user profile avatar
Redazione

Un cardinale salesiano da dieci anni “cittadino cagliaritano”: don Ángel Fernández Artime

di Andrea Giulio Pirastu

article photo


C'è, fra i 236 cardinali della Chiesa cattolica – il gran senato del papa – un vescovo cagliaritano che s'affianca, nel collegio delle porpore, all'arcivescovo emerito della maggior diocesi sarda, cioè a monsignor Arrigo Miglio, oltreché, in quanto sardo, a monsignor Angelino Becciu, che a Cagliari ha studiato in gioventù (presso il seminario regionale appena trasferito da Cuglieri). È don Ángel Fernández Artime, Rettor Maggiore della famiglia salesiana che, in tutto il mondo, conta 13.671 operatori, di cui 9.509 presbiteri, 2.680 seminaristi, 1.488 cooperatori laici, poi centinaia di migliaia di exallievi, 1.728 case ed opere erette e diffuse in 134 nazioni dei cinque continenti; la famiglia salesiana si allarga anche con le 10.778 suore Figlie di Maria Ausiliatrice presenti in più di 1.400 Istituti sparsi in 97 nazioni nei cinque continenti.

Artime è cagliaritano, appunto, perché il consiglio comunale di Cagliari gli ha concesso la cittadinanza "ad honorem" nella solenne seduta del 1° ottobre 2014 (siamo giusto alla vigilia del decennale! Includendo in esso la tornata deliberativa del 24 settembre). E papa Francesco lo ha chiamato lo scorso anno (30 settembre 2023) a partecipare al collegio cardinalizio, al quale già appartenevano 10 padri salesiani (ora 6 elettori e 5 non elettori, la compagine maggiore tra gli ordini religiosi), di fianco a 3 francescani, 9 gesuiti, 2 domenicani, 5 cappuccini, 2 vincenziani etc., insomma i rappresentanti delle fraternità religiose che condividono con altri 225 vescovi "secolari" il governo della Chiesa universale.

È risaputo che il cardinalato è una istituzione più che millenaria della Chiesa cattolica: un tempo il papa, in quanto vescovo di Roma, era eletto dai rappresentanti delle varie comunità dell'urbe, potremmo dire semplificando, dai parroci romani. E i cardinali, oggi, in quanto elettori del papa e pur provenendo da ogni parte del mondo, sono proprio riportati, già nella bolla di nomina, con un titolo o una diaconia, ad una specifica comunità parrocchiale di Roma: al nostro Artime è stato assegnato la diaconia di Santa Maria Ausiliatrice in via Tuscolana, così come a don Miglio è stato assegnato il titolo presbiterale di San Clemente, e a don Becciu la diaconia di San Lino...

(Valga qui una brevissima precisazione: la diaconia costituiva una sorta di “servizio sociale e assistenziale” organizzato da una determinata comunità dotata di una propria chiesa, a questa associato per l’esercizio appunto della carità fraterna: nella chiesa il culto, nel “salone” e nella quotidianità la carità. Le prime diaconie pare esistessero già fra il III e IV secolo dell’era cristiana, e dopo una certa decadenza, tornarono in auge verso il VII-VIII secolo).

Ma per tornare a don Artime cardinale cagliaritano sarà forse utile ripassare, brevemente ed a soddisfare magari qualche curiosità proprio in occasione del suo sessantaquattresimo compleanno (21 agosto 2024) , la storia delle chiamate sarde al cardinalato nel corso di mille anni, e anzi far precedere questa esplorazione da un pur rapido ricordo dei rapporti diretti dei papi con la Sardegna.


