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Gianfranco Murtas

Tornando sull’onorata (o disonorata?) secolare storia del Partito Sardo d’Azione. A dire di Gonario Pinna e di minoranze nella minoranza

di Gianfranco Murtas

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Non è di questi giorni, ma in questi giorni lo scritto che segue recupera, io credo, una sua attualità. Dice di Gonario Pinna, il grande avvocato penalista del Novecento sardo che la nascita e la residenza nuorese associarono, insieme con le idealità della democrazia repubblicana ed autonomista, a personalità d’oro come Pietro Mastino e Luigi Oggiano. Dei tre il più giovane – lui classe 1898, Mastino 1883 ed Oggiano 1892 – e il più… universale, almeno per esperienze formative (sul continente e in Germania), ove volesse farsi una qualche classifica: direi una classifica che fotografa un dato di fatto ma che certo non ingessa, né si permetterebbe di ingessare, i meriti complessivi che furono parimenti grandi dell’uno, dell’altro e dell’altro ancora. 

Democratico radicale d’impegno antiprotezionista Mastino fin da prima della grande guerra, quando anche aveva già esordito nel Consiglio comunale di Nuoro (buon seguace del padre, l’avv. Francesco bosano, che di Nuoro era stato sindaco ripetutamente, e lo era anche quando in casa nacque il suo degno continuatore), mazziniano di radici umili pastorali Oggiano che nella tensione giovanile e povertà di tasca dalla sua Baronia giunse agli studi in quel di Torino (come Mastino stesso che lì s’era laureato nel 1905) e poi a Modena (per rientrare quindi nell’Isola e laurearsi a Sassari nel 1914), repubblicano di suggestioni anch’egli mazziniane e forse soprattutto cattaneane Pinna, figlio di parlamentare radicale (l’avv. Giuseppe, caduto sotto il fuoco di un semifolle nel 1908), formatosi fra Firenze, Roma (alla Sapienza, laurea nel 1921) e Berlino.

Tutti e tre – in modo diverso ma comunque sempre d’alto livello – appassionati alla storia civile ed anche a quella letteraria italiana, con amore speciale alla Deledda ed a Satta (in particolare Mastino e Pinna), così come alla poesia di radice isolana e in lingua sarda e barbaricina. Nelle rispettive diversità fu riconoscibile, rispettata ed ammirata la collocazione di ciascuno fra i meridiani e i paralleli della Sardegna antica (magari quella giudicale esplorata da Oggiano) e moderna vissuta, con i rimandi delle consapevolezze morali e civili, nella permanente e necessaria relazione con il vasto mondo, l’Italia nel primo affaccio, e l’Europa…   

Mastino, Oggiano (curioso che essi avessero entrambi mutato la finale del cognome dalla u originaria, all’incontrario di Lussu che alla u finale era arrivato trasformando la o dei registri anagrafici) e Pinna: non tanto quanto avrebbero meritato, comunque su tutti e tre sono usciti, nel tempo, dalle tipografie regionali diversi titoli illustrativi della missione professionale (nelle aule di giustizia) ma soprattutto culturale e civile, e politica, da essi svolta lungo quasi l’intero Novecento. Mastino lo perdemmo nel 1969, Oggiano – che può fortunatamente contare anche su una fondazione che a Siniscola è impegnata nell’opera benemerita della conservazione della sua memoria con la raccolta di carte e testimonianze nonché la proposta di speciali iniziative di studio – nel 1981, Pinna nel 1991. Dono e ricompensa di natura per tutti e tre l’età longeva: sulla linea dei novant’anni, poco meno poco più, tutti e tre esempio di galantomismo, cultura e sapiente coerenza morale e ideale.






Dalla grande guerra alla formazione del primo sardismo organizzato (passando per il movimento dei combattenti) – così Mastino, parlamentare dal 1919 eletto nella lista dell’elmetto e rifluito nel gruppo salveminiano di Rinnovamento, e Oggiano (più coinvolto nelle cariche associative e del partito nel suo esordio) –, alla indefettibile testimonianza antifascista lungo il ventennio di dittatura (nella praticata fraternità sardista-repubblicana nuorese e non senza conseguenze, con Pinna i dioscuri dei Quattro Mori), nei rilanci democratici dei secondi anni ’40 sia a Nuoro e comunque nell’Isola (fra Concentrazione di CLN e Consulta regionale) che a Roma (Mastino anche fra governo e Costituente), fino al seggio senatoriale (per Mastino e Oggiano) ed a quello successivo di deputato (per Pinna). Con storie personali d’intreccio continuo e anche apparenti distanziamenti politici, mai ideali – Mastino e Oggiano da una parte, Pinna dall’altra –, fra 1944 e 1949 e 1955…

Nell’autunno 1944 Pinna, repubblicano divenuto segretario provinciale nuorese del nuovo Partito d’Azione su una linea liberalsocialista, confluisce – in ossequio ai disegni politici di Lussu, ma pure non senza riserve (al pari di Cesare Pintus e di altri) – nel Partito Sardo d’Azione; nel 1949 ne esce per contrarietà agli accordi regionali fra il PSd’A e la DC degasperiana e ancor più per l’adesione sardista ai patti atlantici sottoscritti dall’Italia; nel 1955 aderisce al Partito Socialista, accolto da Lussu, lo stesso Lussu che ancor più radicalizzatosi nel 1963 (in chiave socialproletaria) ne imporrà l’esclusione dalla lista delle ricandidature (dopo il completamento della legislatura 1958-1963, durante la quale, impegnato nella corrente autonomista di Nenni e contro Lussu, si è impegnato per la svolta di centro-sinistra).

Sintetizzare in poche righe le complessità dei passaggi politici di Gonario Pinna combinandoli con quelli, invero più tranquilli o continuativi, di Pietro Mastino (sindaco sardista di Nuoro negli stessi anni della deputazione Pinna) e Luigi Oggiano, è impresa ardua che si può proporre soltanto come prima “bozza” o canovaccio di base per poi spiegare e spiegare…

Uniti nella visione di una Italia federalista – con qualche radicalismo maggiore in Pinna piuttosto che nei dioscuri sardisti – ma pur consapevoli della gradualità di quella conquista e nella consapevolezza delle resistenze permanenti tanto in campo moderato centrista quanto nella sinistra, e paradossalmente forse socialista più che comunista, Pinna e Mastino e Oggiano meriterebbero il tempo e le energie mentali degli studiosi migliori della nostra storia contemporanea in un convegno di studi che certamente saprebbe restituire alla Nuoro di minoranza, ma pur minoranza popolare, nel solco di Giorgio Asproni o dei poeti alla Satta o alla Dessanay e Rubeddu, la dignità ora forse appannata se non addirittura ignorata e perfino misconosciuta da certa omologazione convenzionale, noiosa e sterile, vincente a sinistra come a destra.




Quando il Partito Sardo d’Azione, dopo i primi azzardi degli anni ’60, insistette nei suoi rotolamenti verso i precipizi dell’indipendentismo nazionalitario che ben contraddicevano le pulsioni nobili del primo sardismo, o del sardismo antifascista ricompreso in Giustizia e Libertà e poi fabbrica della Repubblica, anche del sardismo alleato di Olivetti nel 1958, pensai a una serie di studi mirati agli anni ’40 appunto del postfascismo e della lotta per la libertà repubblicana, negli statuti costituzionali della Repubblica “una e indivisibile” e nelle applicazioni autonomistiche nei territori isolani e di confine. Per mostrare e dimostrare il lealismo costruttivo del sardismo storico verso la patria che tanto sangue dei suoi aveva sparso per emanciparsi prima dalle costrizioni asburgiche e quindi dalla dittatura del duumvirato Savoia-Mussolini e dei suoi cascami.

