: Amba Alagi e Macallè o nomi evocativi come Vittoria.

Costeggio così il canale allacciante delle acque alte, un pezzo di strada sterrata e arrivo al podere Settecomuni. Non siamo sull'altipiano di Asiago, in provincia di Vicenza. Siamo in Sardegna, a metà strada tra Cagliari e Oristano, a casa di Vittorio Stancari e Lina Schiavo. Un cane bianco annuncia il nostro arrivo, ma è Vittorio che ci apre le porte del podere. Il modello di casa colonica non corrisponde a nessuna di quelle progettate dai tecnici della SBS, ma anche questi fabbricati hanno comunque qualcosa dell'Alta Italia. «Un tipo che ricorda il cascinale lombardo rimodernato e adattato ai luoghi», scriveva nella guida del Touring Club Italia V.L. Bertarelli . Le case sono quelle dell’epoca, con i muri divisori interni abbastanza larghi e solidi, resistenti al tempo.

Vittorio ci fa accomodare in casa dove ad attenderci ci aspetta la moglie.“I miei sono arrivati qui tra il 1933 e il 1934. Mio padre aveva dodici anni quando è partito da Este. Erano undici fradei. Mio nonno lavorava all'estero, in Svizzera. Andavano a giornata. Mentre degli Stancari c'è solo mio marito. L'ho portato io qua”,ride Lina, nata e cresciuta in Sardegna.“Allora c'erano tante altre famiglie venete e alcune sono andate via. Oltre ai Tognon, ricordo i Grazian, i Rosina, i Bassetto, i Pellegrin, i Paccagnin,i Marangoni, i Tonin, gli Sperandio, i Carlotto” .

Sette di queste,prima di raggiungere la bonifica di Sanluri Stato,sono passate per l'allora Mussolinia. Discorso diverso per i Tonini, famiglia della madre di Lina, Edea, arrivati in Sardegna da Guidizzolo, in provincia di Mantova, che è lo stesso paese dove è cresciuto Vittorio. “Prima erano a Pimpisu (località di Serramanna) e poi sono andatiad Arborea.Erano due fratelli. E uno di loro ha detto: ‘dai che andiamo aMussolinia, che qua a Pimpisu non ghexè niente’. Sono rimasti lì un po' di anni.Mia madre mi raccontava che quando arrivò in visita Mussolini a scuola li fecero cantare delle canzoni. Dopo sono venuti qui, dove nel frattempo avevano fatto delle case nuove” .

Vittorio è invece di Cavriana, un piccolo paese in provincia di Mantova. Ricorda nelle pronunce il compianto Carlo Poli, padre di un caro amico di Arborea, figlio di sabbionetani, sempre nel Mantovano.“Io mi sono trasferito qui che avevo 25 anni, ma la prima volta che sono stato a Sanluri Stato neavevo 22. Facevo il militare a Cagliari: 18 mesi al Monfenera. Zio Ercole, un cugino di mia madre, che io non conoscevo, e che stava qui, ha saputo che ero militare. È venuto così a trovarmi e mi ha invitato a a venire qui. Aveva una fattoria a Cornus, verso San Michele. Sarà stato tra il '59 o il '60”.Interviene Lina: “quando avevo diciannove anni qui non c'era molto da fare. A Brescia c'era un fratello di mio padre. E allora lui: ‘Vittoria dai vieni che magari trovi lavoro. Così mi sono trasferita là. Sono rimasta due/tre anni e ho conosciuto Vittorio.Dopo siamo venuti qua insieme”.

Vittorio, pur non essendo nato a Sanluri Stato, ha raccolto molti racconti degliabitanti e dei pionieri.In un calendario realizzato dagli abitanti in occasione dell’alluvione del 2013 leggiamo:

«nel 1928 vennero costruite e assegnate 5 case coloniche. In dieci anni i poderi divennero 33 con 370 abitanti e nel 1950 divennero 63 per 865 abitanti. [...] Nel 1928 si diede inizio all'insediamento colonico vero e proprio e si costruirono 5 grandi case coloniche: Podere Grappa, Podere Montello, Podere Italia, Podere Piave, Podere Pasubio. Le prime famiglie coloniche che si insediarono nei poderi dell'Azienda tra il 1928 e 1938 provenivano dal Veneto. Queste venivano scelte secondo requisiti morali e politici e tenendo soprattutto conto del nucleo, infatti, considerate dal regime "materiale umano", le famiglie erano in genere costituite da 10-20 persone. Venne loro proposto un contratto di mezzadria, per questo motivo la scelta ricadde sulle famiglie provenienti da zone agrarie più progredite tecnologicamente dove c'era già la mezzadria e dove la crisi economica era fortissima» .

