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Gianfranco Murtas

Umanità e responsabilità pubblica, il chiaroscuro onesto e generoso di Armando Corona e Mario Giglio. Nel centenario della loro nascita (parte terza)

di Gianfranco Murtas

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Se nella prima parte di questa ricostruzione biografica che, con spirito di verità, ho steso per Giornalia intendendo onorare la personalità di Armando Corona e Mario Giglio non soltanto con l’attraversamento delle rispettive esperienze professionali e politiche, ma anche di quelle di massoniche di vertice, ho puntato a dar conto della loro formazione intellettuale e sociale, e nella seconda parte delle loro maggiori affermazioni pubbliche lungo gli anni ’70 e nei primi ’80, in questa terza limito il focus su Armando Corona gran maestro del GOI nell’ottennio 1982-1990. 

Nella prossima parte – la quarta –, toccherà a Mario Giglio raccontato nelle vicende complesse e complicate della Banca Popolare di Sassari vissute con speciale tribolazione nell’ultimo decennio del Novecento. 

Concluderò, nella quinta parte, tracciando – se ne sarò capace – una sintesi di tale esplorazione resa ardua perché compiuta su campi diversi ed incrociante i due filoni personali soltanto nella singolarità del Tempio massonico sardo e italiano. Lo sforzo sarà anche di individuare la originalità dell’apporto alla vita pubblica recato dalle due figure cui sono stato legato, con grande mia gratificazione morale, da importanti motivi d’affetto oltre che – nonostante talune stagioni critiche e di distanza – ideali. 


4.1 – Corona: in mano il Supremo Maglietto

La Camera di 3° grado di ciascuna loggia sarda convocata – così come quelle del resto d’Italia –, nella seconda metà di febbraio 1982 per la formazione delle terne relative tanto alla Giunta esecutiva quanto al Consiglio dell’Ordine del Grande Oriente d’Italia, vota all’unanimità (o quasi) e a scrutinio segreto, in quanto ai Grandi Dignitari, la formazione che ha capolista il Armando Corona (e con lui appunto Lodovico Tomaseo e Massimo Maggiore – candidati quali Gran Maestri aggiunti –, Delfo Del Bino ed Orazio Catarsini – candidati rispettivamente quali 1° e 2° Gran Sorvegliante –, Salvatore de Risky – candidato Grande Oratore –, Antonio de Stefano – candidato Gran Segretario – ed Ottavio Rotondo, candidato Gran Tesoriere); e in quanto al Consiglio dell’Ordine (essendo candidati in tredici) i Fratelli Giglio e Casini (all’unanimità) con supplente Zirone.   

Le settimane che precedono la Gran Loggia sono attraversate – non in Sardegna però – da molti veleni che non danno onore a chi li sparge e in generale all’Istituzione alla quale egli partecipa. Contro Corona, in particolare, circolano volantini con stralci di articoli fascistoidi usciti su Il Giornale d’Italia e Il Borghese: molto imprecisi circa la biografia del candidato bersagliato, molto maliziosi sulle intenzioni sue e di chi lo appoggia. A questi si affiancano altri opuscoli e pieghevoli di rapida diffusione: taluno di provenienza isolana stessa (Sa Republica sarda, nazionalitaria e indipendentista, con titoli del tipo “Armando I Papa di Sardegna”) e distribuzione a cura «del gruppo di opinione La Maggioranza silenziosa», altri forse di orientamento opposto ma pari stilaccio, perché non per il fatto di firmarsi «Massoneria Democratica/ Liberi Massoni Giustinianei» si affranca, chi ne è autore e se ne fa propalatore, da un sostanziale cattivo accredito, quello dell’anonimato qualunquista: «Libertà dalla politica di qualsiasi colore per Palazzo Giustiniani».

Oltreché contro la lista Battelli (e Santoro, Mazzo, Mello, Bini, d’Ippolito, Riccio e Urbini) la lista Corona deve fronteggiare anche quella capitanata dal ligure Mirto Cassanello (con i Fratelli Celona, Oliveri, Capecchi, Sabbatini, Colasanti e Carbucicchio), che si presenta in una logica di continuità tradizionale e tradizionalista – ma alla fine ogni definizione appare incongrua – ed anch’essa però mossa da un intento riformatore (cioè limitativo) in quanto ad alcune prerogative del Gran Maestro circa le iniziazioni “sulla spada” e la grazia ai Fratelli condannati da sentenze dei tribunali interni all’Ordine.

Altri concorrenti alla suprema Dignità del GOI sono i Fratelli Giulio Mazzon, romano segretario nazionale dell’ANPI – cioè dell’Associazione Partigiani –, uomo del socialismo pertiniano, e Augusto De Megni, perugino banchiere ed industriale, politicamente moderato.  

Alle votazioni in Camera di 3° grado (o di Maestro o di Mezzo), la lista Corona raccoglie delle logge attive in tutto il Paese qualcosa come il 55 per cento del totale, quella Battelli un 15 per cento, quella Cassanello appena un 5 per cento, le altre di destra e di sinistra – De Megni e Mazzon cioè – rispettivamente il 10 e il 15 per cento.

Questi i capisaldi del programma coroniano che, già in testa alle primarie, sarà vincitore in Gran Loggia – dove votano soltanto i Maestri Venerabili e rappresentanti del mezzo migliaio di logge attive in tutt’Italia –, sotto il titolo maggiore e moraleggiante de «I fratelli da tempo avvertono l’esigenza primaria di ricercare i valori morali della tradizione e dei costumi massonici ed hanno indicato alcuni obiettivi fondamentali»: «La riaffermazione del primato dei valori iniziatici e rituali dell’ordine su ogni suggestione profana confermando, secondo gli Antichi Doveri, l’assoluta fedeltà alle leggi dello stato», «Il recupero ed il rafforzamento della fiducia e della serenità del popolo massonico attraverso la trasparenza degli atti del gran magistero e degli altri organi di governo della massoneria italiana», «Ad ogni fratello deve essere data la certezza di appartenere ad una istituzione di uguali, salvo il grado di maturità iniziatica da ciascuno conseguito», «L’adeguamento della costituzione e del regolamento ai valori fondamentali che essi debbono esprimere e garantire», «Tra gli atti del Gran Maestro debbono essere nettamente distinti quelli iniziatici da quelli amministrativi», «La regolamentazione dei poteri del Gran Maestro relativamente e alle iniziazioni “motu proprio” ed alle concessioni della grazia» (nel senso della piena rinuncia alle prerogative in attesa di una nuova regolamentazione costituzionale), «La disciplina della attuale posizione di “riservatezza” di alcuni fratelli» (posizione «da considerarsi contraria allo spirito massonico» per cui «nessun Fratello potrà essere trattenuto in una qualsiasi forma organizzativa centrale ancorché gestita direttamente dal G.M. né potrà esser trasferito d’autorità nel piedilista di una loggia»), «La riaffermazione del reciproco rispetto e della totale indipendenza fra Grande Oriente ed i Riti», «Far conoscere al mondo profano la storia, le origini, gli ideali, le benemerenze, le regole costituzionali e lo stile di vita dei liberi muratori».


     


Il risultato nella tarda sera di sabato 27 marzo, prima giornata di Gran Loggia convocata all’hotel Hilton: 289 voti per Corona, 150 per l’uscente Battelli, 61 per Mazzon. Uno scrutinio lungo quattro ore, scrupoloso e teso. La conta assegna al vincitore una percentuale che sfiora il 60 per cento dei voti espressi (totale 500, 540 gli aventi diritto). Alle primarie (quelle svoltesi nelle Camere di Maestro delle logge di tutt’Italia) la raccolta dei consensi era stata di 3.303 preferenze per Corona, di 1.083 per Battelli e di 1.070 per Mazzon. Le altre cariche sono assegnate ai candidati della stessa lista vincitrice. 

Una nota forse merita la caratterizzazione politica, nel senso delle militanze di partito, della nuova Giunta a presidenza Corona, perché essa rivela – casomai ve ne sia bisogno – il radicamento massonico italiano nell’area ampia e variegata della democrazia liberal-radicale e socialista. Se il Gran Maestro e il Gran Segretario sono (o sono stati) militanti repubblicani, va detto che ben quattro dei Dignitari di vertice sono iscritti al Partito Socialista (Maggiore, Del Bino, Catarsini e Rotondo), ed uno al Partito Liberale (De Risky); formalmente disimpegnato è il solo Gran Maestro aggiunto Tomaseo.    

Il primo pensiero del nuovo eletto – come si legge in una sua dichiarazione – è ai grandi della storia liberomuratoria nazionale: da Garibaldi a Nathan. Poi la prima decisione: la rinuncia alla tessera di partito e le dimissioni dal Comitato di segreteria del PRI. Pronti gli auguri del presidente del Consiglio Giovanni Spadolini (che non garantiranno comunque, per l’intero corso del doppio mandato, buoni rapporti personali).

Una memoria autobiografica

Di come sia nata l’idea della sua candidatura, Corona fa una specie di cronaca nel suo Dal bisturi alla squadra, alle pp. 66 e 67: 

L’ipotesi di una mia candidatura nasce alla fine del 1981, quando un gruppo di fratelli di varie regioni italiane vennero a trovarmi nel Trentino dove solitamente villeggiavo. Essa si origina dallo scontento del popolo massonico desideroso di portare avanti un discorso di rinnovamento e di radicale cambiamento dell’Ordine. A fronte di questa mia candidatura l’“oligarchia” preesistente di Palazzo Giustiniani presentò tre candidati, punte di diamante di differenti raggruppamenti. Una lista era capeggiata dal Gran Maestro uscente Battelli, ma tuttavia non comprendeva alcun nome della Giunta esecutiva precedente; la seconda si apriva con il nome del fratello Cassanello ed era appoggiata dal Rito Scozzese; mentre la terza era capeggiata da un altro 33 (sempre di Rito Scozzese), il fratello Augusto De Megni, Grande Oratore sotto la gestione Battelli: si trattava di un dignitario che aveva fatto sentire la propria presenza grazie anche alla sua abilità nello sbarrare il passo alla Corte centrale Massonica incaricata di processare Gelli e Salvini. Un caso a sé era rappresentato dal fratello Mazzon, giornalista, funzionario dell’ANPI, un ex partigiano che aveva lasciato intendere di esser sceso nella mischia su richiesta diretta del presidente della Repubblica Sandro Pertini… Sono certo che negli ambienti della direzione nazionale del PRI ci si augurasse del mio insuccesso massonico non solo perché la Massoneria era diventata un argomento scottante, ma anche per il fatto che facevo parte del team ristretto alla guida del Partito Repubblicano. La carica di Gran Maestro era tutta a mio rischio.

Il 27 marzo 1982 cadeva di sabato e l’elezione era fissata per il pomeriggio a hotel Hilton dove giunsi accompagnato da alcuni fratelli della mia lista: De Risky, Maggiore, Catarsini e altri. L’umore era sereno anche se alcuni paventavano la possibilità di qualche giochetto, di qualche “aggiustamento” dell’ultima ora. La mia tranquillità risiedeva nel fatto che il consenso sulla mia persona non era stato preceduto da compravendite di voti, da alleanze di pacchetti, da fusioni di programmi…. Gelli s’era fatto vivo, anche se da tempo, pur parlandosi con insistenza della sua famosa loggia di Montecarlo, veniva inseguito dalla polizia e dai giornalisti come una primula nera. All’ultimo momento qualcuno rimediò un listone con i voti di Battelli e De Megni. Solo il gruppo del fratello Mazzon si rifiutò di far parte di questa alleanza d’emergenza dicendo che anch’esso s’era presentato, come il mio raggruppamento, per il rinnovamento e non per la restaurazione… Di fronte a questo rifiuto argomentato anche il gruppo Cassanello dignitosamente uscì dalla coalizione degli ex appoggiando me… Il mio lavoro, apparentemente oscuro, di presidente della Corte di giustizia massonica mi proponeva come una promessa di rinnovamento. Ora occorreva passare dalle parole ai fatti, trasformare i miraggi in limpidi risultati.

L’applauso dei Fratelli nella Circoscrizione 

La stampa sarda dà giustamente grande risalto all’avvenimento. Con esso L’Altro del lunedì (di proprietà del Fratello Pier Giorgio Fanni, immobiliarista “padre” dei rioni Anfiteatro nell’area ex Birreria e Monreale in Pirri) – pubblicato a Cagliari – apre addirittura la sua prima pagina. L’Informatore del lunedì offre invece un taglio centrale: “Per Corona una vittoria schiacciante” con un corsivo d’appoggio a firma di Giorgio Pisano (“Una svolta dopo la bufera”): «Il passaggio da presidente della Corte centrale massonica al trono di Gran Maestro era scontato. A differenza degli altri concorrenti (il conservatore Ennio Battelli e il supergarantista Giulio Mazzon), andava in discesa da molti mesi. L’opposizione interna lo ha dipinto come il carnefice della P2 mentre un’altra frangia lo ha visto addirittura alleato del Burattinaio di Arezzo. In realtà Corona non vuole una decimazione della “famiglia”: scatenerebbe troppe lacerazioni interne senza assopire il fuoco della polemica. Ma non ci sono dubbi neppure sul fatto che possa essere clemente con chi ha coperto il Grand’Oriente di polvere. La sua carta vincente è stata la terza via, quella che innocentisti e colpevolisti non avrebbero mai imboccato… Ai proclami di vendetta (altri direbbero rappresaglia) Corona ha preferito un compromesso che punta a placare le acque. All’interno e all’esterno. Come? La sua amicizia col presidente del Consiglio dei ministri attenuerà quella che molti massoni definiscono “un’ingiusta criminalizzazione”. Il Grand’Oriente non può essere confuso con la P2, creatura perversa ed ignobile. Dunque è importante scindere legami e responsabilità, ma senza puntare al massacro…».





La Nuova Sardegna dedica all’avvenimento due articoli (ma di agenzia) in una mezza pagina dell’interno: “Corona Gran Maestro” e in uno dei sottotitoli – “Cercherò di essere uomo di parte e non di partito” – presenta una sua dichiarazione: «Dobbiamo essere uniti perché tutte le azioni che proporremo alla famiglia massonica abbiano l’obiettivo di fare della loggia l’unica scuola iniziatica, poiché la loggia è il centro vitale in cui il massone si forma». Questo è l’appello del nuovo eletto ai cinquecento e passa Venerabili che si sono divisi nel voto. 

Tutti i giornali riportano cronache della “svolta” più o meno ampie, e cominciano anche con interviste (sovente, ma forse inevitabilmente, ripetitive). Parte la Repubblica il 31 marzo (“Massoni alla luce del sole…”), segue L’Espresso l’11 aprile (“Il mio modello è Garibaldi”, “È venuto su l’Armando”), ecc. Nel novero, naturalmente, anche le testate sarde. L’Altro giornale di sabato 3 aprile dedica un’intera pagina, articolata in tre parti (anche con cenni ai risvolti familiari), ad un’intervista al Venerabilissimo raccolta da Gilberto Cella: “Dalla lezione Gelli abbiamo imparato che…”, “Dalla Sardegna il primo allarme anti-P2”, “Sentivo la vita di mio figlio passare in me”… Giovedì 1° aprile ha già provveduto L’Unione Sarda, fra prima e seconda pagina, a cura ancora di Giorgio Pisano: “Corona, re della massoneria. Bonifica contro il fattore P2”. Analisi e propositi e anche, purtroppo, equivoci forieri di sgradevoli conseguenze: quelli che riguardano la decisione di non accompagnare la rinuncia alla tessera di partito con le dimissioni dal Consiglio regionale «perché ad eleggermi è stato il popolo e non l’edera repubblicana» (quando invece è stata proprio l’edera repubblicana a dargli il seggio: essendo il quoziente elettivo triplo rispetto alle preferenze personali raccolte).