Fu in quel contesto – recuperando anche molti documenti inediti raccolti in varie e impensate sedi – che potei proporre qualche nuovo focus su Mastino e Oggiano – ma anche Melis (e su Titino Melis sarei tornato di seguito e con molte novità e prove documentarie) – così come su Gonario Pinna. Uscirono allora, presentati a Cagliari e Nuoro e altrove dai nostri maggiori storici, una decina di libri di documenti e testimonianze. Tutto cominciò – mobilitando nello studio collettivo un folto gruppo di giovani a me specialmente cari (oggi cinquantenni e variamente impegnati negli impieghi istituzionali, nelle sale di giustizia, nelle consulenze aziendali, nel giornalismo e perfino nelle cattedre universitarie) – intendendo illuminare da subito la figura a lungo ignorata di Cesare Pintus e quindi allargarci, da Cagliari, ai nuoresi ed ai sassaresi, nel mix nobile delle minoranze sardiste, azioniste e repubblicane: a Fancello e Siglienti, a Berlinguer e Cottoni, a Mastino e Oggiano appunto, a Fantoni ed a Pinna… e ad altri cinquanta, a Marianna Bussalai altresì… In alto la stella di Lussu, di Lussu anche con le sue contraddizioni, di Lussu visionario e anche – non sembri irriverenza – settario in certo nuovo dogmatismo classista e in un impossibile sentimento neutralista fra l’occidente liberale e l’URSS di Stalin…  

Vengo a Gonario Pinna, incontrato nella sua casa, solenne e spartana – così la ricordo – alcuni mesi prima della scomparsa, avvenuta, come ho accennato, nel 1991 di primavera, alla bella età di 93 anni. Incontrai il Gonario Pinna come me l’ero immaginato, non come poi l’ho riletto di recente da varie parti nel quadro delle ricostruzioni storiche delle vicende del Partito Sardo d’Azione giunto al compimento del suo secolo nell’abbraccio penoso della Lega già Lega nord, celtica e padana, anzi pontidese e… pagana. In altre parole: del Partito Sardo d’Azione che ha perso la sua anima già quasi cinquant’anni fa, trasformando e corrompendo la sua natura, riempendosi nel tempo di democristiani e qualunquisti senza bussola, privi di ogni riferimento ad una scuola di pensiero di permanente validità, da cui i padri fondatori mossero dando vita alla loro creatura per il bene insieme della Sardegna e dell’Italia.




Ho recuperato una lettera dattiloscritta, senza data ma riferibile senz’altro ai giorni di passaggio fra agosto e settembre 1944, di Cesare Pintus a Emilio Lussu. Si tratta di una lettera perfetta, modello della dignità con cui, in leale amicizia e anche solidarietà operativa, ci si possa porre sostenendo, cioè argomentando, in dialettica con le altrui opinioni, le proprie. A Lussu che sbrigativamente vorrebbe la confluenza azionista, o delle sezioni sarde del Pd’A, nel Partito Sardo d’Azione, Pintus – segretario provinciale a Cagliari oltreché segretario della Concentrazione antifascista – oppone osservazioni critiche fondate su dati di fatto. Quel che qui mi importa è però concentrare il coinvolgimento di Gonario Pinna nella linea Pintus, ché entrambi – il nuorese e il cagliaritano – vengono dalle giovanili esperienze repubblicane, rigorose per definizione, e non sacrificherebbero mai i principi ai sentimenti personali e tanto meno agli umori: «Caro Emilio, ho avuto la tua lettera, datata 2 agosto, che ho letto a Gonario Pinna col quale siamo rimasti d’accordi per inviarti la seguente risposta, che devi ritenere come risposta di tutti i nostri compagni delle due province…

«In queste condizioni, né io, né Antonino Lussu, né Gonario Pinna, né molti compagni delle tre province, avremo rapporti con i dirigenti sardisti: è chiaro. Nessuno di noi pronuncerà mai una parola contro l’unità dello stato italiano, né farà mai propaganda di separatismo…». 

Ed agli impliciti rilievi di Lussu circa gli spazi concessi o, meglio, non concessi dai sardisti agli azionisti in arrivo, risponde: «Lasciamo stare l’astuzia cui sono ricorsi gli amici sardisti a Macomer: per poterci in un prossimo avvenire chiudere la bocca, provvedendo con la massima urgenza alle nomine dei comitati e fiduciari regionali, provinciali e di zona. Nessuno di noi ambiva a cariche: per quanto riguarda me e Pinna, puoi esserne assolutamente sicuro. Ma sta di fatto che con l’ermetica chiusura dei quadri, votata […] nel congresso di Macomer, il nostro apporto nel partito, e cioè la nostra opera di propaganda in favore del programma del partito italiano d’azione, sarebbe stato reso impossibile. Stando così le cose, io, Pinna, ed i compagni di Sassari, ci riuniremo presto e decideremo sul da farsi…».




Tutto questo per dire dell’autonomia di giudizio e della fedeltà ai superiori valori dell’umanesimo repubblicano in cui ben rientra il patriottismo politico e può porsi la concertazione con il PSd’A, di Pinna con Pintus, o di Pinna attraverso Pintus. Il corso della storia, dopo i vent’anni di dittatura e gli sconquassi della guerra più luttuosa che sia dato di immaginare, impone forse regole tattiche nel presente della scena politica. E dunque la linea di solidarietà con i sardisti, che pur Lussu ha definito strumentalmente in vista del confronto/contrasto con le posizioni democratico-riformatrici, non socialiste, di La Malfa e Parri, è una linea accolta dagli esponenti azionisti (e già repubblicani) isolani ma non passivamente, mai passivamente.  

Spererei di approntare un giorno una mostra dei documenti dell’azionismo isolano e/o del sardoAzionismo (del mix cioè di PSd’A e PId’A), compresa copia delle carte favoritemi dall’avv. Pinna negli incontri con lui avuti fra giugno (il 7 e il 10) ed agosto (il 19) 1990. Oggi presento, per rapidità, soltanto il resoconto dei nostri colloqui, cui farò ravvicinato seguito con altri scritti: fra essi in particolare un commento critico sul suo liberalsocialismo (in mix con l’istanza federalista coltivata da sempre) a firma di Maurizio Battelli. 


Io, discepolo di Mazzini e di Cattaneo

«... E mi attendevo che l'avv. Pinna mi venisse incontro con larghi gesti, lanciasse in aria il largo cappello e mi gridasse in faccia "Viva la Repubblica!"...». Ho in mente questo flash delle Memorie politiche della nuoresissima Mariangela Maccioni quando - nei pressi del Corso Garibaldi, luogo dell'incontro atteso con gli antifascisti del paese, quella prima mattina del 26 luglio 1943 - mi inoltro nella breve strada che è intitolata a Giuseppe Pinna, il deputato radicale di qui, assassinato nel 1908, quando Gonario - che avrebbe ripercorso l'itinerario professionale (oltre che politico) paterno - aveva appena dieci anni.

Riferisco di incontri avvenuti fra il pomeriggio e la sera, in quest'estate 1990. Nella sua abitazione di Seuna, a Nuoro: un palazzotto solenne e quasi dominariu, ritinteggiato negli esterni con colori forti sul rossastro, a un passo dalle Grazie antiche.

Gonario Pinna è l'anima intellettuale di Nuoro, è colui che - in questo secolo - ha meglio combinato, in Sardegna, cultura e politica, e non solo cultura politica e politica di partito... Ormai costretto in una poltrona, ormai duramente provato nella vista e nell'udito - lui che è sempre stato la quintessenza della vitalità - si conserva chiaro e vivace (ancorché misurato) nella parlata e, soprattutto, lucido e preciso nei ricordi.

Già repubblicano, cofondatore del circolo della Gioventù Ribelle, in quella Nuoro degli anni '20 della quale scrive Salvatore Satta nel suo Giorno del Giudizio, antifascista controllato dall'OVRA nel ventennio, e poi - alla ripresa della democrazia, fra il 1943 ed il 1944 - ancora repubblicano e azionista e quindi, per il patto fra PSd'A e Pd'A, sardista. (Anzi, è proprio questo l'oggetto primo dei nostri colloqui, dei nostri flashback, cui partecipano anche Lucia e Maria Teresa, le due figlie rimaste a Nuoro, docenti per tanti anni alle scuole superiori cittadine, personalità spiccate in cui, al di là del timbro di ciascuna, è facile scoprire l'eredità intellettuale paterna, la solida orma dell'eleganza culturale paterna, di una cultura che gioca su ampi scenari).

Dopo una lunga militanza nel partito dei Quattro Mori, costantemente espressa con invidiabile indipendenza di giudizio, l'avvocato Pinna sarà infine esponente socialista, precursore (già dal 1955) di un socialismo autonomo dal PCI, riformatore o, come si dice oggi, riformista, pragmatico e non marxista. E deputato al Parlamento negli armi di preparazione del centro-sinistra.