La selezione era simile a quella di Mussolinia. Per il resto la storia dei coloni di Sanluri Stato sembra la stessa. Scene di vita quotidiana che si ripetono. La casa non era ammobiliata e, come è avvenuto nell’agro della SBS, nella prima notte in terra sarda si dormiva all’aperto sulla paglia . “Prima qui era tutto così. C'era un direttore. Il primo è stato dott. Poli, mantovano. Poi Anelli, romano, e dopo Pibiri di Cagliari. Aloraiera fame e chi poteva nascondeva la roba. Non era un rubare ma era tutta roba nostra lavorata”, spiega Lina, parlando del contratto di mezzadria, che prevedeva la divisione a metà del raccolto.Nel 1938 il rapporto tra veneti e sardi era di 17 a 4, e le loro usanze anche qui diedero adito a dei fraintendimenti . Allo stesso tempo non mancò la collaborazione e l’aiuto reciproco tra queste famiglie per i lavori nei campi: “quando trebbiavamo veniva ad aiutarci una famiglia vicina e come finivamo andavamo noi da loro .L’acqua mancava e le coltivazioni erano a secco.Il granoturco per polenta, alimento principe del fabbisogno energetico delle popolazioni del Nord Italia, non c’era. “La polenta andavamo a comprarla proprio ad Arborea. Quando pioveva si irrigava. Si coltivava prevalentemente grano”.

Non era una vita facile quella di bonifica, tanto che appena è stato possibile, favoriti dal richiamo dei paesi natii e delle nascenti industrie del nord, chi poteva, abbandonava questi terreni, così come stava avvenendo a Mussolinia, diventata in democrazia Arborea. “Tanti sono andati via con i debiti intorno al '55 '56, perché facevano la spesa nei paesi senza pagare. Allora si andava a libretto”, spiega Lina. “Questione di terra che non permetteva niente. Quelli che sono scappati è perché sono capitati in piccoli appezzamenti che non rendevano”, dice invece Vittorio. Dal calendario edito alcuni anni fa, nonostante questo,leggiamo: «gli arrivi di nuovi coloni continuarono anche negli anni '40 e '50, in particolare ci fu l'introduzione di numerose famiglie mezzadrili sarde in sostituzione dei coloni continentali, che decisero di rientrare nelle regioni di appartenenza» . Anche qui, come ad Arborea, l’enclave continentale a maggioranza veneta andò a modificarsi, per far spazio a una comunità più eterogenea di quella che si era creata nella fase di avviamento.

A Stato, però, usi e costumi del Veneto hanno avuto minore resistenza. Se si pensa che il rito del brusar la vecia, o il pan e vin, ad Arborea viene rinnovato ogni anno, qui questa tradizione è andata a perdersi. “Un mio zio faceva il falò per la befana, in strada. La tradizione non è stata portata avanti. Saranno stati gli anni ‘50”, dice Lina.

Tante cose sono cambiate, e anche nella vecchia bonifica sarda dell’Opera Nazionale Combattenti non è esiste più la mezzadria. Vittorio è stato il primo presidente della Cooperativa Strovina '78, sorta sulle ceneri di quanto era stato fatto fino a quel momento.

“Quando sono scappati i coloni, quelli rimasti hanno cercato tutti di metterli nella zona ovest, quella che rendeva di più. Il resto lo lavorava l'azienda con degli operai fissi e tra questi c'ero anch'io. A un certo punto l'Opera Nazionale Combattenti è stata soppressa ed è subentrata la Regione. Allora io con un altro amico operaio, Giorgio Bertacche, altro veneto, ci siamo detti: perché non facciamo una cooperativa e lavoriamo tutti questi terreni abbandonati? Erano circa 300/400 ettari. L'abbiamo costituita il 4 novembre del 1978. Abbiamo occupato i terreni, con tutto quello che ne è seguito, guerre e denunce. In cooperativa avevamo sequestrato tutta l'attrezzatura dell'azienda che era fallita. Nel frattempo era arrivata l'acqua e irrigavamo con le canalette aeree in cemento. Allora non si sapeva come usarla. Si pretendeva di irrigare a scorrimento, solo che non arrivava mai in fondo, perché l'acqua andava subito sotto, verso l'inferno. E allora si è iniziato a usare il sifone:l’acqua si buttava nel fosso e con la motopompa si irrigava. Abbiamo iniziato a fare bietole, pomodoro d'industria e poi grano e orzo”.

Oggi la zona dell’ex stagno di Sanluri corrisponde a un’area di 23 chilometri quadrati lavorati e l’agro è abitato da circa 500 persone, in prevalenza sarde, ma anche venete e friulane, di nascita ed origine. Samassi, e non Sanluri, viene considerato da sardi e veneti loro paese di adozione e la Cooperativa Strovina ’78, oltre ad aver recuperato una fattoria trasformata in agriturismo, ha esteso le proprie attività anche alla produzione di biogas. Ci sarebbe ancora molto da dire e da scrivere su queste vicende e chissà che non saltino fuori i documenti prodotti nel tempo dall’Opera Nazionale Combattenti.


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