Ecco, opportunamente raggruppate, le risposte del Gran Maestro, iniziando dai propositi più immediati, vale a dire: «abolire le logge segrete e i fratelli coperti… Non ci saranno più nomi riservati, noti soltanto all’orecchio del Gran Maestro… La segretezza ha consentito legami oscuri e complicità». 

Quale sarà l’atteggiamento del GOI rispetto ai quasi mille del listone Gelli? «Quelli che avevano la doppia tessera finiranno sotto processo massonico. Gli ingannati saranno accolti nella famiglia e [i golpisti, boiardi di Stato e mestatori] espulsi. Come Licio Gelli: non per un peccato veniale come un’intervista non autorizzata, ma per aver costituito un circolo privato impropriamente denominato loggia massonica… sto ripetendo a memoria la sentenza pronunciata dalla Corte centrale del Grand’Oriente. La P2 ha arrecato danno all’istituzione e spesso agli stessi iscritti».

Sulla natura della Libera Muratoria che sembra ora un oggetto d’interesse della pubblica opinione: «La Massoneria è un’istituzione universale che tende all’elevazione morale, materiale e spirituale dell’uomo e dell’intera umanità… Chi ha cercato potere si è iscritto alla P2, ben sapendo che i massoni regolari non ne hanno e non intendono inseguirlo… Neanche Gelli pescava a caso: ha inserito nelle sue liste persone che conosceva ed ignari… L’obiettivo, abbastanza evidente, era quello di creare un centro di potere occulto… Era un fratello incaricato di mantenere i contatti con quei massoni che, per via della loro professione, non potevano frequentare le logge regolari. Invece ha progressivamente abbandonato questo ruolo per conseguire disegni ben precisi, lontanissimi [dall’ufficialità massonica]».

Ancora sui propositi: «Trasformeremo la famiglia italiana sullo stile di quella inglese. Niente più segreti: ogni loggia avrà la sua targhetta esterna come un qualsiasi appartamento. Organizzeremo riunioni pubbliche, manifestazioni culturali… Vogliamo uscire allo scoperto perché la riservatezza [nel senso di segretezza] non ha più senso… Il Grand’Oriente vuole essere fedele alle istituzioni».

Sull’apprezzamento di Giovanni Spadolini dopo la fine della Gran Loggia: «Riferisco parole testuali: “Metti la tua saggezza al servizio della massoneria come hai fatto fino ad oggi col PRI”. L’incoraggiamento di un grande vecchio amico».

«Un manager della politica tornato vincitore in provincia»

Protagonista pressoché quotidiano, per molti mesi, delle cronache a mezzo fra il politico e il giudiziario, nella grande spazzolatura centrale e periferica del Grande Oriente d’Italia, il Venerabilissimo – definito suggestivamente dai colleghi del Consiglio regionale «un manager della politica tornato vincitore in provincia» (così Pisano a conclusione dell’intervista uscita su L’Unione Sarda il 1° aprile) – è richiesto di una nuova intervista dallo stesso inviato del giornale cagliaritano allorché Licio Gelli viene arrestato (mentre «ritirava in banca 170 miliardi trafugati da Calvi»). A margine delle cronache 1 – 2 – 3 – 4 da Ginevra, Roma e Olbia (per le complicità di Flavio Carboni), non può mancare, infatti, un’intervista al Gran Maestro (“Corona: ‘Ora tremeranno in molti perché si potrà sapere la verità’”, 14 settembre 1982): «Parlando a nome di quindicimila “fratelli” che operano per la “Gloria del Grande Architetto dell’Universo” gli vien fuori un plurale maiestatis che non è nel suo stile. Il messaggio è comunque chiaro: Gelli dovrà definire i suoi rapporti con la massoneria “scoperta” e questo “ci rende contenti, ci rasserena… dovrà pur dire certe cose ed allora vedremo come ne usciranno i massoni di tutta Italia… Gelli è stato espulso dal Grand’Oriente all’unanimità. Posso garantire che nell’attuale giunta massonica non ha un amico. Uno che uno”…».

La conversazione scivola su Carboni, sui rapporti fra Gelli e Carboni, ma senza approfondimenti, e con la chiara risposta («Assolutamente no») alla chiara domanda «Ma Carboni è massone?», come anche farebbero pensare le sue frequentazioni; idem dicasi per Roberto Calvi il “banchiere di Dio”: «Già, però non vuol dire che facesse parte del Grand’Oriente. Si è sempre proclamato cattolico: sentiva l’adesione alla libera muratoria come un peccato… Sono stato interrogato come testimone ed ho chiarito al sostituto procuratore della Repubblica Pierluigi Dell’Osso, a Milano, come alla commissione parlamentare che indaga sulla P2, i termini di un rapporto che non è mai scivolato nell’illegalità o, peggio, nell’intrigo occulto».




Per concludere con una rapida ricostruzione della carriera gelliana all’interno del GOI (peraltro imprecisa in più punti): «L’ascesa all’interno della massoneria è quella di un arrampicatore. Si è iscritto nel 1965 alla loggia Romagnosi (Roma) e l’anno successivo ne è già maestro. Mel 1977 – quando la P2 viene fondata a Torino dal gran maestro aggiunto Roberto Ascarelli – riesce ad entrarvi rivoluzionando il sistema di consegna delle tessere. Non solo: riesce anche a far mettere in “sonno” circa quattrocento fratelli di altre logge per trasferirli nel suo feudo. Nella lista dei 953 nomi resi noti dal Consiglio dei ministri ve ne sarebbero dunque parecchi strappati (“ma sempre con l’assenso degli interessati”, dice Corona) al Grand’Oriente di Palazzo Giustiniani. La fuga precipitosa da Arezzo, sulla scia di un mandato di cattura, ferma l’ascesa di un uomo che aveva ormai acquisito un potere immenso. Suona oggi sinistramente profetico quel durissimo j’accuse che i mille massoni sardi gli lanciarono contro (per primi in Italia) nel lontano 1975».

Auguri e petizioni del Presidente del R.S.I.

Quasi all’indomani della sua elezione, Corona riceve i saluti e gli auguri del presidente del Rito Simbolico Italiano, il Gran Maestro degli Architetti Virgilio Gaito – che un giorno sarà lui chiamato a reggere lo stesso Supremo Maglietto –, il quale rivendica al proprio Corpo rituale la qualifica di «sentinella dell’Ordine» impegnata da tempo «affinché si giungesse ad una catarsi in seno alla Famiglia».

La notizia, che è poi una istanza rivolta al vertice della Comunione, riguarda nuove modalità relazionali fra Ordine e Rito, uno dei problemi di sempre del Grande Oriente d’Italia, e peraltro presente almeno come tema nel programma del nuovo Gran Maestro. «Il Rito Simbolico Italiano – scrive Gaito il 20 aprile – si rende promotore della costituzione di un comitato paritetico di consultazione permanente tra i Riti e di essi con l’Ordine allo scopo di creare una collaborazione finora piuttosto scarsa e che, unita a diffidenze ed incomprensioni reciproche, ha contribuito a determinare tanti momenti oscuri della Massoneria italiana e universale». E conclude: «La necessità di procedere uniti utilizzando tutte le forze sane è sentita profondamente dal popolo massonico e pertanto il Rito Simbolico Italiano tiene a dichiararVi la propria disponibilità più ampia mentre non mancherà di segnalarVi tutte le iniziative che a livello nazionale e locale esso riterrà adottare per un approfondimento dei principi iniziatici, per la conoscenza reciproca, per un legame nuovo e proficuo col mondo dei giovani e della cultura, che ci preservi da condizionamenti partitici, confessionali, economici, sindacali». 

Un “indomani” faticoso nel segno del repulisti

Così il nuovo Gran Maestro racconta, nel suo Dal bisturi alla squadra, le ore e i giorni successivi alla conquista del Supremo Maglietto: 

Alla mia elezione corrispose quasi immediatamente il sequestro delle schede personali degli affiliati al Grande Oriente d’Italia. Era un fatto senza precedenti nell’Italia democratica… La mia nomina a Gran Maestro veniva salutata con un gesto di illiberalità. Sembrava che la Commissione P2 avesse atteso proprio la mia elezione per mandarmi i carabinieri: invece di processare Gelli, questa, chissà per quale ragione, reputava che l’unica cosa da farsi fosse intimidire e schedare la massoneria. Ma perché non avrebbe dovuto adottare un simile provvedimento, per quanto aberrante, quando il Grande Oriente aveva ancora da scacciare il fantasma di Gelli? In un clima di caccia alle streghe, come quella partita da San Macuto, svelare chi erano i massoni poteva significare per molti la perdita del posto, il disorientamento all’interno delle famiglie, il risveglio del pregiudizio religioso.

Immediatamente riunii la Giunta che, da quel momento, sedette quasi permanentemente per deliberare la strategia da adottare riguardo all’ordine di sequestro. Erano con me il Gran Segretario Antonio Di [de] Stefano, il Gran Tesoriere Ottavio Rotondo, il Grande Oratore Salvatore De Risky, il Primo Gran Sorvegliante Del Bino e il Secondo Gran Sorvegliante Catarsini. Se ci arrivò, pur filtrato da grande pazienza e da spirito di tolleranza, il grande battage della stampa che, con il provvedimento di sequestro delle schede, aveva riaperto il capitolo del gellismo e della pretesa matrice eversiva della Massoneria dell’ultimo decennio, in quei momenti avvertivamo in misura maggiore l’attenzione vigile della fratellanza e quella, forse più sospettosa, dei vari Riti. Era la prima volta, credo, dopo cento anni, che veniva eletto un Gran Maestro non iscritto ad alcun Rito. Tuttavia non ci mancarono, da parte di questi fratelli, episodi di grande solidarietà. Era un momento di grande isolamento. I contatti con le fratellanze massoniche fuori d’Italia si erano diradati e raffreddati in quanto queste accusavano il Grande Oriente d’Italia di aver danneggiato l’immagine della massoneria non solo nel nostro Paese ma in tutto il mondo.

Mentre i legali del Grande Oriente lavoravano alacremente per rispondere alla pretesa della Commissione d’inchiesta, appariva sempre più urgente la necessità di una spiegazione esaustiva verso i fratelli di tutto il mondo. Redatta e inviata la lettera… mi accinsi, sollecitato da tutte le logge, che mi accolsero colmandomi di gentilezze e di affetto, a una sorta di giro d’Italia per prendere coscienza delle varie istanze dei fratelli. Con il loro consenso, durante quelle visite, passando dal piano emotivo a quello razionale, decisi di elaborare quella strategia che ha finito con il dimostrarsi nel tempo poi vincente… L’esordio nella Grande Maestranza fu per me duro e doloroso. Di fronte a una valanga smisurata di accuse verso la massoneria, che ormai mi coinvolgevano anche in prima persona, cominciai a prospettar ai fratelli, atterriti per quanto stava accadendo, la necessità di uscire all’esterno. Dovevamo farci vedere, spiegare chi eravamo, cosa eravamo stati, che ruolo aveva avuto la massoneria e che cosa ne garantiva ancora la validità. La gente doveva sapere quali erano le critiche che noi stessi facevamo al nostro passato, quali erano le misure che intendevamo prendere, trasfondendo in una modifica della costituzione dell’Ordine i nostri proponimenti per tornare a essere quell’Istituzione cristallina, trasparente che aveva segnato la Storia. La prima convention massonica la tenemmo a Firenze con un pubblico dibattito sui “250 anni della massoneria in Italia”…

La «crociata moralizzatrice» del presidente Giuseppe Delitala

E in Sardegna? Spendendo interamente la sua riconosciuta autorevolezza, il 5 maggio 1982 il presidente del Collegio circoscrizionale sardo Giuseppe Delitala indirizza a tutti i Maestri Venerabili isolani in scadenza la seguente lettera che suona insieme analisi e ammonimento, incitamento a una riflessione autocritica ed a rivedere un costume che potrebbe – se non colto tempestivamente nel suo potenziale negativo – ancor più degenerare, passando da una certa neghittosità ad una più grave corrività e, peggio, connivenza con destabilizzatori ed opportunisti:

«La sostituzione totale della Gran Maestranza operata dalla ultima Gran Loggia ha dato la giusta misura del profondo disagio morale, conseguente ad anni di governo basato su una forse troppo personale interpretazione delle regole e delle leggi Massoniche, e che aveva creato in ognuno di noi crisi profonde che talvolta ponevano in forse i principi che per ogni massone debbono essere sacri.

«Le logge, disinformate di ciò che accadeva al vertice, relegate in periferia ed escluse da qualunque decisione, hanno ripiegato su lavori interni, talvolta culturali, ma che, gradualmente, sono stati sostituiti dalla trattazioni di fatti Amministrativi di loggia, ed altri di scarsa consistenza che, per la loro caratteristica di genericità ed opinabilità, hanno dato luogo a logorroiche tornate, prive di interesse e mortificanti dello spirito. L’abitudine, ormai prevalente, in quanto comodo riempitivo delle tornate, di chiamare la loggia a decidere anche sui fatti più insignificanti, ha gradualmente travisato il concetto di sovranità della loggia; ha condizionato l’autorità del M.V. e alterato la sacralità della sua funzione, non solo, ma ha quasi annullato la funzionalità del consiglio delle luci e fatto dimenticare la sua prerogativa decisionale.

«Le discussioni fuori del Tempio, non dirette dalla disciplina del rituale, si trasformano in scontri verbali, in polemiche, in critiche distruttive, e sceneggiate prive di ogni dignità, e correttezza, che spesso si identificano in maldicenza della più bassa lega. Nessuna prova mai offerta a sostegno delle parole, nessuna assunzione di responsabilità. Grave conseguenza di tutto ciò, il formarsi, nella loggia, di gruppi di opinione e di sostegno di alcuni; non più fratelli ma complici difensori e propugnatori di situazioni meschine che creano scissioni interne e spingono alla maldicenza e talvolta alla calunnia di altri fratelli, generando giusti risentimenti in chi, anziché difeso, in osservanza di un sacro giuramento, si vede offeso e calunniato. L’aria della loggia è diventata irrespirabile!

«La maggior parte dei fratelli si sente a disagio in un ambiente non più fraterno e sempre più freddo, talvolta ostile. 

«I migliori, che nel tempio non trovano più quella fraterna solidarietà, né nei lavori quel materiale di riflessione e di miglioramento spirituale, disertano. L’assenteismo in alcune logge si sta avviando a dimensioni tali da rendere i lavori inattuabili e non valide le decisioni.

«Solo una azione energica esercitata da tutti i R.mi Maestri Venerabili della Circoscrizione può ottenere quei risultati atti a salvare la famiglia. La pietà del chirurgo va applicata integralmente per eliminare una cancrena per nostra fortuna ancora poco diffusa. La tolleranza può diventare omertà, o peggio, complicità, se male applicata o se usata a giustificazione di comodi perdoni.

«Tutti i fratelli sotto la guida dei rispettivi M.V. sono investiti e chiamati a collaborare in questa che non esito a definire una indispensabile crociata moralizzatrice.

«Ritengo opportuno che questa circolare sia letta in loggia ed in tal senso impegno tutti i R.mi M.V.».

Le imprudenze del nuovo Magister Maximus 

Sono soprattutto le aspettative moralizzatrici destate dal nome del nuovo Gran Maestro e da questi abilmente enfatizzate per lunghi mesi, e prima e dopo la sua elezione, a dilatare perplessità e delusione allorché già nell’estate dello stesso 1982 i grandi giornali nazionali rivelano di incontri più o meno riservati, ma comunque incomprensibili, del Venerabilissimo con esponenti politici di primo piano come l’on. De Mita, monsignori del Vaticano non dell’intellighenzia ma forse dello IOR, e soprattutto personaggi inquietanti che in pubblico sono tenuti come non grati: da Carboni e quel Calvi trovato infine (il 18 giugno) impiccato sotto il ponte dei Frati Neri londinesi.