E consigliere comunale della sua città, per la quale ha scritto autentica poesia, pagine di rara bellezza. Per esempio raccontando degli artisti di qui, Ciusa o Ballero... E lungo tutti gli anni ed i decenni d'impegno politico e letterario, come autore e curatore di testi di varia collocazione tematica, compresi quelli poetici, soprattutto avvocato, grande penalista di questa terra nuorese che al mondo forense isolano ha dato il meglio: e bastino i nomi di Pietro Mastino e di Luigi Oggiano, per citare solamente due dei maggiori, e compagni di fede, dello stesso campo o di un campo contiguo.

Una conversazione a puntate, un'ora e mezza o due per volta, fra giugno e settembre. Una conversazione che inizia con un riferimento diretto a Cesare Pintus di cui Pinna ricorda un ultimo colloquio al "Forlanini", a Roma - doveva essere il 1947 - dove egli andò a trovarlo per rassicurarsi del buon procedere delle cure. Parliamo di Pintus e della sua originaria militanza repubblicana, della successiva nel movimento clandestino di Giustizia e Libertà e del suo arresto, nella famosa retata del novembre 1930 che già aveva portato in carcere, coi molti altri, Francesco Fancello (corrispondente di Cesarino in quell'ultimo e decisivo scambio epistolare: di Cesarino che gli mandava messaggi cifrati scritti con un inchiostro simpatico che la polizia aveva infine saputo rivelare); e poi ancora della lunga detenzione nei penitenziari di Regina Coeli e di Civitavecchia, del contagio tubercolare e della necessaria operazione chirurgica subita nell'ambulatorio carcerario, dell'esclusione punitiva dall'ordine professionale durata fino ai primi del 1944.

E qui, finalmente, il passaggio - quasi momento per momento - attraverso l'impegno di organizzatore di una quarantina di sezioni dell'inedito Partito d'Azione, fra Cagliari e Oristano, fra il Sarrabus ed il Sulcis, di interlocutore numero uno dell'attivo e combattivo azionismo sassarese messo su da uomini d'ingegno come Mario Berlinguer ed iperattivi come Salvatore Cottoni: lungo una stagione, fra l'autunno dei 1943 e l'autunno del 1944, che culmina nella confluenza "italianista" nelle file del PSd'A. Un'operazione definita e consacrata - sotto la regia pragmatica e anche, per certi aspetti, machiavellicamente spregiudicata, di Emilio Lussu appena tornato in Sardegna dopo quasi diciotto anni di lontananza coatta - dal VI congresso sardista svoltosi, senza l'ingombrante presenza del leader, a Macomer. Un'operazione di cui adesso, però, Gonario Pinna fornisce una lettura diversa, o diversamente articolata rispetto al già saputo, accrescendo e rafforzando un'ipotesi che avevo affacciato proprio presentando quella lettera che Cesare Pintus, nell'agosto del 1944, aveva spedito all'antico capitano della "Sassari" per notificargli il suo "no" - e anche quello di Pinna - alla confluenza. Un "no" superato successivamente dal rovesciamento della filosofia che si voleva sovrintendesse all'accordo: non un assorbimento del Pd'A sardo (il cosiddetto PId'A) nel PSd'A, quasi che a quest'ultimo fosse riconosciuto uno status politico e, più ancora, un rango ideologico che invece gli era negato, ma piuttosto un'adesione del PSd'A ai "lineamenti programmatici" del Partito d'Azione, e perciò - come conseguenza meramente organizzativa, di struttura - la confluenza "tecnica" degli italianisti nelle più numerose sezioni sardiste.

La chiave di tutto è in una lettera appunto a Lussu, datata 29 settembre 1944, di cui Pinna mi consegna la minuta: «Caro Emilio, [...] penso che il Direttorio del P. Sardo potrebbe profittare del tuo nuovo prossimo soggiorno fra noi per indire un altro Congresso regionale del Partito che dovrebbe: a) risolvere definitivamente e solennemente la questione - per noi fondamentale - dell'adesione del P. Sardo ai lineamenti programmatici del P. Italiano d'A. [...J». Ecco, più "flessibile" di Pintus, in questo senso, più "politico" si direbbe del suo omologo cagliaritano, Pinna non fa più ostruzionismo alla risoluzione lussiana, ma tende piuttosto a valutare e prefigurare pragmaticamente i modi e i luoghi del patto federativo fra PSd'A e Pd’A (PId'A). È un passo decisivo per la comprensione dell'operazione politica che si compì nella tarda estate del 1944 tra le forze più fermamente schierate a favore dell'autonomia (al di là della formula tecnico-istituzionale). Un passo in avanti rispetto a quanto rivelato dalla lettera parallela di Cesare Pintus, il quale aveva opposto a Lussu tutta una raffica di "no", smontando gli argomenti che il leader sardista-azionista aveva enunciato per suffragare la propria decisione, per dare ad essa una qualche copertura ideologica: del genere che le sezioni azioniste, in fondo, eran tutte composte da vecchi sardisti...

«Io desidero che lei legga una lettera che io ho scritto a Emilio Lussu», dice con voce afona, ma dal tono cordialmente imperioso. «È importante, molto importante», precisa. «Legga», ordina, e vuole che a ripetere quel testo scritto quarantasei anni fa sia ora io, non Maria Teresa che s'è gentilmente offerta, lei che conosce benissimo i geroglifici paterni e vuoi salvarmi dagli inciampi.

Leggo, poi riprende lui e allarga il discorso al PRI, gettando luce su una pagina sconosciuta della vicenda repubblicana o repubblicana-azionista sarda: «Io invitai Michele Saba e Agostino Senes a venire a Nuoro per esaminare la situazione. Non accettò Agostino Senes perché malaticcio, e allora decidemmo Michele Saba ed io di andare ad Oristano, dove io tentai, ma vanamente, di persuadere Saba e Senes ad entrare nel PId'A. Non ci riuscii. Io rimasi nel PId'A e i due restarono nel Partito Repubblicano. Allora io, che già a Bari avevo saputo della confluenza del Partito Repubblicano nel Partito Italiano d'Azione, dichiarai subito, non ricordo se a Guido Calogero o ad altri, che sarei stato il responsabile per Nuoro - non parlai della Sardegna - del Partito Italiano d'Azione».

Bari. È lì che avviene la "conversione", anche se solo, potrebbe dirsi, al nuovo "strumento operativo", nella fedeltà inalterata ai principi della democrazia repubblicana, mazziniana e cattaneana ad un tempo. Dice: «Io andai come rappresentante del Partito Repubblicano. È lì che diventai azionista». Si tratta di una precisazione importante: chiunque ne abbia scritto successivamente ha attribuito erroneamente a Pinna, già allora, una qualifica politica non ancora assunta, come esponente della Spada fiammeggiante azionista invece che dell'Edera repubblicana.

Cosa determinò quel passaggio dal PRI al Pd'A? La parola è ancora al protagonista: «A Bari siamo andati io come repubblicano, Antonio Segni, sempre carico di mantelle (perché donna Annetta, la madre, temeva che si prendesse i raffreddori), e Salvatore Sale, sardista di Padria... In quell'occasione ho chiesto di Oronzo Reale e non mi hanno detto che era passato al Partito d'Azione. Mi hanno detto: nell'Italia liberata, ma soprattutto al nord, i repubblicani sono confluiti nel partito di Guido Calogero, che allora era l'ispiratore del Pd' A. Credo di ricordare che parlai proprio con lui, con Calogero. Comunque con un alto esponente del partito».

I ricordi si fanno sempre più precisi, perfino sui particolari del viaggio: «Stavamo precipitando sul monte Pellegrino, a Palermo... Era un trabiccolo militare, e io ero sempre agganciato a quei longaroni d'acciaio dell'aereo, così, sospeso in aria, in piedi. Non c'era posto per sedersi. Eravamo partiti da Decimo. Segni soffriva il mal di viaggio, e io, agganciato con una mano a un longarone, rosicchiavo una pernice, tanto che lui, seduto per terra, diceva: "Ma guarda quello lì, mangia con un appetito!". E io me la godevo ballonzolando... mio Dio! in modo spaventoso».

A Bari della Sardegna parteciparono anche un altro azionista, Mario Berlinguer cioè, il comunista sassarese Giuseppe Tamponi, il socialista iglesiente Angelo Corsi ed il liberale cagliaritano Francesco Cocco-Ortu. Della pattuglia regionale il solo a prendere la parola, in assemblea, fu il comunista Vello Spano che - ricorda Pinna - «conobbi in quell'occasione».