I papi in Sardegna in epoca recente…

Certamente le cronache di stampa degli ultimi decenni hanno documentato le visite sarde dei pontefici, tutte in tempi moderni: il 24 aprile 1970 (due settimane dopo la conquista dello scudetto da parte del Cagliari di Gigi Riva e Manlio Scopigno!) venne nell’Isola Paolo VI, che celebrò la messa, davanti a centomila fedeli convenuti dall’intera Sardegna, alla sommità della grandiosa scalinata di Nostra Signora di Bonaria. Visitò nel pomeriggio il quartiere di Sant’Elia, entrando nella casa di un ciabattino la cui moglie era inferma e costretta a letto, per raggiungere infine il nuovo seminario diocesano per incontrare il clero regionale e i giovani chierici.

Dal 18 al 20 ottobre 1985 fu Giovanni Paolo II che a Cagliari – ancora all’altare allestito sul sagrato di Bonaria, ma dopo aver visitato gli ammalati dell’Oncologico e del Microcitemico, e prima dell’abbraccio con il clero secolare e religioso, le suore di clausura ed una rappresentanza di detenuti nonché con migliaia e migliaia di giovani – concluse il suo “trionfale” giro per le maggiori città dell’Isola – da Oristano a Sassari a Nuoro – non mancando di incontrare ad Iglesias i minatori e con loro perfino calandosi nelle viscere della terra.

Il 7 settembre 2008 toccò a Benedetto XVI replicare a Bonaria per solennizzare con la liturgia il centenario della proclamazione della Vergine a patrona massima della Sardegna. Importante fu, anche stavolta, l’incontro con gli ammalati gravi riuniti, con le loro lettighe, nelle navate della grande basilica e, la sera, in cattedrale, con i sacerdoti, i seminaristi ed i professori e studenti della facoltà teologica; infine nel largo Carlo Felice con trentamila giovani apposta convenuti per dialogare con lui.

Il 15 maggio 2013, ad appena due mesi dalla sua elezione, fu finalmente Francesco a darsi tutto all’abbraccio con i sardi, anch’egli innanzitutto con i lavoratori a rischio di disoccupazione, e prima e dopo la messa solenne nella grande piazza, incontrando gli ammalati negli spazi riparati della basilica e più tardi, nella cattedrale, il clero e con esso, diversi detenuti in licenza speciale, dopo anche una sosta presso la facoltà teologica (per il saluto del mondo accademico a presidenza gesuitica).


… e nell’antichità: Ponziano, Ilario, Simmaco

Si sa che fu in Sardegna, costretto “ad metalla”, ai lavori forzati cioè, papa Ponziano. Storia del terzo secolo dopo Cristo: deportato nell’isola – v’è traccia documentaria che lo riporta a Tavolara – dall’imperatore Massimino Trace. Forse operaio minatore. Era stato eletto pontefice, Ponziano (poi San Ponziano) nel 230. Rinunciò poi alla tiara, essendogli impossibile continuare a governare la comunione cristiana che ancora a lungo avrebbe avuto da tribolare fra una persecuzione e l’altra.

Sarebbe peraltro da dire che già prima di Ponziano – potrebbe trattarsi d’un mezzo secolo – in Sardegna, condannato ai lavori di miniera, fu spedito un altro papa, o meglio prossimo papa: Callisto I, che dopo una vita piuttosto disordinata (all’origine anche della condanna e della detenzione), visse la sua conversione a Roma, dove divenne diacono e presbitero e infine pontefice. Le biografie che furono scritte a suo tempo si debbono soprattutto ai suoi avversari, per cui è problematico dire se tutto fu verità…

Ma, a dir di papi, di sardi di nascita il Liber pontificalis ne annovera due: Ilario, secondo alcune fonti originario di Maracalagonis, che si formò sotto Leone Magno e fu suo delegato al concilio di Efeso (449), venne eletto al soglio di Pietro come 47° successore del capo degli apostoli - nel 461 e vi restò per poco più d’un lustro, caratterizzandosi per carattere fermo nella contrastata difesa della dottrina; e Simmaco – poco tempo dopo di lui e per una quindicina d’anni, all’inizio del VI secolo. Questi, originario di Simaxis nell’Oristanese, nacque pagano e fu battezzato a Roma, dove divenne diacono e poi presbitero e vescovo/papa nel 498. Tempi complicati, di papi ed antipapi e di scismi (ma invero così era stato già negli intrecci delle vicende di papa Ponziano!).