Tanto più in Sardegna l’eco di tali notizie giunge dalla capitale provocando sconcerto e dubbi, anche se evidentemente non manca chi acriticamente, e cioè per partito preso e senza notizie precise che pur potrebbero spiegare e anche giustificare, si schiera con il Gran Maestro ritenuto ingiustamente calunniato. Né questi ha tempo da dedicare alle inquietudini, più o meno controllate e tenute sottotraccia, dei fedeli corregionali. Fino a che non capiterà che alle incaute relazioni romane si sommino le contestazioni politiche – fondate o meno, e probabilmente non fondate – che in Consiglio regionale si levano contro di lui per come, da presidente dell’Assemblea, ha gestito, in mesi di vacanza della giunta, il passaggio delle quote azionarie de La Nuova Sardegna dalla SIR all’editore Caracciolo e al pool di imprenditori locali destinatari di un 48 per cento del capitale di quella spa. Perché entrato nelle spire degli avversari politici (e perfino ideologici) che lo costringeranno a doversi presentare come indagato o imputato ad una commissione consiliare a cui spiegare la correttezza del proprio operato, egli si darà motivo di disertare per due lunghi anni il Consiglio senza dimettersi da esso. Dirà allora: «Lascerò se verrò condannato». Non venendo ufficializzata però alcuna conclusione di quella istruttoria, tutto resterà in sospeso. Ma con conseguenze ancora tutte profane che non potranno comunque non avere riverberi e sull’immagine pubblica dell’uomo e sulla serenità delle relazioni fraternali. 

L’abbandono di fatto ma non di diritto (cioè con formale rinuncia) del suo seggio consiliare impedirà al partito che lo aveva eletto la disponibilità di una tribuna politica, che nel caso sarebbe toccata al professor Achille Tarquini (primo dei non eletti, appartenente alla stessa loggia Hiram di incardinamento del Venerabilissimo che nel 1978 lo aveva iniziato nel nuovo Tempio di via Zagabria). E la reazione diventerà allora, sconvenientemente, di fronte contro fronte, perché il Gran Maestro che aveva rinunciato alla tessera e all’azione politica contingente sarà il perenne convitato di pietra ai congressi e alle conte… Se ne dirà.

Per intanto ci sono le grandi testate nazionali a mettere in dubbio, con forzature e semplicismi rivelatori sovente anche di un persistente pregiudizio, la sua credibilità personale in quanto moralizzatore. E in questa operazione, se pur sia vero che copioso alimento lo fornisca l’opposizione interna (di destra e di sinistra) del GOI, molto certamente ci mette l’imprudenza del protagonista. L’Espresso (“Corona e le sue spine”, 25 luglio), L’Europeo (“Ma cos’ha Corona in testa?”, 26 luglio), l’Unità (“Corona racconta: ‘L’ossessione di Calvi era la Banca d’Italia’”, 30 luglio), la Repubblica (“Corona racconta gli incontri con Calvi: ‘Disse che voleva rompere col passato’”, 30 luglio), Panorama (“Discolpati, Corona! Anche il nuovo Gran Maestro della massoneria ha gravi colpe. Lo ha affermato una specie di tribunale massonico in una riunione segretissima di cui Panorama ha avuto il verbale”, 9 agosto 1982), ecc., sono tutte testate autorevoli e diffuse che, quasi ad ogni uscita, hanno un articolo all’apparenza molto documentato e inquietante…

Nel servizio di Luciano Santilli su L’Europeo di fine luglio, quasi a conclusione dell’elenco di presunte malefatte politico-profane ed economico-profane, si legge: «Chi ha cercato prove, carte compromettenti sul conto di Corona ha sempre fallito. Chi va a chiedere un parere tra i parlamentari che indagano sulla loggia P2 resta invece sconcertato: più vanno avanti le indagini e più cresce il partito di quelli che non vedono un confine marcato tra piduisti cattivi e affaristi e massoni buoni e idealisti. Qui cominciano i pericoli più grossi per il prestigio di Corona, che si era proposto durante il suo mandato di dimostrare proprio il contrario. Un alto esponente della massoneria (anonimo per il divieto di fare dichiarazioni) dice senza esitazioni: “Dopo appena quattro mesi quel programma è già in crisi”. Si fanno scoperte interessanti ripercorrendo le modalità dell’elezione di Corona, le alleanze che hanno portato alla suprema carica massonica il rappresentante di una regione con potere elettorale vicino a zero (in Sardegna ci sono poche e scalcagnate logge)…».

L’autodifesa in un’intervista a L’Espresso

Sul n. 32 del 15 agosto 1982, L’Espresso pubblica una lunghissima intervista al Magister Maximus giustinianeo che si presenta all’Italia, o ad una certa opinione pubblica (e anche politica) raccontando di sé e dei suoi propositi, e già anche di qualche suo inciampo. Sono otto pagine con foto e ritratto a matita. E naturalmente con totalizzante richiamo in copertina: un busto a tutto campo ed un volto sorridente che sfonda la finestra e copre perfino la testata! L’idea grafica rimanda al messaggio giornalistico: qui ce n’è! Sovrapposto alla foto (il Venerabilissimo mostra il suo prezioso collare) è il titolo su cinque righe: “Massoneria – Caso Calvi. Il Gran Maestro si confessa. Terzo Grado al Venerabile Armandino Corona”. Eccone per larghi stralci il testo:

Sono nato nel ’21 a Villaputzu, sulla costa orientale della Sardegna a 67 chilometri da Cagliari. Eravamo dodici fratelli, sei maschi e sei femmine. Ma sono ancora vive soltanto quattro sorelle. A quei tempi a Villaputzu c’era la malaria e c’erano molte malattie infantili. Mio padre era impiegato esattoriale, perciò i soldi erano pochi. Dicevano che era anarchico, ma allora chiunque avesse qualche remora sulla giustizia sociale vigente veniva considerato anarchico. Ci fece studiare tutti. E per poterlo fare dovette lavorare fino a 76 anni. Io ho fatto il liceo classico a Cagliari (mi ricordo che ero molto bravo in latino e in greco) e poi mi sono laureato in medicina con 110. Dopo la guerra sono diventato medico condotto e in quegli anni, a causa di ciò che vedevo, ho cominciato a fare politica.

La mia prima condotta l’ho avuta a Senis: non c’era acqua, non c’era luce, non c’erano strade, non c’erano scuole. Non c’era neanche il cimitero. C’era soltanto povertà. Vivere a Senis era veramente un atto eroico. Io consideravo la Sardegna la mia patria e mi ispiravo al padre di questa patria: Emilio Lussu. Così, nel 1946, mi sono iscritto al Partito sardo d’azione. Poi ho sempre continuato a fare attività politica ma sono stato eletto consigliere provinciale soltanto nel 1963 [recte: 1964] e da quell’anno [recte: 1965] fino al 1969 [recte: 1970] sono stato assessore agli ospedali psichiatrici. 




E più oltre, con qualche… perdonabile pressapochismo autobiografico: 

Mi sono iscritto alla massoneria nel novembre [recte: ottobre] del 1969, dopo che nel giugno precedente ero stato eletto consigliere regionale. Quindi è falso che, come qualcuno ha detto, mi sia iscritto alla massoneria per fare carriera politica… Fui avvicinato da un amico carissimo, un medico che era stato mio compagno di scuola. Mi diede da leggere qualche libro, mi rivelò che lui era massone e mi invitò ad iscrivermi. Cosa che io feci: fui iniziato a Carbonia da Silicani, un ex operaio della Carbonifera [in verità il Venerabile officiante era Tiberio Pintor, e il Potentissimo Silicani – mai stato operaio della Carbonifera lo affiancava]… M’iscrissi perché ammiravo il mio amico medico: tra le persone che conoscevo era il più tollerante, il più comprensivo, il più disponibile, il meno fazioso. Quando mi disse che era massone capii che queste doti derivavano anche dalla scuola massonica...

C’è un momento molto delicato nella cerimonia d’iniziazione: è quello in cui all’iniziando vengono tolti tutti i metalli che ha indosso, dai soldi all’orologio. Non gli resta alcun oggetto di valore. A quel punto, il venerabile della Loggia dice all’iniziando: “Ricordati che tu in questo momento sei assolutamente bisognoso di tutti. Tutti i fratelli sono qui disponibili ma tu non dimenticare mai che essi potrebbero trovarsi nelle stesse condizioni e tu devi avere la stessa disponibilità”. Questo è un fatto meraviglioso… Io non capisco chi critica questo aspetto della massoneria che non definirei di solidarietà o di mutuo soccorso, ma piuttosto di carità evangelica… è la biblica figura universale del Buon Samaritano… Non sono ateo, non potrei essere ateo, nessun massone è ateo. Nella nostra costituzione sta scritto che gli atei non possono far parte della massoneria… Credo nel Grande Architetto dell’Universo. Comunque, all’interno della massoneria è in corso un grande dibattito su questo argomento: c’è chi sostiene che è giunto il momento di cancellare la regola secondo cui chi è ateo non può essere massone. Ma la stragrande maggioranza dei massoni, invece, intende conservare questa regola. Aggiungo di più: i lavori della massoneria si aprono e si chiudono sul libro sacro della religione. Nel nostro caso il Vangelo. D’altronde, i nostri lavori sono a gloria del Grande Architetto dell’Universo. Ciò dimostra la profonda religiosità della massoneria. Che però non significa dogmatismo: in massoneria si va alla ricerca della verità facendo sempre perno sulla ragione, non dando mai per scontata nessuna verità. Per questo è estremamente difficile il colloquio con la Chiesa cattolica: loro hanno già tutte le verità, noi le andiamo cercando giorno per giorno.

Approfondisce l’argomento: 

A suo tempo Gamberini ha avuto incontri con padre Esposito. Si è accertato che molte delle cose che separano la massoneria dalla Chiesa, ma soprattutto dal clero, sono una risultante storica della contrapposizione della massoneria al potere temporale della Chiesa. Gran parte dei nemici del potere temporale nei secoli passati erano massoni. Di qui nasce anche parte della simbologia: i cappucci, le spade… era il modo di difendersi da subdole infiltrazioni.




Spiega che l’usanza del cappuccio persiste, ancorché soltanto, e per qualche minuto appena, in occasione dei riti di iniziazione:

Capisco che questi rituali, nell’era moderna, suscitino perplessità, ma sono convinto che essi perpetuano la tradizione ed aiutano a comprendere la sacralità della vita nel tempio. E poi ogni rito e ogni simbolo rappresenta una storia, una realtà, un ricordo, uno stimolo alla riflessione.

A proposito dei metalli ritirati all’iniziando, gli si chiede della sua ricchezza, da molti ritenuti notevole. Risponde: 

È una delle tante storie che si raccontano. Io sono un medico che ha lavorato ed ha avuto l’intuizione di fare un buon investimento: invece di acquistare appartamenti, come fanno i medici, mi sono costruito una casa di cura privata. Dopo un anno e mezzo l’ho rivenduta per il doppio di quanto mi era costata… Mia sorella Claudia Corona in Loddo, mi preme chiarirlo, è stata per tre legislature consigliera regionale comunista. I signori comunisti che fanno tutta questa bagarre lo dimenticano sempre. Quando lasciò il consiglio regionale, mia sorella riprese l’insegnamento. Si è poi messa a lavorare nel settore edilizio privato con il genero e i figli e con buon successo. Sottolineo che non ha mai fatto lavori pubblici e che perciò, anche volendo, io non avrei potuto favorirla. È una donna capace, che costruisce bene le case e le vende…

Domanda brutale: «Lei è povero? Quale è il suo patrimonio? Diciamo 10 miliardi?». Risponde: 

Magari. Io posseggo la casa, qualche appartamento e un po’ di Bot… Quando avevo la clinica ho dichiarato oltre 200 milioni. Ero fra i maggiori contribuenti in tutta Italia. Poi il reddito è sceso sui 20 milioni, perché i Bot sono esenti da tasse e le mie entrate erano soltanto quelle di assessore agli affari regionali [recte: generali]. Ora l’appannaggio di Gran Maestro è di 20 milioni l’anno». «Più le spese di rappresentanza», aggiunge l’intervistatore. Risponde: «Balle! Quei 120 milioni di cui si è parlato servono per il rimborso spese di tutti i membri della Giunta del Grande Oriente.

Il suo nome è stato accostato a quello di Francesco Gaetano Caltagirone nella Saer… 

È stata la prima società d’assicurazioni sarda. Allora il notaio che la costituì mi chiese di entrare nel consiglio, insieme all’onorevole Cottoni, un sottosegretario socialdemocratico ora defunto. Quanto a questo Caltagirone, non l’ho mai visto e comunque era solo un omonimo dei famosi fratelli Caltagirone.

Su alcune pagine della sua biografia politica in mix con la massoneria: 

Nel 1975 ci fu il congresso nazionale del PRI al quale il presidente dei probiviri Pasquale Curatola, un magistrato che aveva passione per l’inquisizione, chiese un’inchiesta su Gunnella. La Malfa accusò la massoneria di aver montato questo caso su Gunnella, perché credeva che Curatola fosse massone. Invece non era così. Comunque, si decise di sostituire i probiviri e io fui eletto presidente. A questo punto andai da La Malfa e gli dissi: “Badi che se lei vuole un presidente dei probiviri che non sia massone, io non sono l’uomo adatto perché sono massone”. Mi rispose che gli andavo bene lo stesso e assunsi l’incarico.

L’amicizia con Ugo La Malfa: 

Era grandissima, al di là della massoneria e al di là del PRI. Non ho mai considerato La Malfa il capo di un partito, ma la più alta autorità morale del paese. Anche se qualche volta veniva a trovarmi e si lamentava dello scarso successo del partito in Sardegna: “Caro Armandino – mi diceva – in Sardegna l’edera non cresce, ma sui muri di casa tua sì”. Poi l’edera è cresciuta anche in Sardegna, perché i consiglieri regionali sono diventati tre… Al tempo dello scandalo del petrolio pretese che io come presidente dei probiviri gli facessi il processo… e glielo dovetti fare.





Il PRI e la Massoneria: 

I massoni sono molti anche per la nostra tradizione mazziniana. Ma vi sono anche ferventi antimassoni, per esempio il mio amico Mammì. Ha detto che tutti i massoni iscritti al PRI dovrebbero dichiarare la loro appartenenza alla massoneria. Così verrebbero marchiati, come gli ebrei con la stella di Davide. Biasini penso che sia antimassone… Spadolini non è massone, è contro il suo carattere e la sua formazione. Comunque non è il partito repubblicano quello che ha più massoni. È il partito socialista… I partiti laici: repubblicani, liberali, socialdemocratici. Anche democristiani. Il loro è un problema di coscienza… Nella nuova stesura del diritto canonico mi dicono che non ci sarebbe più la scomunica per i massoni… Anche comunisti. Mario Berlinguer, padre di Enrico, era massone ed aveva il grado di Maestro…

Sull’accusa rivoltagli dall’on. Macaluso di essere «amico di ricattatori e affaristi, complice di incursioni nelle correnti dei partiti di governo»: 

L’onorevole Macaluso è ingeneroso. I comunisti pensano che io li ho cacciati dalla giunta regionale sarda dopo averceli portati attraverso la formula dell’unità autonomistica. E pensano che ciò sia avvenuto per favorire gli investimenti di Berlusconi in Sardegna. Niente di più falso, tanto più che io sono convinto che Olbia 2 non si farà… Ho conosciuto Berlusconi nei primi mesi del 1981. Ero presidente del consiglio regionale. Carboni me lo portò per farmi illustrare il progetto di Olbia 2. Mi disse che voleva ripetere l’operazione di Milano 2. Da allora non ne ho saputo più nulla e sono convinto che il progetto non si realizzerà. 