Un'esperienza esaltante che andò «molto a genio» a quel nuorese che, dopo aver seminato per tanti anni il suo antifascismo testimoniale, ora si sentiva chiamato a un impegno più operativo, non di passivo resistente, ma di ricostruttore. «Io solo, di Nuoro, ho voluto partecipare, ho voluto, anche se mi dicevano che era pericoloso il viaggio, perché era un trabiccolo militare, bah! tutto scheletrico...».

Se a determinare Gonario Pinna all'intrapresa di militanza nel nuovo moderno partito della progettualità laica, ancora fortemente impegnato - con le sue eroiche brigate "Giustizia e Libertà" - nella guerra di liberazione, qual era il Partito d'Azione di Lussu e di Parri, di Calogero e di La Malfa, di Dorso e di Valiani, certamente a rafforzare quella decisione aveva contribuito, almeno psicologicamente - è lo stesso mio interlocutore a confermarlo - la rottura avvenuta all'indomani del congresso barese, a Oristano, in sede di riunione del Comitato regionale (assemblea dei tre CLN provinciali), nella rappresentanza repubblicana. Quando, precisamente, Saba e Senes avevano votato - con democristiani, liberali, sardisti ed il socialista Meloni - un ordine del giorno che, pur con tutte le riserve e le cautele del caso, accettava la linea del collaborazionismo "tecnico" col Governo Badoglio, mentre l'esponente nuorese, il più radicale di tutti nell'intercomitato, aveva sostenuto, perdendo, il documento della "sospensiva" (che rimandava alle future istruzioni da parte della Giunta eletta a Bari), sottoscritto da PCI, PSI e Pd'A. Undici contro otto il risultato. «Io ero contro Badoglio», ripete - ancora accalorandosi - l'avvocato Pinna.

Le cronache dei giornali hanno dato conto, con grande chiarezza, delle posizioni da lui sostenute. Ma oltre quelle cronache arrivano ora documenti inediti. Vengono soprattutto disseppelliti quella decina di fogli di largo formato, minutati a mano, che erano serviti come scaletta dell'intervento di rottura. In quelle riflessioni ed osservazioni critiche c'è tutta l'intelligenza politica e la sapienza dialettica dell'avvocato che non è solo avvocato.

Si sposa bene con quest'impostazione severa ed antidiplomatica la nota che il 14 febbraio Pinna indirizza a Luigi Oggiano, segretario del CLN provinciale di Nuoro: «Carissimo, In seguito ai risultati del convegno tenuto ieri in Oristano mi affretto a comunicarti quanto segue. Profondamente convinto che l'odg di Bari non consenta ai comitati di C.A. alcuna collaborazione col Governo Badoglio, e deciso comunque ad attendere - per seguirlo con disciplina - le direttive che in proposito saranno richieste alla Giunta Esecutiva Permanente dei Comitati di Liberazione, non intendo partecipare ai lavori del Comitato Provinciale e Regionale fino a quando non ci saranno state comunicate le direttive stesse».

Ed è interessante, a questo riguardo, quel che scrive Francesco Spano-Satta [o Spanu-Satta], uno dei dirigenti del Pd'A sassarese, che solidarizza col radicalismo espresso dal repubblicano-azionista nuorese: «Fatti di diversa origine che Lei intende meglio di noi hanno voluto che le Sue apparissero quasi come le parole di un solitario. Così non è, in sostanza, e quando s'avrà un po' più d'organizzazione molte cose dovranno cambiare». È un memento per quei «tanti bravi signori che sbandierano programmi riformatori e di sinistra» e rivelano invece un inaccettabile conformismo... Almeno nella lettura che ne dà Spano-Satta.

È cambiata la scena, dunque. Tornato in Sardegna, dopo Bari, Pinna prende contatto - da una parte - con i vecchi amici repubblicani (Saba e Senes in primo luogo, s'è visto), per determinarli al passaggio nella nuova formazione politica che è insieme punta avanzata ed asse centrale dei CLN di cui, tranne che in Sardegna e in qualche altra limitata zona d'Italia, il PRI non ha voluto far parte e - dall'altra - con i nuovi compagni azionisti: Cesare Pintus, antico fraterno amico, a Cagliari, e Mario Berlinguer e Salvatore Cottoni a Sassari.

Un appunto manoscritto (da Pinna), senza data, ad un certo punto recita: «Il 26.5.44, in seguito alla fusione già intervenuta nell'Italia liberata del Partito Repubblicano col Partito Italiano d'Azione, le sezioni sarde del Partito Repubblicano diventarono sezioni del Partito Italiano d'Azione. In tal senso io ho scritto ai segretari del Partito Repubblicano della Provincia di Nuoro».

È invece precisamente datata – 28 maggio 1944 - la lettera indirizzata ai segretari delle sezioni repubblicane del Nuorese: «In seguito alla fusione, già avvenuta nell'Italia Liberata, del Partito Repubblicano col Partito Italiano d'Azione, che ha ereditato le idealità tradizionali e il programma irriducibilmente antimonarchico del Partito Repubblicano, le sezioni di questo diventano Sezioni del Partito Italiano d'Azione.

«In tale senso deve essere rinnovato o fatto verbale di costituzione della Sezione, se gli inscritti approvano - come credo - la fusione.

«La prego perciò di inviarmi con cortese sollecitudine: 1°) il verbale di costituzione della Sezione;

2°) l' elenco degli inscritti.

«Spero che Lei abbia presto occasione di venire a Nuoro e di visitarmi; avremo così uno scambio di vedute sulla situazione politica isolana. Saluti cordiali».

Un altro appunto - che porta la data del 7 giugno - elenca una serie di nominativi, coi rispettivi paesi di residenza: si tratta sicuramente dei nuovi fiduciari di zona, pochi, meno d'una decina, del Partito d'Azione al suo debutto in provincia. Eccoli i nomi, nella sequenza e con le notazioni di pugno: «Mamoiada, Golosio Domenico; Montresta, Chirra Sebastiano; Bitti, dott. Delogu Giuseppe; Escalaplano, dott. Raimondo Salis (il quale però prima si diceva liberale e fascista); Lula, Pinna Giorgio di Saverio; Orani, Cauglia Luigi ins.te; Posada, Culleddu Giov. Francesco -S. Teodoro, effettivo [e] Oggianu Paolo di Narciso - Posada, supplente». Con l'ultima annotazione: «Per altri nominativi occorre attendere decisioni del Sottocomitato». Gli azionisti presenti nei vari comitati comunali di concentrazione, con tutta probabilità.

È invece di epoca immediatamente precedente debbono essere questi altri due appunti, che fanno però -riferimento al PRI della provincia di Nuoro: «Membri repubblicani nei Comitati: Tertenia, Locci Tommaso fu Giovanni; Baunei, Foddis Giuseppe; Dorgali, Saba dott. Vezio; Lanusei, avv. Narduccio Usai; Lula, Leoni Salvatore di Giorgio; Mamoiada, Angioi Giuseppe (Peppino); Orosei, Carta Antonio fu Prospero». E poi: «Rappresentanti partito repubblicano nei Comitati comunali: Noragugume, Corda Tomaso di Giovanni; Oniferi, Lostia Ant. Maria, Corodda (democratico repubblicano); Ottana, Fadda Antonio di Giov. Maria (nominato usciere del Comune dopo la caduta del fascismo ed unico ottanese non tesserato); Sindia, Lai Arturo; Teti, Porcu Giuseppe fu Salvatore; Mamoiada, Angioi Peppino (pensionato); Bosa, Manca Paolo; Cuglieri, rag. Claudio Dodero».

Con questa postilla in cui è evidente la mano di Mastino: «È stata approvata la mia proposta circa la costituzione dei Comitati Comunali, che dovranno essere costituiti da un solo rappresentante di ciascun partito. I posti che resterebbero scoperti, rimarranno tali sino a quando non si costituiranno i partiti. (Questa modifica è stata proposta da Peppino Puligheddu, che io naturalmente e tutti gli altri abbiamo approvato). Esaurite tutte le pratiche perdenti, che erano a base di insulti e richieste di posti in sostituzione di altri fossero o no fascisti. A stasera ampio resoconto nell'ora che ti farà comodo».

