Suinicoltori, agevolati o distrutti
Non è politica quella che mira a distruggere il proprio sistema sociale e culturale in nome di una modernizzazione che presenta sin troppe incognite.
Qual’è la posizione della Regione Sardegna? Bisogna sottolineare che i piani Regionali di eradicazione alla peste suina dovrebbero essere presentati alla Comunità Europea ogni anno. Tuttavia l’ultimo piano regionale di lotta alla peste suina approvato dalla Comunità Europea è del 2015. Perchè un solo piano in quattro anni? Perchè gli altri non sono stati approvati? Quali sono le diverse questioni che non sono state affrontate e ritenute chiave dall’Unione? La mancata presentazione dei piani regionali determina la perdita dei fondi europei per l’eradicazione, come segnala l’Agenzia Europea per il Cibo. Tutti gli altri paesi europei interessati dalla malattia presentano annualmente i piani di intervento e i relativi aggiornamenti. La Regione Sardegna attua diversamente, nonostante la dichiarata preoccupazione per la peste suina.
Cosa dice l’ultima relazione della Regione accolta dalla Commissione Europea? In particolare si pone l’accento sulla “presenza di suini clandestini e mantenuti al pascolo brado, e i conseguenti contatti dei suini domestici con il cinghiale, assenza di biosicurezza e pratiche di gestione dei suini molto carenti da un punto di vista igienicosanitario in molte aziende, sono i principali fattori di rischio che hanno portato alla persistenza della PSA in molte aree isolane” si evince molto chiaramente come la Regione Sardegna attribuisca ai suini bradi il ruolo di portatori della malattia ai suini domestici. Ma non viene spiegato, nuovamente, come i suini al brado vengono in contatto con i suini domestici. Questa prospettiva appare contraria alle indicazioni europee che identificano invece come emergenziale e primaria la peste sui cinghiali, poiché è la reale fonte dell’infezione. Per cui abbattendo ed eliminando il pascolo brado, molto probabilmente per la Comunità Europea, la Sardegna resta comunque zona endemica alla peste suina africana poiché nessuna azione è intrapresa per eradicare la peste dai cinghiali, se non quella di censire la malattia nelle carcasse animali o in quelli abbattuti durante la caccia.
Perché le restrizioni all’allevamento domestico?
Nel quadro della lotta alla psa la Regione ha imposto nuovi vincoli per l’allevamento domestico. Precedentemente alle nuove prescrizioni, chi possedeva un terreno agricolo poteva dotarsi di locali idonei per l’allevamento di massimo 5 capi adulti riproduttori. Questo consentiva sia il perdurare di una pratica millenaria tra le famiglie sarde, sia l’allevamento del maialetto da latte, sia la produzione casalinga di salsicce e prosciutti a livello di sostentamento familiare. L’allevamento domestico viene sottoposto agli stessi controlli sanitari delle aziende per cui non vi è nessuna differenza per il rischio di diffusione della peste. Ugualmente per quanto riguarda la movimentazione dei capi vivi.
Tuttavia ad agosto 2018 la Regione Sardegna vieta agli allevamenti domestici di possedere capi da riproduzione, per cui obbliga le famiglie ad acquistare ogni volta i singoli suini, per un massimo di quattro, riducendo questa pratica all’allevamento de su mannale.
A questo proposito è doveroso ricordare agli allevatori che questa modifica è stata votata ALL’UNANIMITA’ dal consiglio regionale. Anche questo non è forse un attacco alle pratiche millenarie e tradizionali? Non è un tentativo di eliminare la piccola proprietà privata in favore di altre più grandi? Come già sottolineato in Sardegna si produce molto meno del proprio fabbisogno, per cui gli allevamenti domestici non intaccavano la filiera economica e produttiva, anzi la incrementavano.
Per cui possiamo sostenere senza dubbio che dietro la lotta alla psa c’è un attacco frontale al pascolo brado e all’allevamento domestico.
La sinistra si è ridotta a fare la guerra ai senza terra?
Sui quotidiani appaiono spesso dichiarazioni di esponenti della “sinistra” che chiedono il proseguo degli abbattimenti e dei vincoli. Coloro sono certi della propria appartenenza politica? La domanda è ovvia poiché costoro richiedono l’abbattimento di maiali che appartengono a famiglie di allevatori che non hanno terre e che non hanno i mezzi economici né per comprarle né per realizzare le strutture che la ASL richiede. Questa è anche la lotta degli ultimi, di quelli che hanno poco o nulla davanti all'ipocrisia politica. A sinistra siamo diventati tutti signorini ben pensanti che giudicano un allevatore senza terra e mezzi con il discorso “ma costui è irregolare”?