Nello specifico: gli inciampi Carboni e Calvi

Su altre battute ironiche di De Mita circa il Gran Maestro «moralizzatore» ed alcuni suoi… inciampi: 

Io posso fare ogni sforzo, con l’aiuto dei fratelli, per rimuovere e per rendere meno vulnerabile la massoneria. Dichiarazioni come quelle di De Mita di certo non mi aiutano. Sono passati appena quattro mesi da quando sono stato eletto. Avevo già avviato la preparazione degli strumenti di modifica della nostra costituzione quando è scoppiato tutto questo… Ho conosciuto Carboni all’inizio del 1981, quando mi fu presentato dall’allora segretario regionale della DC sarda onorevole Roich. Successivamente, come ho detto, mi presentò Berlusconi. Poi lo incontrai diverse volte quando fui pregato di coagulare un gruppo di imprenditori che rilevasse la squadra di calcio del Cagliari, cosa che poi non andò in porto… Quando mi sono trasferito a Roma cercavo una casa ammobiliata per un paio di mesi in attesa di trasferirmi a villa Medici del Vascello. Avendo chiesto a diversi conoscenti, si offrì il Carboni, che aveva questa casa in affitto. Io andai in subaffitto, dopo l’autorizzazione del proprietario. Sono stato due mesi, fino alla fine di giugno, ho pagato il fitto, la portineria, la bolletta telefonica… Non ho colto l’aspetto del millantatore in Carboni. Il suo tratto, le sue relazioni, le sue attività, non me lo facevano presumere. Quando venne da me con Berlusconi io chiesi informazioni su di lui all’avvocato Riccardi, presidente dell’Alisarda e segretario del Consorzio della Costa Smeralda. E lui mi disse che si trattava di un’ottima persona, da alcuni suoi concittadini ritenuta addirittura un benefattore… E poi di Carboni mi parlò bene anche Caracciolo, il quale mi disse che gli era stato segnalato come persona per bene dal presidente degli editori Giovanni Giovannini. Anche l’onorevole Pisanu, sottosegretario al Tesoro, mi diede ottime informazioni. Non sono certo andato ad abitare a casa sua ad occhi chiusi!

E sugli sviluppi futuri di frequentazioni come questa, imbarazzanti e contraddittorie con l’intento di moralizzare la Comunione massonica di Palazzo Giustiniani: 

Sono emerse notizie oggi e che mai nessuno pensava. È vero, era uno che parlava molto ma non credevo che fosse un personaggio da assegni a vuoto… Hilary [Franco] lo conobbi nell’ormai famoso incontro con De Mita. Carboni mi telefonò e mi disse che De Mita, alla vigilia dell’elezione a segretario, voleva conoscermi. Io andai. E mi chiedo: chi non ci sarebbe andato? Insomma entrai in quella stanza e trovai, in abito talare, questo monsignor Hilary. Cominciammo a chiacchierare. Poi arrivarono Roich, Caracciolo, De Mita e, alla fine, Carboni, il quale disse che De Mita avrebbe illustrato le linee del suo discorso dell’indomani, per la verità già pubblicate sui giornali. Ognuno disse due o tre parole. Caracciolo ed io andammo via per primi e in macchina mi disse: “Quest’incontro è stato allucinante, senza capo né coda. Avevamo capito tutti che De Mita non aveva avuto alcun piacere di vedere me e non sapevamo se avesse avuto piacere di vedere Caracciolo… Nell’attesa di De Mita con Hilary avevamo parlato di Chiesa cattolica e massoneria, concordando di rivederci per approfondire il discorso. Quattro o cinque giorni prima della partenza del papa per l’Inghilterra mi chiama Carboni e mi fa: “Monsignor Hilary è disposto a vederla anche subito”. Io arrivai in Vaticano, fui introdotto in una stanza e rimasi estremamente sorpreso. C’era Calvi. Per sottolineare il mio disappunto, non riuscendo a capire il perché di quell’invito, non aprii bocca…

Ecco il capitolo Calvi con le complicazioni: 

Pazienza me lo presentò Carboni al Colonna Palace Hotel alla fine del 1981… Intanto mi si presentò come massone regolare. Invece risultò che era all’orecchio del Gran Maestro Battelli. Successivamente, disse che era iscritto alla Loggia Giustizia e Libertà e che mi aveva votato come Gran Maestro. Chi era all’orecchio del Gran Maestro non poteva votare perché non apparteneva ad alcuna loggia attiva… Mi disse: “Io sono un mediatore internazionale e faccio grandi operazioni finanziarie”… So solo che lui vanta buone relazioni negli Stati Uniti e che nasce come assistente del francese Cousteau… Pazienza e Carboni mi chiesero di incontrare Calvi. Cosa che feci al Colonna Palace. Calvi mi disse che era perseguitato, che aveva sbagliato a privilegiare gli interessi dell’Ambrosiano su quelli generali del paese, che avrebbe cambiato sistemi. Gli risposi che finché non avesse sistemato le pendenze con la giustizia mi sembrava difficile che potesse ricevere aiuti dalle forze politiche. Dopo una decina di giorni lo rividi, sempre al Colonna Palace, e sempre senza nessuna segretezza, non foss’altro che per la presenza della sua scorta di otto persone. Mi parlò del Corriere della Sera. Temeva che al PRI avessero bloccato l’operazione Visentini perché non gradivano che il presidente del partito diventasse suo socio. Io gli spiegai che per il PRI nessun partito o banca si doveva impossessare del Corriere. Se Visentini avesse fatto l’operazione, si sarebbe dimesso dalla presidenza del PRI. Rividi il dottor Calvi a metà aprile. Carboni mi disse: “Il dottor Calvi si vuole congratulare”. Dieci minuti prima dell’appuntamento Carboni mi richiama al Grande Oriente e mi dice: “Le dispiace venire lei? il dottor Calvi non sta molto bene”. Andai e rimasi a casa sua per non più di dieci minuti. Ma il colloquio più importante per la sua durata fu quello che avvenne nei primi giorni di maggio. Calvi telefonò direttamente e me lo passò il centralinista del Grande Oriente. Ripensandoci, ho la netta sensazione che mi volesse vedere senza alcun mediatore per capire se ciò che gli si diceva era vero. Mi raccontò che la Banca d’Italia gli faceva angherie, che il ministero del Tesoro gli complicava la gestione della questione del Corriere della Sera, insomma che tutti lo perseguitavano. Gli confermai che tutti i suoi problemi erano legati alle pendenze giudiziarie. Prima di tutto doveva risolvere quelle… I magistrati milanesi Consoli e Carcasio me li portò Carboni al Grande Oriente. Mi esposero, come credo che in quell’occasione abbiano fatto con molte personalità, alcune situazioni di disagio della magistratura milanese. Io ascoltai. Consoli mi disse che era primo in graduatoria e che contava di diventare il nuovo procuratore di Milano…





Calvi ha pagato il Grande Oriente o il Gran Maestro del Grande Oriente? 

Neanche una lira, né Calvi, né l’Ambrosiano, né società italiane o estere collegate a Calvi… Né 5 miliardi, né 800 milioni, né una sola lira io ho avuto da Calvi. Se poi davvero Carboni avesse chiesto denari a Calvi, millantando il mio nome, allora dovrei amaramente pentirmi di avergli dato credito. È chiaro che tutelerò la mia onorabilità contro chiunque potesse aver venduto il mio nome per operazioni finanziarie, con Calvi o con chiunque altro… La mia campagna elettorale massonica è costata 14 milioni e 500mila lire. Ciò che dice Salvini [di un costo di 700 milioni] è assolutamente incredibile. La falsità della dichiarazione di Salvini è pienamente comprovabile in ogni sede. Basti dire che nel ’78 l’elezione costò a Battelli sì e no una decina di milioni…

Resta l’inopportunità di incontri con «tipi come Calvi, Carboni, Pazienza». Risposta: 

Il Gran Maestro della massoneria riceve chiunque glielo chieda… E a me sembra che sia giunto il momento in cui qualcuno mi deve dire che cosa mai ho fatto di male, visto che in Italia non esistono liste di proscrizione.

Opposizioni interne e possibili dimissioni? 

È vero che io sono stato eletto con il 60 per cento dei voti e quindi ci sono frange di oppositori… Dimissioni no, affatto. Non esiste alcun motivo perché ciò possa essere pensabile.

Domande maliziose ma doverose, a raffica: su commistioni affaristiche massonico/profane, sull’iniziazione privilegiata di un leader politico già respinto per scritti antimassonici durante il fascismo, su Gelli e Ortolani e Cosentino, il cardinale Palazzini, l’onorevole Belluscio già P2 nominato ora nella commissione per la Solidarietà, e sul socialista Fabrizio Cicchitto… Risposte più o meno approfondite, convincenti o reticenti: 

Io non ho ammesso nessuno perché ho rinunciato ad ogni prerogativa di iniziazione diretta… la mia elezione è avvenuta sull’onda del rinnovamento totale… È provato: la tavola d’accusa per Gelli pervenne alla Corte centrale nel gennaio 1981. In aprile [recte: maggio] ci fu il sequestro di tutti i documenti da parte della magistratura, che ce li restituì d’estate. Ad ottobre fu fatto il processo che decise l’espulsione. Gelli? mai conosciuto. Neanche Ortolani. Neanche Cosentino. Mai sentito nominare il cardinale Palazzini… Belluscio è stato iniziato nel lontano 1956 e ha detto ripetutamente di non essere mai appartenuto alla P2, quindi è diventato membro di quella commissione come vecchissimo massone. Quando ci ha fatto la richiesta di un attestato in tal senso noi glielo abbiamo rilasciato. Deve essere chiaro che per noi è un fratello legittimo e regolare. Non vi era nulla da cui doversi riabilitare... Cicchitto non era iscritto al Grande Oriente, risulta solo nell’elenco della P2. Lo stesso dicasi per Cosentino e per diversi altri.

Sulle relazioni con la massoneria inglese turbate dal suicidio/omicidio Calvi: 

L’8 settembre ci sarà la Gran Loggia d’Inghilterra, cui sono stato ufficialmente invitato. Nel viaggio fatto in aprile avevo incontrato i fratelli della Loggia Italia, di cui fanno parte non solo italiani, ma anche molti inglesi. Poi in autunno ho programmato un viaggio negli Stati Uniti per incontrare i fratelli americani… Dopo il mese di aprile non mi sono mai mosso dall’Italia. Quanto al Gran Segretario Di [de] Stefano, si è recato a Londra dal 22 al 24 giugno ed era un viaggio programmato da tempo che aveva lo scopo di predisporre appunto la mia visita di settembre alla Gran Loggia unita d’Inghilterra, in occasione della sua riunione annuale. 

Circa la loggia di Montecarlo di cui si parla spesso: 

Quando ho scritto ai fratelli per avere notizie sul dibattito in merito alla P2 svoltosi tra il ’75 e l’’80, tra le risposte me ne è arrivata una contenente un modulo di adesione alla loggia di Montecarlo. Ho provveduto a trasmetterlo all’onorevole Tina Anselmi, presidente della Commissione parlamentare. Altro non so, né so quale fondamento abbiano le notizie sul suo presunto collegamento con la strage di Bologna.

Sulla composizione sociale e gli eventuali orientamenti politici della Comunione giustinianea: 

Non si tratta né di grandi politici, né di banchieri, né di finanzieri, ma di medici, ingegneri, professionisti, piccola e media borghesia… Nella massoneria esiste la riservatezza… Non è una società segreta. Se la classe politica italiana ritiene che la massoneria non sia compatibile con le leggi della repubblica, lo deve dire. E ne deve spiegare i motivi. Non è tollerabile tutti i giorni una crociata contro di noi. La verità è che, come si afferma in un notissimo testo di politologia, la massoneria e la democrazia sono complementari; negli stati totalitari non c’è mai traccia di associazioni massoniche; non c’è paese democratico che non abbia una massoneria operante. Se fosse per me, la riservatezza andrebbe abolita. Avverrebbe come in America. “Piacere, mi chiamo Armando Corona e sono massone”.

Corona: contraddittorio, perciò autentico

Sono tempi delicati, e temi delicati. Si può tentare di riassumere e riconsiderare ogni svolgimento sforzandoci di decodificarlo, di interpretarlo sul piano di una soggettività entrata sotto pressione forse in misura inaspettata. All’indomani della vicenda P2 e dell’assunzione delle sue apicali responsabilità, Armando Corona promette chiarezza e riforma. Vuole ristabilire giusti rapporti fra l’Obbedienza massonica e il mondo della politica. Scrive:

Coraggio allora, fratelli! lavoriamo, studiamo e meditiamo con serietà e scrupolo…   

Lavoriamo per correggere la presunzione, la frettolosità nel giudicare senza tener conto di alcuna autorità, l’intransigenza nel condannare senza riserve tutto ciò che non collima con la nostra opinione personale, la superficialità e la leggerezza nel formarci convincimenti senza una scrupolosa ricerca e una seria analisi della complessa realtà che è la vita di ognuno dei nostri simili. Non affrettiamoci a condannare, Fratelli! Il bianco e il nero dei nostri pavimenti ci insegna che nelle umane cose il bene e il male, il vero e il falso, amano spesso stare l’uno accanto all’altro. Il profano non sa del bianco e del nero dei nostri Templi, non ne intende il profondo significato e insegnamento e quindi si confonde e s’inganna nel giudizio. Riconoscere il bianco e il nero in tutte le cose è prerogativa dell’Iniziato, che perciò deve esprimere solo giudizi con indulgenza e con tolleranza.   

Il Massone sa che un corpo è vivo e vitale, è sano e perfettamente funzionante soltanto se tutte le sue cellule lo sono. Perciò egli vive in mezzo alla società e attraverso la solidarietà agisce su tutti gli altri uomini ai quali si sente profondamente simile, composto come è della stessa materia, delle stesse passioni, degli stessi bisogni, delle stesse aspirazioni…   

Il nostro sforzo è quello di far conoscere la capacità di illuminazione dell’intelletto umano che l’Arte Reale possiede attraverso la creazione in Loggia di tanti leader d’opinione, di illustrarne la grande capacità di propulsione umanitaria attraverso le opere di solidarietà piccole e grandi che l’istituzione e i singoli Fratelli possono compiere…   

Per lavorare al bene dell’uomo e dell’umanità il Massone sa cosa deve fare: “elevare l’uno e l’altro”, sa come fare “con l’esempio”…   

Il Maestro ha come guida l’opera del Grande Architetto dell’Universo… Nella coscienza di ogni uomo è nascosto un codice morale inespresso: compito della Comunione Massonica è di aiutare l’uomo a scoprirlo e renderlo operante.   

Vola alto ed è sincero, sincerissimo. Conosce le complessità, le sedimentazioni di costumi non tutti esemplari, ma pure è convinto che si possa e si debba voltare pagina. Ma inciampa subito lui stesso soprattutto nella pratica della prudenza. Va a trovare Roberto Calvi, che è indiziato di gravi reati col suo Banco Ambrosiano – giustificando la cosa, presto scoperta, come una visita doverosa verso un Fratello in difficoltà (Fratello poi della P2 e dunque Fratello chissà se sì o se no); accetta di incontrarsi, in semiclandestinità, con esponenti perfino discussi, e peggio che discussi, del business faccendiere, oltreché – e perché mai? – con politici democristiani sardi e nazionali e monsignori finanzieri non teologi del Vaticano… Il nome di Flavio Carboni viene associato troppo frequentemente al suo, e non soddisfano per nulla le spiegazioni. I riscontri smentiscono sovente le dichiarazioni che egli rende alla stampa: perfino sul possibile acquisto del Cagliari spa, negato e poi dimostrato dalla copia di un assegno. Talune intercettazioni telefoniche rese pubbliche in un processo registrano frasi criptiche che chi ha fatto bandiera della trasparenza non può permettersi. Non è questa l’immagine che ci si attendeva come prima istantanea della riforma promessa.