Di lato all'intensa attività organizzativa posta in essere in vista di raggiungere un assetto definito come comitato provinciale azionista e come presenza del partito nel CLN nuorese, c'è l'attività pubblicistica. Proprio nelle settimane in cui compie più decisamente il suo passaggio dall'area repubblicana a quella della Spada fiammeggiante, sull'Unione Sarda escono due suoi editoriali: "Gli intellettuali e la ricostruzione" e "Le masse nella vita politica", rispettivamente del 19 febbraio e dell'11 marzo 1944.

«La restaurazione morale può svolgersi di pari passo con quella [materiale] e anzi precederla, non soltanto come presupposto e premessa d'ordine spirituale, ma nel tempo, potendosi iniziare fin d'ora, tra le raffiche della tempesta e quando la lezione delle cose, così dolorosa e bruciante, è essa stessa fonte di meditazione e medicamento severo; laddove all'altra, la ricostruzione materiale, si potrà por mano soltanto in seguito, quando la luce cruda del cielo spazzato dall'uragano rivelerà compiutamente il volto pauroso delle devastazioni e del disastro. Si pensi, per esempio, al problema della scuola che è materiale, morale, tecnico e politico a un tempo. Dovremo certamente ricostruire gli edifici scolastici, le cliniche, le biblioteche, i laboratori, i gabinetti scientifici [...]. Ma occorrerà del tempo. E non dovremmo intanto trattare il problema morale e anche tecnico e politico della scuola? Non dovremmo intanto dire ai giovani le parole che l'esperienza di questo ventennio ci ha dolorosamente insegnato? E non dovrebbero su codesto problema aprir becco proprio gli intellettuali?», scrive nel primo dei due articoli.

E nel secondo - contestata una certa lettura riduttiva del fenomeno fascista per lungo tempo data dal "suo" Benedetto Croce - quasi come di utile scossone alla democrazia malata, o al parlamentarismo malato del post-Risorgimento, Pinna individua il punto debole del sistema politico di libertà precedente il buio ventennio di Mussolini nella esclusione delle masse popolari dai livelli di responsabilità nell'amministrazione della cosa pubblica. Da buon mazziniano egli sa che liberalismo e democrazia non sono la stessa cosa.

È un articolo rivelatore della personalità intellettuale e politica di Gonario Pinna, questo che esce sull'Unione all'indomani della devota celebrazione dell'Apostolo genovese. Sono considerazioni che illuminano la complessità e la profondità della sua riflessione e meritano una risposta integrale: «L' educazione politica non è stare o ricevere dal di fuori qualcosa che si possa acquistare come premio o come dono [...]; ma è conquista individuale e collettiva di ogni giorno [...]. La stampa, la scuola, i partiti, le associazioni, le associazioni culturali popolari che dovranno rifiorire e moltiplicarsi contribuiranno notevolmente allo sviluppo della coscienza del popolo; ma questa si forma, si tempra, si eleva nel continuo esercizio delle libertà politiche, nelle organizzazioni sindacali, nella vigile partecipazione alla vita dei comuni, delle regioni, dello Stato...».

A fine luglio, a Macomer, si svolge il VI congresso del PSd'A il quale, al termine di due impegnative giornate di dibattito e di scontro, approva a larga maggioranza un documento proposto da Luigi Oggiano che recepisce integralmente l'istanza lussiana di un'intesa nazionale fra PSd'A e Pd'A e, conseguentemente, approva la prossima ammissione dei cosiddetti "italianisti" nelle file del Partito Sardo.

E qui è molto interessante - combinandosi con quanto ho già riferito - il modo in cui l'ordine del giorno congressuale sardista viene recepito dai «rappresentanti provinciali del Partito Italiano di Azione in Sardegna» una volta valutata l'improduttività della resistenza al diktat lussiano. È infatti firmato «Pinna - Pintus - Cottoni» un documento che così recita: «Considerato che esso [l'odg votato il 30 luglio] esprime la sostanziale adesione del Partito Sardo ai lineamenti programmatici del Partito Italiano d'Azione, alle cui direttive nei problemi di carattere nazionale e internazionale dichiara di conformarsi, sempre che non siano in contrasto con i vitali interessi dell'Isola; [essi] affermano che è dannosa alla chiarezza della lotta politica e alla educazione politica delle masse la coesistenza di due gruppi politici che assumano la difesa degli stessi principii nazionali e regionali; e, auspicando l'organizzazione del Partito d'Azione su base federale regionale, deliberano di prendere accordi col Direttorio del Partito Sardo per addivenire all'unione delle due organizzazioni sotto la denominazione del Partito Sardo d'Azione».

Ecco un'altra fondamentale tessera del mosaico: l'auspicio e la prefigurazione quasi di una strutturazione territoriale del Partito d'Azione: tanto da rendere il PSd'A la "quota" azionista nell'isola e, forse, null'altro, nulla di più.

Del 2 agosto intanto è la lettera che Lussu ha inviato in Sardegna - a Pintus - per dare istruzioni circa la confluenza. Gli risponde - s'è visto - il leader cagliaritano manifestando tutte le sue perplessità che sono condivise da Gonario Pinna. E lo stesso Pinna, il 29 settembre, mentre afferma, sostanzialmente, di entrare nel PSd' A, fornisce però a Lussu i suoi perché ad evitare equivoci riduttivi o addirittura stravolgenti.

Commenta ora il mio interlocutore: «Ci fu una specie di attrito fra me e Lussu, non dico diverbio, ma attrito, perché non riuscivo a persuadermi della necessità, affermata da Lussu, di confluire nel Partito Sardo d'Azione, tanto che io venni sempre considerato e chiamato, talvolta dispregiativamente, "italianista". Questa lettera per me è fondamentale. Non le pare?».

La lettera a Lussu - vi ho già insistito - come passaggio cruciale della vicenda azionista sarda, un testo che il suo autore mi invita a ripubblicare «integralmente». E insiste ancora: «integralmente». In essa ripone - è evidente - una stima definitiva, come si trattasse di una specie di testamento politico dal quale alle generazioni future - quelle, naturalmente, impegnate nelle esitanti lotte combattute da posizioni di minoranza - potesse o dovesse venire un ammaestramento intorno al modus, al come la riflessione politica, lo stretto aggancio ai valori etici e civili irrinunciabili, sanno tradursi, su un piano di assoluta dignità e all'interno della più difficile delle contingenze, nella concretezza di scelte di schieramento e di alleanza che potrebbero ritenersi se non proprio trasformiste, comunque non le più congrue, non le più conseguenti. Una lettera-documento-testamento che vale - per dirla metaforicamente e... a futura memoria - a mettere i puntini sulle i, quasi il suo estensore immaginasse, o inverasse anzitempo, tutte le delusioni che avrebbe di fatto provato nella decennale militanza fra i Quattro Mori...

Ormai è fatta. Reca l'intestazione «Partito. Italiano d'Azione - Comitato Provinciale di Nuoro» e la firma «Il Segretario prov.le del Partito Italiano d'Azione (Avv. Gonario Pinna)» la lettera circolare che parte dal capoluogo barbaricino il 9 novembre 1944 agli indirizzi dei vari segretari sezionai del partito in provincia. È un altro documento importante. Vi si legge: «Come avrà appreso dai giornali, i dirigenti regionali del Partito Italiano d'Azione e del Partito Sardo d'Azione riunitisi a Macomer il 15 Ottobre u.s. sotto la presidenza di Emilio Lussu - hanno approvato all'unanimità il seguente ordine del giorno:

«"Il Direttorio del Partito Sardo d'Azione, in esecuzione della volontà del Partito espressa al Congresso regionale di Macomer nell'ordine del giorno del 30 Luglio 1944, ed i rappresentanti provinciali del Partito Italiano d'Azione;

«"Constatato che i lineamenti programmatici dei due Partiti concordano sostanzialmente;

«"Riaffermata la inopportunità della coesistenza nell'Isola di due gruppi politici che assumano la difesa degli stessi principii nazionali e regionali;

«"Decidono di unire le forze organizzative locali del Partito d'Azione nell'unica organizzazione del Partito Sardo d'Azione".

«Conseguentemente, nei comuni ove esistono Sezioni del Partito Italiano e del Partito Sardo d'Azione, i Segretari di entrambe le Sezioni sono invitati a procedere al più presto alla unificazione delle due organizzazioni.

«Le forze organizzative locali, così unificate, prendono il nome di "Sezione del Partito Sardo d'Azione".