Sintesi dell’inchiesta
Abbiamo scritto che il piano di eradicazione portato avanti dalla Regione Sardegna e attuato dall’Unità di Progetto lascia più ombre che luci, perché:
• Le pratiche di abbattimento indiscriminate appaiono ingiuste e ingiustificate. Gli allevatori sentono fortemente di aver subito un’ingiustizia e un danno economico rilevante. Sopratutto nel nuorese l’allevamento è uno dei pilastri dell’economia e in quanto tale è un settore che deve essere valorizzato e tutelato, non smantellato. Così si crea un grave danno economico alle famiglie.
• Lo smaltimento delle carcasse non è in linea con quanto indicano i manuali europei e quelli del centro studi nazionale. Una prassi che ha creato sfiducia tra gli allevatori, regolari e non.
• Un’ampia percentuale dei maiali abbattuti erano di razza sarda. Da una parte la Regione dice di volerli tutelare, dall’altra abbatte indiscriminatamente questa razza endemica. È una prassi schizofrenica.
• Non esiste un piano organico per la lotta alla psa nel cinghiale. Si intravede il tentativo di censire la malattia nel selvatico che ricade sopratutto sulle compagnie di caccia grossa. Si è attuata una sorta di delega/dovere sui cacciatori. Questo non fa altro che aumentare la tensione sociale e il divario tra popolazione e istituzione, tra cacciatori e ASL.
• Nessuno chiede l’abbattimento indiscriminato sul cinghiale. Esistono ricerche scientifiche che scoraggiano questa pratica, sia per una questione di rispetto nei confronti del mondo naturale, sia per il fatto che l’uomo stesso è la causa della psa nel selvatico. Inoltre diminuendo i capi indiscriminatamente si rischia di aumentare proporzionalmente la malattia nei sopravvissuti. Si può censire la psa attraverso il campionamento delle feci, delle fonti d’acqua, degli animali abbattuti durante la caccia (senza far ricadere questa responsabilità sul cacciatore), ancora, esistono tecniche di cattura senza necessariamente abbattere l’animale. Le azioni sono molteplici, un progetto serio e vasto, finanziato dalla Comunità Europea, sarebbe certamente più utile allo scopo dell’eradicazione della psa. Oltre al fatto che sarebbe una ulteriore possibilità di creare lavoro in un’isola martoriata dalla disoccupazione.
Viviamo in una società che pone la tecnica e la scienza al di sopra di tutto. Questo approccio non può che essere fallimentare. La scienza deve creare il benessere del collettivo e del singolo. C’è la necessità di costruire un dialogo tra l’Unità di Progetto e gli allevatori, di costruire fiducia. Forse non è troppo tardi.
Non sempre la scienza deve essere la guida per il cammino dell’uomo, a volte è necessario che stia dietro, guidata da un’ideale di rispetto, tradizione e cultura popolare.
Il pascolo brado oltre la Sardegna:
in Europa, in Veneto, in Emilia Romagna ecc… vi sono diversi progetti innovativi ed eco sostenibili che si basano sul pascolo brado dei suini. Al di fuori della Sardegna le modernizzazioni del brado vengono considerate avanguardia del futuro, del rispetto della natura, della salute degli animali e dell’uomo. La soluzione futura, legata anche alla salvezza del pianeta, è l’allevamento estensivo. In Brasile la foresta amazzonica viene devastata per far spazio alle coltivazioni di mais e soia utili per l’allevamento intensivo degli animali e questo è un sistema che non è più sostenibile.
Alla luce di tutte queste considerazioni, si può sostenere che la politica sbaglia prospettiva. La vera domanda da porsi è: come possiamo combattere la peste suina salvando il pascolo brado?
Perchè non è politica quella che mira a distruggere il proprio sistema sociale e culturale in nome di una innovazione che presenta sin troppe incognite, una modernizzazione che sappiamo bene a quali conseguenze ci ha portato. La vera modernizzazione è il mantenimento della propria specificità all’interno di un sistema moderno e sano che rispetti i modelli di allevamento tradizionali. Gli allevamenti estensivi sono sistemi da valorizzare e non da rifiutare perché la carne del pascolo brado è infinitamente migliore e salutare di tutte le altre carni allevate in un sistema intensivo. È sopratutto per questa tipologia di allevamento che le carni sarde sono apprezzate in tutta Europa. L’estensivo deve essere valorizzato, poiché sostenibile sia da un punto di vista economico che ambientale, a maggior ragione in un isola in cui questo è tradizione.
Fabio Loi
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