Il bianco e il nero veramente si alternano, si sovrappongono e confondono ora con qualche drammaticità e destando sconcerto in chi, leale sempre nell’amicizia, non si impedisce di vedere e vuole capire. Il proposito certamente sincero di innovazione, di rettifica di un costume prima ancora che di riformulazione di un ordinamento – che verrà col tempo – si combina con scelte appunto imprudenti sul grande scenario nazionale, e con una necessità, tale è avvertita soggettivamente ma non adeguatamente spiegata, di difesa del proprio buon nome nell’Isola, dove per il Consiglio regionale egli continua ad essere un imputato non un condannato sanzionato.

La prolungata assenza dai banchi consiliari induce la dirigenza regionale del suo partito a chiedergli una ripresa sollecita della rappresentanza politica, ancorché egli abbia rinunciato, dopo l’elezione a Gran Maestro e nel nome del dovere della imparzialità, alla tessera. In difetto, gli si prospetta la necessità delle dimissioni per il subentro del primo dei non eletti, che è poi il suo antico amico Achille Tarquini, chirurgo di gran nome e massima autorevolezza.

La reazione, in quel passaggio fra 1982 e 1983, è collerica, contraddittoria della natura dell’uomo e di tutta la sua storia personale, e sembra rivelare quel tanto di ingombro psicologico – a nessuno pienamente rivelato – che l’esperienza gravosissima di Gran Maestro e l’irrisolta imputazione consiliare a Cagliari gli hanno gravato sul capo. 

Da uomo di unità diventa, per una certa stagione, uomo di divisione: mentre ha dichiarato la sua estraneità alla politica, e quanto più alla politica partitica! non si perita di mobilitare i suoi fedeli acritici, impegnandoli nello scontro e nella conta all’ultimo voto e all’ultimo nome, così ai congressi di sezione al centro e in periferia, come ai congressi provinciali e regionale; fiata su un giornale cosiddetto di controinformazione, ma screditato per le modalità di scrittura allusiva ed obliqua che lo apparentano alle pagine di Pietro Aretino, ed accetta di essere difeso e anzi celebrato da questo, mentre egli lo utilizza contro i pretesi avversari; disturba gli andamenti elettorali, arrivando perfino – lui Gran Maestro successore di uomini come Francesco De Luca, come Giuseppe Mazzoni, come Giuseppe Petroni, come Ernesto Nathan, come Ettore Ferrari – tutti mazziniani del progressismo repubblicano, per non dire naturalmente di Giuseppe Garibaldi «primo massone d’Italia» – a inviare lettere a sostegno di qualche candidato regionale democristiano!; lacera ogni rapporto personale con chiunque non gli abbia giurato obbedienza invece che semplice ma vero rispetto, e interviene perfino in danno di taluno colpendolo nelle attività professionali. 





Sono numerosi quegli amici politici, e tanto spesso anche personali, che per averlo contraddetto, con franchezza e con ragioni discutibili ma non banali, sono depennati dall’elenco delle persone grate, con cui può esser bello intrattenersi, come è stato in passato: nei conversari a tavola, perfino in qualche gita nel cuore dell’Isola, quando per non mancare alla compagnia da lui stesso richiesta, e mancando invece i letti in locanda, s’è adattato a dormire – non importa se uomo già facoltoso e potente, e a rischio di sequestro – su un materasso a terra. È cresciuto ora, in Armando Corona, il bisogno di conferme, ma questo non può essere soddisfatto con la piaggeria, e lui fatica ad accettarlo e perfino a comprenderlo.

Veramente sembra che l’esperienza romana, per le ingestibili pressioni di vario segno e di ogni provenienza ricevute nell’amministrazione di un mandato suscettivo sempre di connotarsi in termini lobbistici, profani dunque, l’abbia cambiato. Non ha neppure settant’anni, e conserva lucidità piena e ancora salute sufficiente – nonostante qualche trascorso – per riconoscerlo totalmente presente a se stesso e in grado di condurre interventi, e sul piano strettamente associativo e su quello più lato, civile e pubblico, della formazione degli opinion leader e dei testimoni dei valori di un moderno patriottismo, ma appare ad un certo punto come impedito o limitato nell’applicazione delle sue consolidate impostazioni di vita. È questo un capitolo tutto da scrivere della sua biografia…




Restano i testi. Ho pubblicato in più volumi, anticipandola nel numero 16, sett.-dicembre 2019 della rivista Massonicamente diretta da Giovanni Greco, un’ampia antologia dei testi granmagistrali – balaustre, allocuzioni, discorsi, interviste – risalenti all’ottennio 1982-1990: così in Armando Corona. L’uomo, il politico, il Gran Maestro, a cura di Gian Carlo Lucchi, Gruppo Edit. Bonanno, 2020 ed in Gran Maestri d’Italia 1805-2020. Il diritto e il rovescio della storia del GOI attraverso i suoi massimi esponenti, a cura di Giovanni Greco, Mimesis, 2020. Ad essa rimando per una più mirata e forse esaustiva esplorazione dello sforzo elaborativo dell’Alto Dignitario giustinianeo. Ne riporto qui di seguito la sintesi. Essa dà comunque ampio conto di quanto la sua azione ai vertici del GOI nel post-Gelli abbia inciso, o si sia proposta di incidere, con tratto segnatamente pedagogico, sul profilo spirituale ed etico-civile della Massoneria nazionale intesa come corporazione umanistica di diverse e coesistenti matrici, da quelle intimamente iniziatiche a quelle dell’impegno democratico e liberale, certissimamente patriottiche nella visione universale, con fronde oggi in affaccio alla storia nuova, la storia delle sorprese nell’estremamente grande – si pensi alle più avanzate frontiere della fisica e dell’astronomia – e nell’estremamente piccolo – si pensi alla genetica e ai percorsi individuati del dna…

Un magistero per saldare il nuovo all’antico, ché tradizione vuol dire innovazione fedele

Il mondo profano e talvolta anche il nostro si sentono smarriti di fronte alla constatazione di fatti, affermazioni e fenomeni che non sono strettamente coerenti con i principi. Occorre far sì che della universalità della Massoneria siamo tutti responsabili e partecipi e che essa universalità sia la risultante di un comune patrimonio di ideali e valori in cui i Massoni di ogni Officina, di ogni Comunione nazionale e di tutte le Comunioni del mondo, si riconoscano e si identifichino. Dobbiamo quindi tornare ai nostri templi, ritirarci in noi stessi per trovare tutte le ragioni ideali che ci portarono alla scelta della nostra Istituzione. Dobbiamo ritrovare il senso della nostra milizia massonica di ieri e di oggi. Spogliarci di tutte le passioni che ci dividono dagli altri Fratelli per ritrovare i legami che ci uniscono; abbandonare l’abitudine ad erigerci sempre a giudici di tutto e di tutti senza mai ricordare che il mestiere del boia è estraneo alla nostra Istituzione che fonda invece se stessa sulla tolleranza. Ripensare e rimeditare le grandi scelte di fondo, quei sottili fili spirituali che ad un certo punto della vita ci hanno folgorato aprendoci un mondo meraviglioso, il solo degno di essere vissuto. 

Al fine di ritrovare quell’unico filo ideale che avvolge tutti i Massoni del mondo attorno a principi e valori che ne attestino l’identità dobbiamo riflettere su alcuni argomenti. La religiosità naturale della Massoneria è elemento essenziale per una nostra identificazione come singoli e come Famiglia universale. L’idea del Grande Architetto dell’Universo così magistralmente chiarita nel Libro degli Antichi Doveri è principio universale e non può prestarsi ad atteggiamenti così diversi e contrastanti come invece avviene nel presente momento storico laddove vi sono Comunioni in cui si verifica una totale adesione alle proprie religioni, seppure contrarie ad ogni dogma ed ad ogni oscurantismo teocratico, e Comunioni invece che professano un aperto ateismo ed altre ancora caratterizzate da un ateismo strisciante.

La “lectio magistralis” del 1983, tra Fratellanza e Tempio

È la parte centrale dell’allocuzione di Armando Corona alla Gran Loggia del 1983, quella convocata a Montecatini in memoria del Fratello Giovanni Amendola bastonato dai fascisti e portato presto a morte. Si tratta di un testo ricco e complesso, cui faranno seguito, nel corso del primo mandato – quello di durata triennale – di capo carismatico della Comunione giustinianea, altre due sue “lectio magistralis”, insieme d’istruzione e di ammonimento, puntuali alle scadenze dell’equinozio di primavera. Nel mezzo ancora della tormenta P2, al Gran Maestro sembra assolutamente prioritario tornare ai dati di fondazione – ai perché prima ancora che ai come – della Libera Muratoria speculativa, ed egli stesso vi torna di fatto fornendo letture rinnovate, ma nel solco della Tradizione, dei pilastri valoriali, veri e propri landmark. Così, dopo la ritualità – corrispondente a quella «lingua mentale dell’umanità», secondo la definizione del Vico – e la tolleranza, dopo la solidarietà e l’esoterismo, campo di lavoro delle logge e dei singoli, eccolo sviluppare alcune riflessioni sulla fratellanza.

Così la definisce, con ricorso alla metafora protocristiana, il Magister Maximus: 

Senza un lavoro di rimeditazione e di vigilanza rischiamo di farla decadere [la fratellanza] a commensalismo e dimestichezza mentre essa è principio pregnante di una realtà ben diversa.

Racconta Sant’Agostino che i torrenti impetuosi che si formavano a seguito delle piogge torrenziali che solevano cadere dal nordAfrica travolgevano i cerbiatti smarriti di fronte a tanta furia. Egli racconta ancora, con commozione, di aver osservato che i cervi adulti, a rischio della propria vita, incrociavano le proprie corna nodose e ramificate con quelle lisce e lineari dei giovani cervi per traghettarli salvandoli da sicura morte. In questo racconto c’è l’immagine più reale, più fresca e più poetica della Fratellanza massonica. 

Aggiunge subito un riferimento, che sarà costante nella sua “lectio” – anche negli incontri a Cagliari e negli altri Orienti sardi –, alla consacrazione del Tempio simbolico affidata ai Fratelli che ivi si riuniscono in catena:

Noi siamo in grado di rendere sacro qualunque luogo in cui si tenga la Loggia. A differenza dei Templi exoterici delle Religioni, che sono tali sempre, oserei dire “in sé”, non tanto sacri per consacrazione quanto per riconoscimento, il nostro è un Tempio che si crea ogni qualvolta i Fratelli “aprono i Lavori” e, in un certo senso, scompare alla chiusura dei medesimi. Sono i Fratelli di Loggia che erigono e consacrano il Tempio ogni volta: in realtà essi sono il Tempio. Senza di loro esso è, e resterà, un luogo qualsiasi.

È vero che noi oggi, per lo più, ci serviamo di un luogo prefissato, ma possiamo ben dire che ciò avviene per comodità. È ben noto che nei tempi antichi si usava “tener Loggia” in locali pubblici – taverne, birrerie e persino campi di battaglia – ogni volta creando, sacralizzando, cancellando alla fine, il Tempio stesso.

Questa dunque, ripeto, è la prima prerogativa operativa dei Liberi Muratori: essi possono, riunendosi secondo certe regole, creare uno spazio sacro. Questo spazio sarà allora, per il periodo in cui esiste, affatto separato dal mondo profano – noi diciamo che è coperto – assumendo le caratteristiche che lo qualificano per essere un Tempio iniziatico, caratteristiche cui si riferiscono, e che esprimono in concreto, i Simboli fisici con cui lo adorniamo.

A Oriente il Triangolo del GADU sovrasta l’immagine della Sapienza, per ricordarci che non vi è vera saggezza che non sia spirituale e che non discenda dall’alto. Poiché però non siamo dei mistici sperduti in qualche estasi trascendente, a Occidente ed a Mezzogiorno la Bellezza e la Forza ci rammentano che tutte e tre le componenti del macro e microcosmo debbono concorrere all’opera del Maestro.

Ancora ad Oriente, sull’Altare, gli Strumenti dell’Arte, disposti secondo il rito, poggiano sul Libro della Legge Sacra. Poiché il Massone riconosce ed accetta la legge naturale e si impegna a seguirla nell’utilizzo dei suoi Strumenti.

Infine il pavimento a scacchi bianchi e neri si fa manifestazione ordinata di quella stessa legge, che non rifiuta un colore per l’altro, ma nella sua prima norma vuole il binario rappresentato nel mondo, con la sua alternanza di vita e di morte, di piacere e dolore, di gioia e sofferenza, regolata in un equilibrio di pace […].

Il Maestro sta lavorando. Il suo compito è equilibrare, organizzare, mettere ordine, perché nell’Universo intero, infine diventato tutto sacro, tutto Tempio, tutto grande armonia, cioè macrocosmo, tutto sia ”serietà, senno, benefizio e giubilo”. Il Maestro è chino, intento, compie il suo Lavoro in silenzio, con pazienza, con amore, “per il Bene ed il progresso dell’Umanità”. Egli sa che può operare serenamente perché il Tempio è debitamente coperto. Le mura della grande, antica costruzione si ergono stabili, forti e resistenti… 

La rivista “Hiram”

Cessata l’esperienza quasi quindicennale (1966-1979) della Rivista Massonica – la testata mensile organo del GOI, voluta e diretta dal gran maestro Giordano Gamberini, e rilancio della editoria periodica dell’Obbedienza dopo la cessazione delle uscite dell’Acacia (1947-1952) – è, dal 1980, Hiram la nuova sede della pubblicistica giustinianea e sede anche di raccolta dei documenti granmagistrali. Bimestrale a direzione ancora di Giordano Gamberini, che anche sotto la gran maestranza Salvini (1970-1978) aveva conservato la responsabilità (e il gusto tematico) della Rivista, essa ha visto la luce a metà quasi del triennio gran magistrale di Ennio Battelli.  

Quando riceve dal suo predecessore il Supremo Maglietto, dopo anche tutti i disastri emotivi e giudiziari del caso P2 (che ha coinvolto i vertici giustinianei e fra essi lo stesso Gamberini, come pure, sotto diversi aspetti, Salvini e Battelli), Corona affida quella… voce scritta del Grande Oriente d’Italia ad Augusto Comba, autorevole esponente della intellettualità democratica (e massonica) nazionale, uomo legato alle minoranze valdesi e tutto dedito agli studi storici e alle produzioni saggistiche, rispettato in ogni ambiente. Questi manterrà la direzione di Hiram anche durante il secondo mandato coroniano: nel 1986 la rivista, confermando il formato, passerà ad una periodicità mensile e lo stesso Gran Maestro interverrà pressoché in tutti i numeri con un suo fondino. 




Nel quinquennio 1986-1990 tali brevi editoriali saranno ventisei e, in progress, con una grafica aggiornata (con un capolettera simbolizzato, giusto rimando alla rubrica), ulteriori dodici. Attraverso questi suoi contributi, nuovi e rilevanti aspetti della sensibilità e della linea ideale del Magister Maximus emergono ben combinandosi allo svolgimento tematico presente nelle sue balaustre, allocuzioni ed interviste che puntualmente la rivista Hiram riporta (compaiono in essa ben 68 interventi, fra editoriali, interviste, allocuzioni ecc.). E se i primissimi fanno riferimento immediato alla difesa degli interessi obbedienziali contro le avance fuori misura e forse anche abusive della commissione parlamentare presieduta dall’on. Anselmi (circa il sequestro delle schede nominative in Gran Segreteria – occorre anche informarne Grandi Orienti e Grandi Logge di cui Palazzo Giustiniani gode il pieno riconoscimento – per il più si tratta dei discorsi da lui tenuti in occasione degli equinozi d’autunno (coincidente con la storica data del 20 Settembre, evocatore della conquistata separazione fra Stato e Chiesa) e di primavera (invece collegabile alla celebrazione della Gran Loggia), ma non mancano evidentemente gli interventi occasionati da manifestazioni culturali e assembleari cui Corona è stato invitato o ha presieduto un po’ in ogni parte d’Italia, così come quelle conversazioni con giornalisti che meglio possano avergli consentito, uscendo dalle grigie contingenze, di portare a un livello importante analisi ed opinioni.  