«Nei Comuni ove esistono soltanto le Sezioni del Partito Italiano d'Azione, esse assumono la denominazione di "Sezione del Partito Sardo d'Azione"

«Restano in carica i dirigenti locali della Sezione che hanno maggior numero di iscritti; ma le Sezioni unificate dovranno procedere sollecitamente a nuove elezioni».

Un azionista nel PSd'A: portatore di una cultura, di sedimentazioni ideologiche rimontanti a fonti che certamente travalicano i confini regionali. Un azionista nel PSd'A: con un'incontenibile vocazione provocatoria. E la provocazione "alta" - cioè esterna alla logica, pura e semplice, della "piccola patria sarda'- c'è, ed è fissata anche nel cumulo di appunti, di relazioni, di articoli, di saggi, di ordini del giorno e di mozioni che ho, per esempio, ritrovato in casa Mastino. E l'avvocato Pinna - che ha piena consapevolezza della sua quasi insuperabile prolificità di scrittore - si diverte adesso ad osservare quanto egli sia presente, ancora presente, là dove - sancta sanctorum della politica sardista - è stato contrastato per tanto tempo...

Rileggiamo una di queste infinite carte, e precisamente quell'articolato di quattordici punti, di fine spirito azionista - dovrebbe esser datato 1945 - che così inizia: «Il PSd'A riafferma, anzitutto, il carattere fondamentale del problema della libertà e la necessità di risolverlo non soltanto attraverso un'assidua e instancabile opera di educazione— che nell'apostolato di Giuseppe Mazzini trova la sua più alta e nobile ispirazione - ma anche, e senza ulteriori differimenti, nel piano politico, attraverso la creazione di istituti politici che garantiscano l'esercizio della libertà in tutte le sue manifestazioni: libertà di parola, di stampa, di associazione, di culto». Documento in cui balza subito agli occhi la latitudine civile e politica nella quale può e sa collocarsi il partito regionale com'è concepito dal lontano ma non dimentico allievo della scuola mazziniana. Un documento nel quale, dopo Mazzini, s'affaccia Cattaneo col suo repubblicanesimo federalista («In Italia - scrive Pinna al terzo punto - la repubblica non può essere che federale», cioè ordinamentata in vista della piena realizzazione di «quella concezione organica e sistematica di autonomie regionali che fu ed è la prima ed essenziale ragion d'essere del Partito Sardo d'Azione»), e s'affacciano Ghisleri e tutti i grandi - compresi i socialisti - della grande scuola democratica risorgimentale.

È così quando afferma «l'indivisibilità del problema della libertà e del problema della giustizia ovverossia l'indissociabilità del problema, politico dal problema sociale»; così quando afferma che «il lavoro è un diritto e dovere sociale»; così quando, contestando il capitalismo puro definito «fonte di egoismo, di crisi economiche, di guerre fra i popoli», ribadisce la validità della formula «capitale e lavoro nelle stesse mani». Ma è così anche quando - al di là delle enunciazioni di principio (che mai sono però generiche od evasive o mero rimando retorico) - si passa alla parte più propriamente programmatica, entrando nel dettaglio delle ipotesi di espropriazione della proprietà privata, in taluni strategici settori, a vantaggio dell'interesse collettivo; della centralità, nel nuovo assetto economico, delle aziende medie e piccole; delle forme di gestione collettiva; della partecipazione dei lavoratori agli utili dell'impresa; al ruolo delle categorie tecniche ed amministrative; alla disciplina della "questione terra" in Sardegna, con anticipo rispettò alla grande riforma agraria avvertita come esigenza e urgenza nazionale; fino all'adozione dei principi della dottrina Beveridge sulla sicurezza sociale (previdenza e assicurazioni). Ecco l'azionismo proposto attraverso il PSd'A, l'azionismo liberai-socialista di Guido Calogero come l'ha originalmente reinterpretato Gonario Pinna.

Certo, negli anni c'è una esemplare continuità del pensiero politico, delle convinzioni profonde dell'esponente repubblicano-azionista-sardista nuorese, benché ad un certo punto non manchino - ma questa è l'opinione strettamente personale dli chi scrive - radicalizzazioni che il tempo ha dimostrato non valide. Conservato nell'archivio di casa Mastino c'è, per esempio, della fine degli anni '40, uno schema di mozione congressuale del PSd'A, in cui continuità e svolta si bilanciano.

La continuità: nel senso dello spirito laico e giacobino, avversario delle grandi forze-chiesa, ostile «sia al sistema politico cui tende la democrazia cristiana, contrario alle tradizioni risorgimentali e inteso a creare uno stato confessionale, sia al sistema politico cui mira il partito comunista pur esso negatore di libertà e se pur favorevole all'autonomia della Sardegna, sostanzialmente contrario alla struttura autonomista dello Stato», e dichiaratamente terzaforzista, per «un grande partito politico socialista democratico autonomo» capace di conciliare «gli essenziali postulati liberali e le esigenze di un nuovo ordinamento sociale». Una terza forza di cui il PSd'A, nell'isola, costituirebbe «la spina dorsale» come «partito socialista liberale, democratico, antistatalista, antiprotezionista» con referenti internazionali. Da cui l'auspicio di un «movimento federalista europeo, embrione di una nuova e migliore organizzazione politica e sociale continentale».

E la svolta: l'opzione neutralista, in cui riecheggia il pacifismo oltranzista e inderogabile, ma filosofico, di un Capitini - per restare in campo azionista - o quello più politico, ma non meno dottrinario, di certo socialismo (compreso quello lussiano) ormai confuso, nel patto unitario, col PCI. Scrive infatti: «[Il PSd'AJ afferma la necessità nazionale di una politica intesa a garantire l'indipendenza del paese tra i due blocchi antagonisti e di un'azione diretta a ottenere il riconoscimento internazionale della neutralità dell'Italia». (In qualcun'altra delle "carte Mastino" attribuibili a Pinna compare questa protesta contro la scelta atlantica del- l'Italia e la contestazione verso Anselmo Contu che ha parlato di «riconoscimento [da parte del PSd'A] della necessità del patto NATO»: una notifica di disaccordo e di dissociazione inviata a Piero Soggiu ed a Peppino Puligheddu, rispettivamente direttore regionale e direttore provinciale di Nuoro del partito).

Epperò, interno a questo gioco di equilibri fra continuità e svolta, c'è evidentissimo il dato dello sviluppo delle antiche tesi repubblicano-azioniste, ribadite anche con grande eleganza stilistica e attualizzate secondo quanto la nuova contingenza suggerisce: per esempio c'è l'auspicio della finalizzazione degli aiuti del piano Marshall alla creazione delle «basi di una nuova politica economica volta a promuovere l'industrializzazione del mezzogiorno e delle isole e la progressiva smobilitazione delle industrie parassitarie del settentrione»; per esempio si pone in capo ai Parlamento nazionale l'attuazione delle «riforme di struttura», in rapporto «ai principi della più alta giustizia sociale e ai suggerimenti della tecnica moderna, avendo riguardo alle particolari condizioni ambientali delle varie regioni d'Italia, al fine di conseguire la maggiore produzione possibile nell'interesse della collettività». E per raggiungere gli obiettivi si dichiara la disponibilità del partito a forme di collaborazione «in piena autonomia colle forze più affini, soprattutto partecipando alle lotte del lavoro e rinvigorendo l'unità sindacale delle classi lavoratrici, per la creazione di una società socialista in un regime di libertà politica», e ciò anche e soprattutto alla vigilia della «prova di autogoverno regionale».

Dopo aver affermato attualità e insurrogabilità della «funzione storica del partito» e la necessità della «sua autonomia politica e governativa», il documento sostiene l'opportunità di intese coi partiti nazionali «per la protezione degli interessi regionali» nonché «per la difesa della Repubblica, della struttura autonomistica e della democrazia politica ed economica contro qualsiasi minaccia». Occorre ripeterlo: un azionista nel PSd'A.