In verità, da ciascuna tessera di questo ideale puzzle possono cogliersi gli elementi che più e meglio sono rivelatori, come si accennava, della originalità della personalità, e dunque della formazione ed esperienza del Gran Maestro sardo, radicato chiaramente nella cultura della sua terra isolana, e però, anche da medico ippocratico, pure singolarmente sensibile alla dimensione universale, dunque naturale, della umanità: per dire dell’uomo che riassume in sé l’intera ricchezza del mondo.    

Sono queste, in realtà, interpretazioni iniziatiche abbondantemente presenti nella letteratura massonica e nel magistero di tutti i leader succedutisi nel corso del tempo storico, nelle diverse stagioni della storia politico-civile e della storia sociale dell’Italia e del mondo. Non di meno, ogni autore od ogni alto dignitario – tanto più quando portatore di una funzione carismatica (in specie dunque il Gran Maestro) – propone un suo personalissimo mix: quello fra lo specifico di una storia individuale, la propria, e la complessità larga e profonda di una scuola, la scuola d’appartenenza. Nel caso di Armando Corona, fra il sentire della Sardegna (ancora per larghi aspetti rurale negli anni centrali della sua formazione e prima affermazione civile e professionale) e l’ecumenismo o la trasversalità comunionale che caratterizza da secoli, con il linguaggio unificante dei simboli, la Libera Muratoria radicata nei territori e nei filoni di pensiero i più vari. 

Tracce identitarie, linee riflessive

Sono forse la identità spirituale (anche trascendente) e la vocazione pedagogica della Fratellanza muratoria più ancora del suo protagonismo sulla scena pubblica che paiono, nella elaborazione del Gran Maestro, gli elementi clou da rivalorizzare nel circuito mentale e sensoriale della Comunione italiana dopo gli avvilimenti scatenati, nei primi anni ’80 del secolo scorso, dal caso P2 e dalla venalità che lo ha rappresentato. Sotto questo profilo appare interessante la centralità, ribadita da Corona, della loggia nella formazione continua, si direbbe nella “educazione permanente” o nella pratica educativa/autoeducativa, del massone. Questa ben più che il sistema obbedienziale con la sua organizzazione ed il suo ordinamento normativo. Ed appare interessante – non è detto che sia, alla lettera, tutto condivisibile – l’accento posto, in perfetta coerenza con le premesse, sul necessario distacco anche dalle “glorie” profane che pur hanno gratificato, nel tempo, il nome del Grande Oriente d’Italia e della Massoneria tout court.

A vederla da questa angolatura si spiega anche quella… derubricazione dei meriti essenzialmente politici e patriottici, non soltanto civili ed umanitari, della Libera Muratoria nazionale in epoca risorgimentale. Lungi dal cavalcare apprezzamenti e riconoscimenti storici che agli uomini della Massoneria italiana sono sempre giunti, ma non soltanto agli uomini bensì allo stesso magistero apicale, Corona sembra voler restituire – forse nei discorsi più che negli scritti – dignità di posizione e testimonianza anche ai massoni non progressisti, magari non unitari, insomma agli anti-Mazzini o anti-Garibaldi dell’epoca e magari anche del prima, metti un Joseph De Maistre, sabaudista e reazionario, nato a Chambery (dove sarà fucilato il sassarese Efisio Tola perché aderente alla Giovane Italia!) e reggente la gran cancelleria del Regno di Sardegna nella sua fase più ostile agli interessi sociali dell’Isola non meno che ai principi della rivoluzione francese e, potrebbe aggiungersi, del liberalismo.




Questo avviso… riduttivo o derubricatorio è presente già nella allocuzione della sua prima Gran Loggia pienamente presieduta, quella del 1983. Allora dichiara, parlando sull’onda, inevitabile d’altra parte, delle diffidenze avvertite diffuse nel mondo profano verso l’Istituzione in quanto tale, e per la necessità quindi di dimensionare al basso l’aspetto pubblico, civile e politico, pur in senso lato, della Libera Muratoria:  

Ci furono anche Massoni che non furono protagonisti attivi del risorgimento italiano o perché presi da problemi di ordine spirituale o da problemi di altro ordine o, addirittura, ci furono Massoni che, in buona fede, come i primi, militarono in campo opposto. Qui in Italia come in altre parti del mondo: si ricordino in proposito gli eventi della Comune di Parigi che vide Massoni schierati nei due campi. Non era quindi la Massoneria – Ordine Iniziatico e non politico – la protagonista, ma alcuni Massoni che, educati in Loggia ai principi di libertà di ordine spirituale, ritenevano di poterli e doverli realizzare anche nel mondo profano.

Il laicismo come regolatore delle libertà

In questa stessa logica avverrà, marcata soprattutto nel corso del secondo mandato granmagistrale e dunque anche dopo la riforma costituzionale del GOI (1984/1985), quasi il disimpegno dalla festa “anticlericale” del 20 Settembre per evidenziare invece i significati universali e simbolici dell’equinozio, che a quella festa è da sempre giustapposto per costrizione di calendario. Si veda, a questo proposito, la sapiente allocuzione dell’autunno 1986 in cui il Gran Maestro recupera tutta la dottrina del “laicismo” – su cui si è già particolarmente diffuso parlandone alla Fratellanza fiorentina il 14 gennaio 1986 –, svelenendola di ogni carico paradossalmente dogmatico (come di una antireligione) e d’ogni impaccio nelle contingenze della storia, ed invece rilanciandola e mettendola quasi in capo a Cristo stesso, il Cristo del “Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”: 

La libertà è la potestà che un uomo ha di fare o non fare una determinata cosa, ma detta anche di non far ad altri quello che non vorresti fosse fatto a te e fare ad altri quello che vorresti fosse fatto a te. Quindi, il concetto di libertà interpersonale è ricompreso nell’obbligo di mantenersi sempre dentro l’ambito morale. Ora il laicismo è la trasposizione di questo concetto, ed anziché regolare la libertà interpersonale fra gli uomini, regola le libertà di tutte le facoltà dell’uomo nei confronti di chiunque.




Da questo, nella parte terminale della allocuzione, viene la conclusione argomentativa: 

La Massoneria si propagò anche in Italia e naturalmente non si parlava di politica e di religione; ma come uomini liberi i massoni facevano parte di un popolo che aveva lottato e che doveva ancora lottare a lungo per l’indipendenza della propria patria da tutti i paesi che l’avevano per secoli occupata, e che ora voleva la propria indipendenza dall’ultimo degli stati che ne impedivano l’unità: lo Stato pontificio. In questo non c’era nessun anticlericalismo. La Massoneria anche allora era antitemporalista, era laica, ma […] in un senso gonfio di tensione morale, di cultura, di capacità di difendere l’umanità dall’ingerenza di chiunque voglia limitare la sua dignità e la sua libertà.

Va detto che anche i testi dei saluti oppure partecipativi ai lavori delle logge sarde – quelli del secondo Ottocento, fin dagli anni ’60 del secolo – che si conoscono perché fortunatamente andati in stampa, così a Cagliari come a Sassari od Iglesias o Carloforte… segnalano uno standing patriottico, o filosofico-patriottico ben più che politico in senso stretto, benché non possa negarsi, perché totalmente improbabile, che nell’agitazione civile di quegli stessi Artieri il sentire patriottico e quello politico, di schieramento partitico e di riferimento parlamentare nazionale, si combinassero intimamente, non distinguendo, sulla scena pubblica, il liberale massone dal liberale profano, il democratico memore della sua iniziazione nel Tempio simbolico ed il democratico formatosi negli studi e magari nelle redazioni dei giornali o nel vivo dei contrasti delle rappresentanze istituzionali.

All’equinozio del 1987, il virtuale ed il reale

Bella, nella ricapitolazione generale di principi e valori, nel ripasso critico dei tempi trascorsi e nella prospettazione di un futuro auspicato, l’allocuzione dell’anno seguente, del settembre 1987 cioè. Bella e importante anche per lo sviluppo contenuto delle premesse ideali e valoriali, ribadite in felice sintesi, nel report delle attività presenti del Grande Oriente d’Italia, nel dialogo anche con le istituzioni della Repubblica ed il variegato mondo culturale e politico della nazione: 

nessun processo è in atto tra la Massoneria e la Chiesa anzi, semmai, c’è uno sforzo di riappacificazione, di dialogo e di spiegazione. Noi abbiamo scritto in documenti ufficiali che il Massone crede del Grande Architetto dell’Universo, che lavora alla sua Gloria, ma che non ha una fede religiosa che gli provenga dalla Massoneria, anche se può averla per suo naturale convincimento. Non vi sono processi per il passato, anche se la Massoneria ha sofferto persecuzioni, il rogo, ed ogni sorta di condanne. Quando il trono e l’altare si coniugarono non si capiva più dove finiva la violenza del potere temporale e dove iniziava il terrorismo della fede intransigente. Tutto è per noi lavato dalla tolleranza che ci contraddistingue e tutto è superato perché la Massoneria cammina con i tempi della storia e non con i tempi della cronaca.

E ancora: 

Che cosa è la Massoneria? La Massoneria è una scuola iniziatica che aiuta l’uomo a migliorarsi in tutte le sue dimensioni: in quelle spirituali, in quelle intellettuali e in quelle morali. Come la Massoneria aiuta coloro che si affidano alla sua scuola per diventar migliori? Questo problema assilla non soltanto i profani, ma anche noi… Finché l’uomo avrà difetti da emendarsi, finché dovrà fare i conti con la materia e con le cose di tutti i giorni, l’uomo avrà sempre bisogno di avere dentro di sé una serie di risposte, basate sulla ragione e sulla tolleranza, da dare agli stimoli che provengono dalla vita quotidiana e dal mondo profano in generale. Noi recepiamo, dentro la nostra Istituzione, profani: cioè coloro che stanno fuori dal Tempio e li introduciamo nel Tempio attraverso l’iniziazione. Ma così come il battesimo non fa un buon cristiano, neanche l’iniziazione fa un buon Massone.

La sintesi che il Gran Maestro offre di questa missione è particolarmente lucida: 

Noi insegniamo, a coloro che vengono da noi, che questa iniziazione virtuale deve diventare reale, cioè deve essere riempita di contenuti […]. Cosa può, il Maestro che inizia il profano, insegnare al giovane neofita? Gli dà una ispirazione spirituale. Tale ispirazione è del tutto segreta, nel senso che si trasmette direttamente dal Maestro all’allievo. La maturazione che avviene dentro l’allievo non è raccontabile, per cui si dice che il segreto massonico è ineffabile […], sono sensazioni, sono sentimenti che non si possono ripetere con parole. Uno dei segreti della Massoneria è il silenzio. Insegnare, cioè, agli uomini ad ascoltare, perché ascoltando gli altri si riesce anche a capire come siamo tutti piccoli, tutti umili, come ognuno di noi abbia le sue pene, le sue gioie, i suoi dolori e come la vita dell’uno assomigli a quella dell’altro, aiutandoci a diventare tutti Fratelli ed a sentire l’uguaglianza.

L’arte dell’ascolto

Certo è che la pratica dell’ascolto e della umiltà, la pratica della relazione pura ha favorito nel tempo la comprensione profonda di alcune eminenti esigenze sociali tali da potersi definire costitutive, se superate, di una civiltà più avanzata: 

Noi non possiamo non ricordare che la battaglia contro la pena di morte la fecero i nostri Fratelli in Parlamento nell’800. Non possiamo dimenticare che la battaglia contro l’analfabetismo la facemmo noi Massoni. Non possiamo dimenticare che le battaglie contro l’insegnamento dogmatico nelle scuole, tendente ad insinuare, nei giovani, elementi di conoscenza che talvolta stavano più vicini alla superstizione che alla verità. Secondo tali insegnamenti i Massoni puzzavano di zolfo, i Massoni celebravano orge nei Tempi. Quando noi abbiamo condotto questa battaglia, l’abbiamo condotta a viso aperto, senza nasconderci dietro alcun velo…

Fummo noi massoni i primi a costituire le società operaie e le società di mutuo soccorso. Pensate! Alla Massoneria viene addebitato di essere una élite economico-finanziaria, mentre solo noi abbiamo dato strumenti di giustizia sociale alle classi deboli del paese, come le società operaie e di mutuo soccorso. Abbiamo, quindi, alle spalle una lunga storia, una lunga storia di progresso civile, ma soprattutto di progresso di valori. L’esaltazione dei diritti dell’uomo fu pure una nostra battaglia. Tutti sanno che l’ONU porta la cifra massonica. La Società delle Nazioni fu fondata nel 1917, guarda caso proprio il 24 giugno a 200 anni esatti dalla fondazione della Gran Loggia di Londra sorta il 24 giugno 1917. (Qui il Gran Maestro si riferisce alla conferenza parigina delle Massonerie dei paesi alleati o neutrali svoltasi nel pieno della grande guerra, quando anche si ipotizzò una istituzione arbitrale sovranazionale).




Andando quindi al recente passato: 

Noi abbiamo avuto i nostri guai […], ma non per questo ci siamo tirati indietro. Forse la tentazione di rinchiuderci ancora di più entro le nostre mura, così come facevano gli assediati del medio evo, era forte ed anche naturale. Ma noi siamo ricorsi, ancora una volta, alla forza che proviene dalla Tradizione massonica ed abbiamo, sorretti dalla ragione, risposto con dignità e fermezza alla nuova situazione in cui ci siamo trovati. Siamo usciti fuori delle mura e siamo andati a dire alla gente, all’opinione pubblica, alle forze sociali, allo Stato, chi siamo, quali sono i nostri ideali ed i nostri propositi…

L’ottimismo massonico, senza illusioni

Di qui però anche l’esigenza e l’urgenza di correzioni interne, di ripristino delle relazioni anche comunicative oltreché operative, ma senza illusioni palingenetiche a sbocco improbabile e anzi impossibile:

Noi prendiamo coloro che entrano, gli adepti, dal mondo che ci sta attorno e se il mondo profano ci offre uomini disabituati alla cultura, all’uso della ragione ed immersi nella profanità, il nostro lavoro di elevazione sarà molto duro e potrà anche, talvolta, fallire. Noi non possiamo, oltre la selezione severissima che operiamo, mutare radicalmente le qualità degli uomini dovute al tempo in cui viviamo. In questo senso, nel senso cioè che abbiamo delle regole, delle Costituzioni che riguardano la vita della comunione degli uomini massoni, non della Massoneria, noi possiamo considerare che ci siamo dati delle norme, le abbiamo approvate, sono sufficientemente garanti per noi innanzitutto, ma anche per la società in cui viviamo.

Ecco un altro passaggio particolarmente significativo della allocuzione che forse è quella fatta, più di tutte le altre, con il cuore in mano, con spirito realista, con disincanto forse, ma anche con senso di responsabilità per il dovere da compiere:

Queste regole noi le dobbiamo osservare, senza furbizie, senza infingimenti, non soltanto in apparenza, ma nella sostanza. Dico questo perché c’è nel Paese un certo andazzo, per cui chi più parla di moralizzazione generalmente è più disposto a non osservare le regole morali, chi più parla di democrazia generalmente è meno propenso a credere ed a vivere democraticamente. Noi dobbiamo essere d’esempio, se vogliamo modificare la società civile in cui operiamo e viviamo, dobbiamo essere d’esempio anche come senso del dovere, come spirito di sacrificio nell’osservare tutte le leggi e le norme che ci portano ad essere i migliori nella società. Altrimenti non ha senso stare nella Massoneria. Se noi dobbiamo restare uguali a tutta la società che ci circonda, allora è perfettamente inutile che noi facciamo sacrifici per elaborare dentro di noi tutte quelle qualità che ci rendono assolutamente impermeabili alle sensazioni di egoismo, di profanità, alla tentazione di utilitarismo, al diffuso senso di profitto in cui il bene generale viene sempre dopo il profitto personale.

Essere élite perché d’esempio, ed amanti della cultura

La conclusione riguarda un messaggio da lanciare alla società italiana nell’occasione dell’equinozio d’autunno e 20 Settembre: se nel 1986 esso è stato quello della tolleranza, ripreso in più circostanze da autorità pubbliche ed ecclesiali, stavolta esso è quello della crescita dell’amore alla cultura: 

Fino a dieci anni fa c’erano forze politiche che gestivano il potere e forze politiche che pensavano. Oggi tutti gestiscono il potere e non pensa più nessuno. E questo porta conseguenze di deterioramento e di livellamento in basso del costume delle forze sociali […]. Quindi il richiamo nostro è alla necessità di grande cultura nell’istituzione per cui ogni Massone deve poi, nella vita civile, portare questo anelito nuovo per vedere le cose da un piano superiore, riuscire cioè ad avere lo sguardo panoramico su tutti gli accadimenti dell’umanità […]. Spesso noi ci lasciamo irretire in questioni di poco conto, di poco momento e invece perdiamo di vista le questioni generali e fondamentali. Ora le questioni generali dell’uomo di oggi sono proprio quelle della salvezza dell’umanità, della sua pace, ma soprattutto sono quelle del ritrovamento di quei valori che per tanti anni, nel recente passato, abbiamo smarrito e che solo attraverso il mondo iniziatico e la cultura possono essere ritrovati.

In questo senso vale la partecipazione del Gran Maestro, intervenuto al secondo convegno “Pitagora 2000” svoltosi nel settembre 1987 all’insegna di «l’uomo, la scienza e le dinamiche del potere».

Pitagora e la progressione della conoscenza

Simpatico, per il flash autobiografico, l’incipit del suo discorso: 

Quando ero bambino mi divertivo molto e mi appassionavo a veder i fuochi di artificio e cercavo di scommettere con me stesso per capire quale era quello che faceva più luce e quello che arrivava più in alto; è una sensazione che ho provato oggi ascoltando le relazioni una più bella dell’altra e più luminosa dell’altra. 

Efficace il richiamo a Pitagora: 

Il primo degli uomini ricordato dalla storia che ha creato una vera frattura fra la verità sacerdotale e la verità laica, fu proprio Pitagora. Egli ha cercato di spiegare la grandezza di Dio, l’armonia dell’universo, i fenomeni dell’universo attraverso i numeri. Egli ricavò da se stesso e dalla propria conoscenza un metodo, una chiave di lettura dei fenomeni umani proprio come un maestro laico. Pitagora si inventò tutto questo? No, Pitagora in tutto ciò venne aiutato da quanto apprese dalle diverse scuole iniziatiche che aveva frequentato.




Particolarmente acute appaiono alcune osservazioni che il Gran Maestro, nella visita alla persona e al pensiero di Pitagora, propone circa l’accostamento della pedagogia progressiva della Libera Muratoria alla originalità intellettuale (e morale) del filosofo e matematico di Samo (e quante logge delle diverse Obbedienze da lui o dalla sua città d’origine hanno preso il titolo, anche in Sardegna!): 

Aveva creato una scuola alla quale aveva dato il senso e la forma di una scuola iniziatica mettendo al primo posto coloro che dovevano solo ascoltare, al secondo posto i parlatori ed al terzo posto i matematici che sarebbero i maestri massoni di oggi. È soprattutto nel primo grado che noi riusciamo a capire la laicità e la scientificità di Pitagora e la sua relazione con il mondo iniziatico. Infatti gli acusmatici, cioè coloro che dovevano solo ascoltare, avevano il compito di imparare l’arte di ascoltare e quindi di meditare e penetrare la verità che il maestro rivelava loro. Un maestro che, fra l’altro, non parlava mai a viso scoperto, ma coperto da un velario perché il mondo iniziatico aveva insegnato che la verità non doveva avere mai il volto di un uomo, ma doveva essere la verità e basta […]. È pur vero che la scuola pitagorica porta con sé l’ipse dixit ma il Maestro afferma la verità, l’allievo la fa propria e per anni la deve meditare fino a che o la ritiene valida anche col frutto della sua ricerca oppure, quando sarà nel secondo o terzo grado, parlatore o matematico, porterà il frutto della sua elaborazione.

Nella responsabilità sociale i limiti dell’autonomia della ricerca scientifica 

Affaccia qui, il Gran Maestro, la grande questione della libertà della ricerca scientifica accompagnata però dal senso di responsabilità del bene comune da non compromettere mai, a rischio di smentire così la virtù propria della scienza stessa. Ritornano qui suggestioni etiche ed intellettuali presenti in pensatori e letterati e drammaturghi – si pensi al Brecht del “Galileo” – ma ritorna anche quel sentimento della trasversalità o sopranazionalità della fatica evolutiva della conoscenza nei più diversi campi dell’astronomia e della medicina, della chimica e dell’ingegneria: 

I Massoni dicono che quello che è cominciato nell’Umanesimo e proseguito nel Rinascimento, nella Rivoluzione Liberale e nella Rivoluzione Illuministica deve essere portato avanti: bisogna richiamare quella scintilla divina che c’è in ogni uomo e che è la coscienza. Questo va fatto. Una scienza libera dunque, ma soprattutto una coscienza libera in ogni ricercatore […]. L’universalizzazione della scienza deve essere fondata sull’uomo e sulla possibilità che tutti gli uomini abbiano diritto di servirsi delle conquiste della scienza.

Corona, medico da sempre impegnato nel sociale, nell’assistenza più generale a chi è colpito dalla malattia, è particolarmente attento alla circolarità naturale, alla condivisione assoluta, sopra ogni barriera di nazione, che ad ogni scoperta curativa deve essere assegnata come sua intima e indiscussa proprietà umanitaria. Sa e dice dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, e dei protocolli terapeutici quotidianamente da essa diffusi fra meridiani e paralleli, in ciò scorgendo la risposta al diritto elementare dell’uomo alla buona salute ed al soccorso. 

Le questioni che sono all’ordine del giorno dell’agenda anche politica e legislativa, tanto più in Italia, nel presente secondo decennio del Duemila entrano anch’esse nella riflessione e negli ammonimenti del Gran Maestro, intervenuto al convegno promosso, a Roma, dal Rito Simbolico Italiano (questo ne ha organizzato già un primo, sempre con la partecipazione del Gran Maestro, nel 1984, ed altri due ne chiamerà nel 1989-90 e nel 1992 all’insegna, rispettivamente, della “paideia” dell’“etica nel terzo millennio”).

Sembra significativo che proprio in questa parte centrale, e si direbbe più matura dell’ottennio di guida della Comunione giustinianea, Corona affidi alla rivista Hiram riflessioni che vanno ai fondamentali della dottrina liberomuratoria. Non a caso i suoi fondini, sul mensile del GOI, trattano – così nei titoli – “L’Iniziazione”, “Il rispetto di se stessi”, “Il Lavoro del Libero Muratore”, “Per l’umanità più debole”…

A dir di trascendenza e del GADU, sempre massimo riferimento

In tale contesto anche temporale, all’indomani cioè delle perplessità che da più parti erano salite per l’intervenuta espunzione dello specifico richiamo monoteistico, come basico della Istituzione e del suo patrimonio morale (era esplicitato nell’art. 3 della Costituzione del 1968, è cassato nel nuovo art. 5 essendo ritenuto sussunto dagli altri alinea come il GADU, gli Antichi Doveri, i rituali della Tradizione, il Libro della Sacra Legge, il simbolismo e l’esoterismo, ecc.), assume rilievo non da poco un editoriale – quello sul numero di maggio 1988 di Hiram – che con nettezza sostiene quanto nel titolo è sintetizzato con l’apodittico “Non c’è Massoneria senza trascendenza”.

Valga anche stavolta riprendere i passi essenziali di tale intervento: 

La nostra Istituzione non impone, ma neanche impedisce, al Massone di accettare tutti gli ineffabili attributi e poteri che gli uomini, nella loro storia ed attraverso le più svariate credenze religiose, hanno inteso conferire all’Essere supremo […]. Di certo però i Massoni credono nell’Essere supremo, e credono che il pensiero massonico non si possa esprimere in assenza di una significazione trascendente.

L’opzione di coscienza del Massone è per il Grande Architetto dell’Universo, ma nel pieno rispetto di coloro che, per fede o convincimento, desiderano considerare “Dio” oggetto della propria trascendenza. In comune, però, gli uni e gli altri hanno la certezza che, affinché la vita umana abbia un senso, occorre un punto di riferimento nel Grande Architetto dell’Universo per gli uni, in Dio per gli altri.

E ancora: 

Il Massone crede nel GADU, lavora alla sua gloria, cerca di avvicinarsi a lui come massimo modello etico e di conoscenza, come massima fonte di luce e di amore, e, come diceva il nostro Fratello Lessing: “Massone è colui che organizza la propria esistenza per assecondare quella meravigliosa opera d’arte che è la creazione” […]. La Massoneria ha, prima nella storia, caldeggiata e difesa la tolleranza religiosa ed il diritto di ogni uomo di professare la propria fede. Dopo tanti scoli, come Massoni, siamo lieti che anche il Concilio Vaticano II abbia dichiarato testualmente: “La coscienza degli uomini è sacra e la verità non si impone che in virtù della stessa verità” (Dignitatis Humanae n. 1).

E forse è da accostare a tanto quel che il Gran Maestro sostiene nella sua allocuzione alla Gran Loggia del 20 marzo 1988, quando riportandosi alla sua prima balaustra insistette sulla identità massonica comprensiva della credenza nell’Ente Supremo comunque definito o definibile.

Da qui infatti muove la Tradizione liberomuratoria, non come deposito museale ma come realtà sapienziale bisognosa sempre di nuovi apporti, come un fiume dagli affluenti. E muove il dovere impegnativo della Fratellanza di una selezione rigorosa nel proselitismo, onde impedire quelle incaute contaminazioni o profanizzazioni di quasi impossibile gestione all’interno della loggia: 

Il progresso cammina indifferente attraverso terribili drammi umani, escludendo da esso immense folle, che per strada muoiono di fame, di stenti e di emarginazione. Dittature politiche e religiose, dittature economiche e razziali rendono di fatto schiava gran parte dell’umanità, privandola della libertà di coscienza, di espressione, di associazione; ma la Massoneria può e deve costituire anche, e soprattutto per questa grande moltitudine umana, una speranza e un riferimento. Ciò sarà possibile soltanto se essa sarà tutta e solo ricca di valori iniziatici e dell’anelito verso il Grande Architetto dell’Universo, liberata dai condizionamenti materiali, dal conformismo, dalla pavidità, dalla adorazione dei metalli.

E ancora insiste, assegnando alla disciplina ordinaria, quella feriale, praticata perché interiorizzata e non perché imposta, lo strumento per raggiungere i fini del perfezionamento: 

il silenzio, l’ascolto, la attenzione partecipe alle parole pronunciate dal Maestro Venerabile e ai movimenti rituali che le Luci eseguono con perfetta compostezza e serietà sono un modo semplice ma efficace, oltreché doveroso, di apprendere l’Arte Muratoria. Il nostro cuore deve sentirsi libero dai pesi e dagli affanni che abbiamo lasciato fuori dal tempio […]. Tutto il nostro essere deve sentirsi assorbito dalla magica atmosfera che la copertura del Tempio, la luce soffusa dei candelieri, la visione del Libro Sacro aperto al Vangelo di S. Giovanni in quella sua stupenda proposta esoterica, lo splendore del Delta luminoso riescono a creare… 

L’arte del costruire la città dell’uomo

Il metodo massonico della costruzione, che costituisce il tema affrontato dal Gran Maestro al convegno fiorentino “Massoneria e architettura”, nell’aprile 1988, è anch’esso, oltreché basilare della dottrina liberomuratoria anche per le evidenti associazioni con le pratiche edificatorie delle corporazioni medievali – della Massoneria operativa cioè – un elemento che ritorna con qualche insistenza nella parola e negli scritti di Armando Corona in quanto titolare del Supremo Maglietto giustinianeo.

Egli suole partire sempre da lontano, per dare l’idea di come un assunto di dottrina, della dottrina simbolica e rituale riconoscibile e riconosciuta nella attualità, non venga mai dalla estemporaneità visionaria e suggestiva di un qualche genio offertosi alla elaborazione del corpus, ma venga dalla sedimentazione di culture territoriali in fascinose osmosi o reciproche influenze, sino agli affinamenti dei tempi moderni. 

L’arte del costruire racchiude le certezze e le speranze del durare dell’uomo; finché egli ha pensato che tutto fosse senza seguito, senza trasmissione, è andato ramingo e nomade ma quando ha capito ed intuito il senso dell’avvenire e del duraturo, ha fissato la sua dimora e pensato all’arte del costruire. 

È a Firenze, la capitale mondiale del bello, che Corona pronuncia queste parole. Richiama gli assiro-babilonesi, richiama gli egiziani, richiama i greci ed i romani, richiama i protocristiani, attraversa le molteplici esperienze ed espressioni religiose e fra i bizantini artefici della cattedrale di Santa Sofia ed i musulmani della Moschea Blu di Istambul o della moschea verde di Bursa – venti cupole e due minareti – scorge una comune ispirazione spirituale. Ripassa criticamente la clericalizzazione della vita civile e la centralità assegnata in ogni borgo alla chiesa 

con il suo campanile ed il suo sagrato», luogo privilegiato per la formalizzazione dei maggiori atti sociali, matrimoni e affari, saranno nel tempo anche le pratiche sanitarie, perfino le vaccinazioni... Il sagrato come l’antica agorà, e la primitiva Libera Muratoria – quella operativa – si sforzerà di produrre i suoi edifici accostandosi «il più possibile alla cultura ed all’indole degli abitanti, né più né meno di quel che avviene oggi dove l’opera architettonica è armonizzata al pensiero, alla cultura ed al gusto della comunità che la riceve.

I liberi muratori fanno tesoro di tante esperienze, di tante scoperte sia in termini di dottrina, sia di strumenti ed attrezzi di lavoro, sia anche di artifici e “trucchi”: le “meraviglie” che debbono essere custodite da un geloso segreto. Il luogo di lavoro che serviva alla conservazione degli utensili, dei progetti e delle carte contenenti i calcoli e i disegni si chiamava loggia, come oggi si chiama studio, sorgeva sempre a fianco del cantiere […]. Una sola cosa accomunava i costruttori liberi muratori in tutto il mondo: tutte le loro costruzioni erano un atto di fede. Fino all’età moderna i liberi muratori erano tutti operai ma nella concezione moderna il Maestro diverrà architetto. Nasce così la gerarchia della libera muratoria… 

La storia dell’arte applicata alla storia massonica, o il corso parallelo delle due esperienze: il Gran Maestro sceglie questa via per arrivare alle sue conclusioni: 

Il passaggio dalla clericalizzazione della vita comunitaria alla laicizzazione è contrassegnato dalla nascita dello stile gotico che si contrappone a quello romanico. Fisso, immobile, maestoso, assoluto, teocratico questo; libero, leggero, fantasioso, personale, indipendente, immaginifico il primo. Gli antichi liberi muratori lo considerano una prima vera protesta contro l’assolutismo dei prìncipi, della nobiltà laica ed ecclesiastica, ed una prima affermazione del diritto alla libertà di pensiero e di espressione.