Riferisco all'avvocato Pinna degli oltre 500 nomi di azionisti del capo meridionale dell'Isola che ho già schedato, distribuiti in una quarantina di paesi, e dei verbali di costituzione delle sezioni del PId'A [cioè del Pd’A sardo]. Indugiamo a ricordare - con la memoria lui, coi testi io - alcuni altri momenti dell'esperienza ciellenista sarda e successivi, il richiamo costante al federalismo che viene, da parte di Pinna, in ogni sede, in ogni occasione. Dice: «Guardi che questo è importante, perché io prefiguro sempre il quadro federalista». Mi spiega il suo repubblicanesimo di sempre, al di là delle tessere conservate in tasca: «Mazzianiano per l'unità politica, con Cattaneo per il quadro federalista, organizzativo dello Stato».

Insiste anche sul suo socialismo non classista, di matrice sicuramente, anch'esso, mazziniana. E ricompare pure una formula tante volte espressa negli scritti politici dell'uomo politico nuorese: accanto al partito il sindacato, il movimento cooperativistico e mutualistico «dal quale soltanto - scrive una volta - potrà nascere e trarre vigore la coscienza solidaristica dei lavoratori e produttori sardi», «potente fattore educativo e strumentale per la creazione di un nuovo ordine sociale».

Ecco l'autodefinizione di Gonario Pinna: «Socialista mazziniano, federalista cattaneano. Sempre: nel PRI, nel Pd'A, nel PSd'A, nel PSI». E qui tradisce la schiettezza che sempre gli è stata accreditata come la sua maggiore virtù (ma per altri potrebbe essere... addebito di colpa). Dice press'a poco: nella varietà delle condizioni storiche, il mio è stato un continuo sviluppo delle idee fondamentali che ho coltivato da adolescente. Il binomio socialismo-federalismo cioè. Ovunque, nella militanza repubblicana, in quella azionista, in quella socialista. E prima di questa, ma in modo tutto particolare - profeta inascoltato, forse anche seminatore irriso o respinto —nel PSd'A. E lo chiama - ecco un esempio clamoroso della sua proverbiale schiettezza - lo chiama «episodio increscioso» della sua ultracinquantennale presenza nel mondo della politica. Nel Partito Sardo d'Azione come in una lunga (e vorrebbe dire "penosa") «degenza». E la parola che adopera: degenza. Come a dire l'infruttuosità di quella militanza, l'impossibilità, anche, di un confronto alto: non sui temi tante volte vittimistici della "piccola patria sarda", ma sui valori e sulle esperienze culturali e civili universali in cui inserire, attivamente, il processo di redenzione e di crescita della Sardegna. Sostiene di non essere riuscito ad incontrare come veri interlocutori neppure i migliori del sardismo puro: i Mastino, gli Oggiano, i Melis, per restare a Nuoro, o i Puggioni, i Contu... (Ritorna qui, evidentemente, l'eco delle polemiche - anche polemiche ingiuste - che accompagnarono il già anziano leader dalla fase sardista a quella socialista, a quella nenniana e, specularmente, antilussiana. Anche se fu lo stesso Lussu ad accoglierlo, in una grande manifestazione pubblica, verso la metà degli anni '50, nel PSI).

Ma schiettezza non vuol dire spirito fazioso o ingenerosità. Ha, per esempio, un ricordo grato ed ammirato di Camillo Bellieni, anche di Bellieni sardista avversario del patto col PId'A. «Col Partito Sardo egli ha avuto un rapporto di padre a figlio. Il padre era lui, naturalmente, e un padre geloso e, purtroppo, non obiettivo». E ciò nonostante riconosce la genialità dell'uomo, la statura impareggiabile dello storico.

Insistiamo - soprattutto negli ultimi incontri - su questo identikit psicologico del militante e, più ancora, del dirigente sardista. Del dirigente rimasto qui, in un "qui" che non è neppure la Sardegna (che comunque ha Cagliari), ma è Nuoro e solo Nuoro. (E non è un caso se, divagando, si finisce per parlare dell'opera letteraria di un grande scrittore contemporaneo come Bachisio Zizi e dei suoi nuoresi Santi di creta... E tutti concordano in questo pittorico ricreare il calendario infinito delle occasioni mancate di una Nuoro sempre timorosa di farsi adulta: l'avvocato, "anima intellettuale" del paese, Lucia, la poetessa che ricorda ancora con emozione la sua lontana tesi di laurea sulla Repubblica mazziniana del 1849, la Repubblica di Goffredo Mameli, e Maria Teresa, vivacissima ed appassionata europeista, devota a un ideale supernazionale cui non ha mai rinunciato di saldare la coscienza dei suoi giovani periferici studenti di Santu Predu e di Seuna).

L' identikit psicologico della dirigenza sardista che soffre di «una specie di inferiorità culturale»: come - dice Pinna - capitò nei confronti suoi e di quegli "italianisti" che si fecero sardisti illusoriamente, all'interno di un grande disegno politico via via ridimensionatosi... «Né Fantoni né Mario Berlinguer - proclama - ebbero mai la tessera sardista», benché manifestassero amicizia verso il partito dei Quattro Mori, come anche il congresso di Roma del febbraio 1946 dimostrò. Ma la precisazione qui è importante: e non tanto per il fatto in sé, determinato dalla residenza continentale dei due antichi repubblicani di Nuoro e di Sassari, ma per la sottolineatura, per l'intenzione di essa. Certo, colpisce questo tacere anche quando non si dovrebbe tacere - per esempio nella ricostruzione biografica di chi s'è involato all'oriente eterno - la partecipazione azionista, l'appartenenza azionista, quasi che il solo nominare il fantasma possa materializzare una presenza destinata, per forza di cose, a farsi troppo ingombrante: di chi non accetterebbe d'esser minore verso chi pretendesse - per l'universalità del suo portato ideologico, più che per il numero dei tesserati - un ruolo prevalente e trainante...

Eppure c'è un eccesso di amarezza in questo straordinario interlocutore; eppure il passivo di questo bilancio fatto a voce alta è forse sovradimensionato, e il suo compilatore non può esserne comunque - privo come è, e come non potrebbe non essere, della necessaria obiettività - anche il certificatore. E infatti è stato scritto da Virgilio Lai, l'editore dell'antologia della stampa periodica della Sardegna fra il 1943 ed il 1949: «Nelle zone del sardismo tradizionale, come la Barbagia, per esempio, dove l'influenza di Mastino, Oggiano, Anselmo Contu, Puggioni, ecc. era quasi incontrastata, si avevano tuttavia forti gruppi "azionisti" (a Nuoro la maggioranza della sezione giovanile era sulle posizioni di Gonario Pinna e così, più tardi, la sezione studenti medi). Lo schema di programma politico-sociale del PSd'A presentato nel febbraio 1945 da Gonario Pinna in contrapposizione al programma di Luigi Oggiano, fu approvato dalla sezione giovanile (non da quella adulti, che approvò e presentò al congresso quella di Oggiano), che tenderà a rompere l'isolazionismo dei sardisti "conservatori", attraverso l'incontro e talvolta lo scontro con altre forze, quali le socialiste, le comuniste, le cattoliche di sinistra».

Gli chiedo dei suoi rapporti con la Chiesa, soprattutto negli anni "caldi" delle definizioni programmatiche in senso intransigentemente laico dell'azionismo (e dell'azionismo, poi, trasportato nel PSd'A). Ma ho già le risposte in una cartella di fotocopie dell'ingiallita serie de L'Ortobene, il quindicinale (allora) della Curia nuorese. «Mi attaccava sempre per il mio anticlericalismo», ricorda Pinna. Il quale ad un certo punto reagisce prendendosi il gusto di scrivere ai giornali di Bari alla ricerca di supporti documentari «precisi e solleciti» per sostenere e magari alimentare la polemica: per esempio sulla complicità concordataria fra Chiesa e regime, su Mussolini "uomo della Provvidenza", ecc. Mi consegna anche i manoscritti di due di queste lettere: a L'Italia del Popolo e a Il Nuovo Risorgimento. Entrambe con la firma «Il Segretario provinciale» (del Partito d'Azione di Nuoro). Entrambe con la data «8.10.1944».