Nel mezzo ancora della contesa fra i cultori dello stile occidentale e quelli dello stile orientale, nel contesto anche della reciproca scomunica fra le Chiese d’occidente e d’oriente, e dunque nel contrasto fra le concezioni del rapporto tra l’uomo e la natura, «a proposito della possibilità umana di “costruire”, cioè di realizzare concretamente il dominio razionale dell’uomo sulla materia, a cominciare dalla pietra, la più resistente al suo lavoro, ma anche quella che, modificata secondo la sua intenzione, durava più d’ogni altra ed avvicinava l’uomo al Creatore», ecco la Libera Muratoria con la sua posizione ottimista. Essa esalta la natura nella costruzione del tempio, mentre il manicheismo la considera depositaria del male, negandola e relegandola fino agli estremi.

Il Tempio massonico come spazio insieme individuale e sociale 

Passa, il Gran Maestro, attraverso le scene dei secoli – dal francescanesimo laico al rigoglio rinascimentale, al riflusso della Controriforma, alla rivoluzione industriale –, per arrivare al centro della proposta massonica che incrocia nel Settecento i risultati ultimi del lungo percorso: 

i grandi costruttori cessano di aver per obiettivo la reggia, il duomo, la basilica, come opere in se stesse isolate, separate dalla città, e affrontano il compito col quale ancor oggi si misurano: la costruzione della città come insieme unitario, come armonico reticolo di elementi che affratellano invece di perpetuare divisioni. Mentre esaltava il ruolo liberatorio della “seconda natura” [quella delle scienze] diffondendo ovunque il frutto dell’industrializzazione, la parte scientificamente più avanzata dell’umanità si propose anche di restituire l’uomo urbano alla sua identità originaria: far sì che lo spazio cittadino non fosse sacrificio dell’individuo e della sua creatività bensì liberazione dell’uomo, con netta distinzione fra spazio personale e spazio pubblico: un’antica conquista, questa, realizzata e vissuta all’interno del Tempio massonico, francescano spazio rettangolare, idealmente aperto e sorgente di libertà […]. All’interno del Tempio, infatti, non v’è contrasto tra la comunione che nasce dallo stare insieme (spazio pubblico) e la autonomia di ciascuno, con la sua identità (spazio individuale).




È qui però che lo spirito indagatore e critico del massone deve impegnarsi nelle sue verifiche, appunto uscendo dal Tempio. Ma davvero attraverso il dominio razionale sulla seconda natura l’uomo è reso più libero, più creativo? La Libera Muratoria, come società umanistica, sa il suo: 

Essa, nel corso degli ultimi secoli, senza mai perdere di vista il mondo dei simboli, che ne costituiscono il metodo educativo, per raggiungere il proprio fine, cioè l’avvento di una umanità integralmente libera, ha dedicato i suoi sforzi a disegnare la pianta della “città dell’uomo” come insieme di valori; ha inteso i singoli popoli come grandi edifici, formati ciascuno da una miriade di parti, di singoli elementi. Quegli edifici convergono a formare la “città globale”, cioè un’umanità nella quale devono trovar posto, armonicamente, persone, etnie, popolazioni, ognuna con i propri caratteri, senza costrizioni, ma anche senza divisioni e contrapposizioni. 

Questo ideale può sembrare un’incredibile utopia, assolutamente irrealizzabile. La Massoneria conosce però la via – “metodo”, come dicevano i Greci e poi Cartesio – per giungere ad attuarlo nella storia. Ripensiamo alle antiche cattedrali. Ogni loro dettaglio era perfettamente curato e rifinito. Solo così l’edificio era giusto e perfetto. Così per la cattedrale laica della fraternità, affinché l’umanità sia armonica e coerente, la Massoneria lavora alla educazione di ogni singolo uomo. Sa che l’obiettivo non sarà raggiunto sino a quanto rimarrà un infelice, un reietto, un uomo non per sua colpa misero, malato, disumanizzato». Di qui gli sforzi massonici, e val la pena ricordarlo, lungo il secondo Ottocento e il primo Novecento a favore di nuove organizzazioni transazionali: dalla Croce Rossa alle leghe per la pace universale, dalla Società delle Nazioni ad Amnesty International. 

Ecco la città dell’uomo vagheggiata dalla Massoneria, traduzione in vita vera della metafora della città architettonica. Ma di più ancora. Perché, in conclusione quasi del suo intervento, elencando le contraddizioni dell’urbanistica senza anima da cui sono venuti i palazzi alveari, le piazze senza parcheggio, gli stadi irati come al tempo dei gladiatori, rilancia il modello del Tempio della Libera Muratoria: «forma elementare di un ideale di unitarietà sociale, del dialogo culturale, del mutuo insegnamento. A questo proposito, il nostro tempio non è forse simile alla più lineare aula scolastica ed a quella chiesa francescana nella quale ogni fedele ode direttamente le parole e vede il volto dal “pastore” e questi comunica con il suo popolo senza barriere di colonnati, senza artificiose cortine murarie? In quel nostro spazio – libero, mai coatto, cui si accede con senso di rispetto di sé e degli altri, con la coscienza della fratellanza e dell’uguaglianza dei diritti – si realizza l’obiettivo che gli architetti si prefissero per la loro “città”: abituare gli uomini alla coabitazione, meglio alla tolleranza, meglio ancora alla tolleranza attiva, cioè alla cooperazione, alla solidarietà”.

L’Italia e l’Europa, la fraternità continentale e universale

Nel settembre dello stesso 1988 il Gran Maestro partecipa, a Torino, al convegno internazionale “La liberazione d’Italia nell’opera della Massoneria” e qui porta il suo messaggio europeo. Lo porta certamente perché nel sentire della Massoneria, fratellanza universale per eccellenza, le idealità collaborative sono necessità l’aria per i polmoni, ma lo porta con pari certezza per la frequentazione dei sogni e dei programmi, nella giovinezza, del primo sardismo e, nella maturità, del repubblicanesimo italiano. Queste le sue parole: 

Per noi Europa significa l’incontro fra culture, tradizioni storiche, modelli civili. Non vi è Paese di questo continente che non conservi i segni manifesti delle relazioni da esso avute con ogni altro popolo: dall’architettura al costume, dalla lingua agli stessi usi alimentari. Esiste già dunque una unione di fatto, materiale e soprattutto spirituale, più vasta e più forte di ogni barriera doganale, di ogni ufficio passaporto. La Massoneria ha contribuito in modo determinante a crearla e oggi si impegna a darle spazio e voce anche perché l’Europa è in debito col mondo di ben due guerre mondiali (che i Massoni invano cercarono di evitare) e deve quindi saldare un così pesante fardello con una era di pace che parta da qui: dalla smilitarizzazione e dalla lotta contro ogni forma di inquinamento morale e materiale.

In secondo luogo – e proprio in connessione con l’unione europea – la Massoneria, a cominciare da quella italiana, dovrà compiere uno sforzo nuovo e maggiore, da un canto per misurarsi con le singole realtà nazionali, stemperandole nella nostra universalità, in modo da superare i nazionalismi; dall’altro, allargare l’orizzonte, introducendo nuove forme di coesione fra le diverse comunioni, in modo che dinanzi a sempre possibili controffensive, carissimi Fratelli d’Austria e di Spagna, non ci si trovi come fummo noi nel 1922-25, e voi nel 1936-39 e nel 1938. Sappiamo, in particolare, di dover guardare all’America centro-meridionale – affine per lingua e tradizione storica – e all’Africa. Se un tempo l’Europa deportò, colonizzò e impoverì quelle terre, oggi la Massoneria si deve sentire impegnata nell’opera quotidiana della loro ricostruzione, in nome della comune umanità: un compito che sentiamo più urgente e bruciante per il vicino Oriente, ove il Grande Oriente d’Italia contò per decenni un alto numero di Logge. Tale compito intendiamo assolvere, forti di secoli di storia.

La caduta del comunismo nel sistema sovietico nel 1989-1991, l’ampliamento della rete comunitaria e la trasformazione della CEE in Unione Europea, le recenti difficoltà delle relazioni con il Regno Unito, le complessità e le contraddizioni anche nella politica condivisa sia nel quadro diplomatico che in quello economico, aggiungono altre motivazioni all’istanza ideale rappresentata in quel discorso del 1988: 

da questa prima capitale d’Italia la Massoneria punta a costruire l’Europa del duemila, di cui, nei secoli avvenire, i nostri futuri Fratelli possano andar fieri come noi andiamo di quella costruita nei millenni passati dai nostri precursori. Noi abbiamo ereditato da essi le cattedrali del Mille, le libertà del Sei-Settecento, gli Stati nazionali sovrani dell’Otto-Novecento come espressione di superiore libertà per tutti. Ora dobbiamo lavorare per una maggiore giustizia sociale, per preservare la dignità di ogni uomo, per difenderne i diritti inalienabili, per far coincidere il progresso e la civiltà col contenuto dell’art. 1 della nostra Costituzione che così recita “La Massoneria intende al perfezionamento ed alla elevazione dell’uomo e della Umana Famiglia”.

Meditazioni ultime, nel momento del congedo

Alla fine della sua granmaestranza, il Ven.mo propone alla Fratellanza giustinianea, in termini che sembrano perfino accorati, una sua riflessione complessiva sui pilastri sopra i quali deve continuare a poggiare la militanza massonica, quella che abbia fierezza delle sue conquiste e della sua faticata ma libera testimonianza nel mondo sociale. 

Ecco alcune delle battute centrali della sua lunga Tavola, riportata da Hiram nel numero di maggio del 1990, a subentro del Gran Maestro Di Bernardo ormai avvenuto: 

La radice della Massoneria è nell’uomo, nella sua ansia di conoscere, di superare il fisico ed il materiale, il provvisorio ed il caduco per giungere a una sintesi, attraverso la ricerca esoterica, dei principi generali e universali, eterni ed immutabili che pongono l’uomo al centro del grande crocivia in cui si incontrano e si intersecano i fenomeni religiosi, filosofici, scientifici, storici e culturali.

Nel momento attuale, in cui la società umana rischia l’abbandono di ogni principio morale, fenomeno che con insensata terminologia prende il nome di rinnovamento e di progresso, la Massoneria deve richiamare la coscienza dell’uomo all’autodisciplina e all’accettazione delle sue responsabilità.

Può infatti la nostra Istituzione starsene soltanto a guardare? E assistere impassibile a quanto avviene in questo enorme palcoscenico dove tutti corrono ad inventare teologie a sostegno dei vincitori? Quale Massoneria si farà carico dei mali dei dolori dell’uomo? Non certo quella che nel Tempio dà spazio ai metalli e alla quotidianità, non quella che porge orecchio e dà ascolto a chi, con la scusa dell’impegno sociale, intende immergere la Loggia nel catino del potere profano, non quella che nel Tempio trascina lavori ripetitivi e monotoni, incontri senza anima, sempre più lontani dalla sacralità e dall’impegno rituale.

Non saranno certo i Fratelli assenteisti, né quelli che accettano il rito come manifestazione esteriore e non già come interpretazione e realizzazione del simbolismo e della mitica Tradizione della Massoneria, non saranno costoro a farsi carico dei mali e dei dolori dell’umanità, poiché non si rendono conto che atteggiamenti, atti, pensieri, parole, hanno senso solo se dedicati al Grande Architetto dell’Universo e al bene dell’Umanità. Solo quanto tutti i Fratelli avranno l’animo sgombro dai vincoli della profanità e si disporranno a indagare sulle origini dell’uomo e delle cose, sul trinomio “donde veniamo, chi siamo e dove andiamo”, solo allora tutto sarà giusto e perfetto.

Per quanto sia chiaro a tutti che la Massoneria non ha spazio né tempo e che la durata di un lavoro di Loggia è meno di un battito di ciglia dell’Universo, è tuttavia altrettanto vero che la Massoneria nel suo respiro universale è costruita da tutti quegli attimi vissuti in ogni Loggia del mondo. La Loggia è piccola cosa a confronto dell’universo mondo e forse l’Alfa e l’Omega degli antichi saggi spiegano assai bene il rapporto tra la singola Loggia e l’universo. Quando ogni Fratello concentrerà la propria intelligenza e la porrà al servizio delle Luci della Loggia e della Catena d’Unione nel Tempio si sprigioneranno luce ed energia sufficienti ad illuminare i Lavori ed a guidarli verso l’elevazione dell’uomo. È in quella atmosfera magica e mistica che ogni Fratello comprende il senso della sua appartenenza all’Istituzione…

Crescere nell’autodisciplina, la serietà del sorriso

E più oltre: 

L’iniziato lavora alla costruzione di una diversa umanità: più giusta, più tollerante, più disponibile a guardare negli occhi il proprio simile, a condividere gioie e dolori. L’iniziato ha i suoi scampoli di cielo e di beatitudine in questa terra ed essi si realizzano ogni volta che, con gli altri Fratelli, lavora in Loggia alla edificazione del tempio della propria personalità, sotto la guida di una Istituzione massonica monda di sospetti e di brutture, protesa all’elevazione materiale, culturale e spirituale dell’intera umanità.

Guai a noi se non elimineremo i maestri di profanità che siedono fra le nostre Colonne, Fratelli che pur cingendo i propri fianchi del grembiule di Maestro sono spiritualmente legati alla Colonna del Nord ed agiscono e si comportano come se la Loggia fosse una pubblica piazza o peggio un club profano. Bisogna combattere il lassismo, generatore di confusione e disordine. È urgente ed improcrastinabile instaurare una disciplina esteriore che produca scrupolosa osservanza della sacralità e ritualità della Loggia.

L’insegnamento e la pratica iniziatica devono accompagnarsi ad una grande disciplina interiore, sicché ogni parola, ogni comportamento, ogni gesto, ogni atteggiamento siano di estrema coerenza con l’assoluta esclusione dei metalli dal Tempio.

Non dimentichiamo che la Massoneria cerca sempre di comprendere, mai di giudicare; che la Massoneria respinge ogni forma di fanatismo ed ogni tentativo aperto o subdolo di emarginazione e di umiliazione dell’uomo; che la Massoneria vuole la lealtà e la sincerità dell’uomo e ne respinge la doppiezza e l’ipocrisia, il conformismo e la doppia morale.

Al mondo del dolore, al mondo dei vinti, al mondo dei nemici della natura, al mondo degli stolti, al mondo degli atei e dei materialisti noi offriamo la meditazione sul modello di vita della Loggia massonica dove oggi, oltre ai concetti illuministici di libertà, uguaglianza e fratellanza, si insegnano i concetti di tolleranza e di responsabilità, così necessari nei pensieri e negli atti quotidiani di ogni uomo…


4.2 – Giglio e l’universo complicato e rischioso della Popolare, con la stampa da presso

Tegola giudiziaria. Lunedì 7 ottobre 1991 la Banca Popolare di Sassari apprende di essere stata commissariata, e il suo presidente Giuseppe Angius e il suo direttore generale Mario Giglio – entrambi Fratelli “storici” della Gio.Maria Angioy all’Oriente di Sassari – sanno di essere stati ex abrupto emarginati da una decisione della Vigilanza della Banca centrale. Decisione che era nell’aria, provocata e aizzata anche da lunghi e non savi contrasti fra l’ex presidente, il Fratello Vincenzo Simon, e lo stesso direttore generale. È una guerra triplamente in famiglia, per il vincolo di parentela dei contendenti, per il vincolo elettivo





Fonte: Gianfranco Murtas
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