«Sappiamo bene che i giornali del partito d'azione (vedi L'Italia del Popolo e Il Nuovo Risorgimento del giugno e luglio scorsi) hanno da tempo aperto le ostilità anticattoliche e anticlericali e conosciamo l'opuscolo del cittadino americano Salvemini che non ha atteso il fascismo o l'antifascismo per scagliarsi contro la religione e le gerarchie religiose», scrive una volta L'Ortobene. L'articolo è datato 15 ottobre 1944 e reca il titolo "La lotta anticattolica del partito d'azione" e segue quell'altro - "Il Vaticano e i partiti politici", che è del 17 settembre - con cui, in combinata, attacca alcuni scritti di Pinna apparsi su Riscossa circa l'«evoluzione programmatica e della tattica dei partiti in Italia». Taglio accademico, sentenzia il giornale clericale (e democristiano spinto, checché ne dica tutte le volte: «noi non siamo organo della democrazia cristiana. Siamo organo di Azione Cattolica») che replica all'accusa rivolta dall'esponente azionista alla politica della Santa Sede, la quale - ha osservato - «in funzione conservatrice, intende sorreggere l'istituto monarchico in Italia».

I rapporti tutto scintille fra L'Ortobene e Gonario Pinna meriterebbero un capitolo a sé. In parte riconducibili all'area ideale o ideologica di riferimento dell'uomo politico nuorese, in parte, e forse più duramente, a lui perché lui, per quella sua antipatica irriducibilità di "fuori squadra". Né è solo roba di questi anni cruciali, nei quali si ridisegna il panorama politico e partitico. Ha ben scritto Raimondo Turtas, nella sua introduzione al volume antologico che ha celebrato il mezzo secolo de L'Ortobene, che «di pari passo con lo sforzo di allargare l'area del consenso a favore della DC, procedeva nel giornale la polemica contro gli altri partiti, soprattutto il PCI e il PSd'A che, per la loro larga base popolare, costituivano una seria alternativa alla DC. Nei loro confronti non si andava per il sottile: oltre alle considerazioni "prettamente religiose" che costituivano il cavallo di battaglia del giornale (ateismo, persecuzione contro la Chiesa, laicismo ed anticlericalismo), non si disdegnava di ricorrere a tutto un armamentario di argomentazioni che spesso sconfinavano in acrimoniosi attacchi personali».

Ma per restare al 1944 e nei dintorni della scelta pastorale «degli Ecc.mi Vescovi Sardi che hanno riconosciuto nella Democrazia Cristiana il partito nel quale i cattolici devono militare» (come il buon Ortobene scrive nel suo settimo numero d'annata), ecco altri momenti polemici che sembrano meritare una qualche speciale attenzione.

Premesso che sarebbe «infondato» ritenere che il cattolicesimo («cattolicismo») ed i cattolici costituiscano una forza avversa ad opportune riforme sociali «o alla revisione d'errori passati», sul merito degli addebiti così risponde L'Ortobene: «È ingiusto ed erroneo attribuire ai Vaticano parteggiamenti monarchici; è egualmente inesatto e ingiusto tacciare di ambiguità il partito democristiano solo perché [...] ha ritenuto che non sia oggi possibile decidere il grave problema istituzionale, perché la decisione - qualunque possa essere - violerebbe i diritti di una parte non trascurabile di italiani ancora schiavi ed oppressi». E circa l'accusa di conservatorismo: «Anche il partito italiano d'azione, come già tanti altri, troverà conforto alla sua travagliosa maturazione nella lettura della Rerum Novarum e del recentissimo radiomessaggio di Pio XII».

Ora i riguardi sono tutti per il Pd'A ed il suo esponente di Nuoro: «Dunque lo strale lanciato dall'articolista non aveva forza (forza di verità) per arrivare al bersaglio. Ma tant'è: il partito italiano d'azione, dai suoi primi vagiti di neonato, pur affermando di non voler fare dell'anticlericalismo, lanciò acuti strilli contro il Vaticano e contro il Papa. Potrebbe pensarsi ad una parola d'ordine e naturalmente ogni cattolico starà attento e mediterà».

Ancora: «Ambigua è finora non solo la tattica ma soprattutto la formulazione del programma del partito italiano d'azione. Avremmo gradito che l'avv. Pinna, da buon critico, si fosse intrattenuto a scrivere del perché tante correnti agitino già questa nuova e non chiara corrente del partito d'azione, [...] del quando il partito d'azione si deciderà a smentire l'accusa mossagli da varie parti di volere una nuova dittatura [ ... ]. In Sardegna poi sono molti quelli che non hanno ben compreso se il compromesso di Macomer, fra partito d'azione italiano e partito sardo, sia stato registrato a spese del primo o del secondo e se anche per ciò le correnti siano così varie e contrastanti che la tattica adottata dagli interessati è quella di parlarne il meno possibile».

Col fioretto (o la sciabola?) dell'ironia viene la replica a Pinna che ha osato profetizzare: «I democristiani vorrebbero [...] tenere una posizione di centro: gli avvenimenti, rovesciando scacchi e scacchiera, li butteranno a destra»: «Il partito italiano d'azione minorenne ed inesperto, ha per ora assai scarso potere di fissare in anticipo gli avvenimenti. E che sia minorenne e ancora nell'età dei giochi lo dimostra anche coll'idea scherzevole di rovesciare gli scacchi e la scacchiera. Il che per un partito repubblicano è un controsenso, sembrando più consono ai suoi ideali che il gioco continui e termini con lo scacco desiderato. Assicuriamo l'avv. Pinna che la democrazia cristiana sa bene, da tempo, le sue vie e la sua meta e le percorre e vi tende con volontà e con metodo chiari e noti. E se vorrà tenersi al centro non temerà davvero che a spostarla possa essere il partito italiano d'azione (repubblicano liberale socialista etc. etc.)». 

Polemica costante questa nominalistica dell'«insegna aperta», su cui insiste la seconda puntata: «Partito d'azione era poco e poco chiaro. Partito repubblicano di azione poteva bastare ma forse apparve di ambito ristretto. Correnti e controcorrenti lo agitavano e allora assunse anche le tinte liberale e-socialista, e in Sardegna, per ragioni topografiche, sardista».

È gustoso questo rimbalzo polemico; lo stesso Gonario Pinna tempera con arguzia il risentimento per le "attenzioni" quasi mai tanto garbate quanto queste che ho riferito proprio perché si ricollegano direttamente all'approvvigionamento di informazioni "scabrose" dai giornali di Bari. È da loro infatti ch'egli ha tratto elementi per scrivere, per esempio, che «il Vaticano non intende trarre le conseguenze della scellerata correità della monarchia col fascismo ma non può neanche farlo perché sente di avere anch'essa la sua parte di responsabilità nell'avallo internazionale concesso al fascismo». Ottenendone, è chiaro, risposta sul punto, mai interessante però quanto quella apocalittica di quadro: «Gli scrittori del partito d'azione si sforzano a protestare per la subordinazione dell'umano al divino, per l'insegnamento religioso da togliere dalle scuole, per il dualismo fra cielo e terra etc. etc.».

Dialettica a largo raggio, con la teologia che si confonde con la politica, e le categorie filosofiche che s'intrecciano agli schieramenti e ad alleanze per il potere. Ma è la cifra di questi anni di "risorgenza".

La stampa barese come magazzino di schede storiche fruibili per le polemiche locali. E questo, per associazione di idee o di ambiente, ci porta, anche se solo per il momento, in una libreria Laterza ove - racconta Pinna - «io avevo incontrato - e per me è stata una cosa meravigliosa - Benedetto Croce. Croce era l'anima della libreria Laterza».

Per Croce ed il suo pensiero l'ammirazione è sconfinata. Raccontando della sua esperienza al congresso di Bari, del gennaio 1944, scriverà Mario Berlinguer: «... il discorso di Benedetto Croce ascoltato con raccoglimento vibrante come un vangelo di verità, un credo sublime, morale e politico (come sentivo, accanto a me, fremere l'anima di Gonario Pinna!)...». E riferisce anche, Pinna, di un tentativo mancato di incontrare a Pescasseroli il grande filosofo, nemico implacabile dell'azionismo vissuto come un tradimento del suo magistero, nemico dell'"eresia" azionista che presumeva di sostituirsi all'ideologia liberale miscelando questa al socialismo, dell'azionismo cui avevano aderito i migliori della sua scuola...

Ecco, torna in mente ancora la testimonianza di Raffaello Marchi che è contenuta, come premessa alle Memorie politiche di Mariangela Maccioni: Gonario Pinna era il solo a Nuoro, con Pietro Mastino, ad essere abbonato, nei lunghi anni bui del fascismo, alla Critica di Benedetto Croce... Si potrebbe dire: a prepararsi per le battaglie politiche e civili più importanti e decisive della Sardegna nuova, nell'Italia nuova.


Fonte: Gianfranco Murtas
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