I suoi tempi – che erano poi gli stessi di papa Ilario – s’identificano, con specifico riferimento alla Sardegna, con l’era vandala seguita alla caduta dell’impero romano d’occidente, e dunque anche con la migrazione di molte decine di vescovi del nord Africa, fra cui il prossimo San Fulgenzio, nell’Isola: papa Simmaco sarebbe stato protettore, nei limiti del suo possibile, di questi vescovi sostenendoli nel materiale oltre che nello spirituale. (Furono quei vescovi a portare a Cagliari le spoglie di Sant’Agostino, che in città sostarono per circa duecento anni, prima del loro acquisto da parte dei longobardi di Liutprando che le trasferirono a Pavia). Secondo taluno, Simmaco fu un papa di speciale autorevolezza ed iniziativa su campi molto diversi, ad esempio avviando la costruzione di un palazzo vaticano sede pontificia e, riguardo alla disciplina, stabilendo per i fedeli l’obbligo della partecipazione alla messa domenicale.


I cardinali

E poi ci sono stati i cardinali. Il più lontano nel tempo è stato il cagliaritano Benedetto Cao, pia figura risalente all’XI secolo (… il tempo di Mille e non più Mille! Vigilia della gran stagione di Federico Barbarossa e, in Sardegna, vigilia delle crescenti pretese pisane fino alla distruzione di Sant’Igia…). Entrato nel clero romano, egli venne promosso alla porpora da Gregorio VII/Ildebrando di Soana, che gli assegnò il titolo di Santa Prassede.

A seguire, ma cinquecento e passa anni dopo, ecco Francisco Antonio De Borja-Centelles y Ponce de Leon, sassarese ma di evidenti ascendenze spagnole, nominato cardinale da Innocenzo XII/Pignatelli di Spinazzola nel 1700 e destinato – se non fosse morto prima, improvvisamente – all’arcivescovado di Burgos; ed ecco anche, nel XVIII secolo, il domenicano Agostino Pipia, seneghese di nascita – cui è intitolata una strada a Cagliari nel quartiere di Is Mirrionis – promosso da Benedetto XIII/Orsini nel 1724 (dopo che era stato a lungo superiore generale dell’ordine dei padri predicatori). Più precisamente, egli ebbe un doppio contemporaneo riconoscimento: portato all’episcopato come vescovo di Osimo e al cardinalato con il titolo di San Sisto, e successivamente con quello di Santa Maria sopra Minerva.

Fra Sette ed Ottocento si staglia la figura di Diego Gregorio Cadello, cagliaritano e, dal 1798 al 1807, arcivescovo della maggior diocesi isolana (dopo anche esser stato canonico di Villacidro, parrocchia destinata poi ad essere trasferita alla diocesi di Ales in permuta di Villamar). Egli fu fatto cardinale nel 1803 da Pio VII/Chiaramonti per premiarlo degli alti servizi resi alla Santa Sede nei complessi rapporti con i Savoia al tempo delle cattività napoleoniche (in specie quelle che coinvolsero il predecessore Pio VI e che si sovrapposero alla fuga dei regnanti da Torino a Cagliari). Per ragioni imprecisate non ricevette il cappello identificativo del rango cardinalizio, né il titolo.

Altra figura eminente di collegamento storico fra la Sardegna e la Sede Apostolica fu, per svariati decenni – gli stessi del conflitto fra lo stato pontificio e lo stato unitario (e liberale) italiano che puntava a Roma capitale –, Luigi Amat di San Filippo, sinnaese di nascita ed asceso all’episcopato appena trentenne: fu nunzio apostolico a Napoli e a Madrid, legato pontificio a Bologna (centrale di moti anticlericali, repressi duramente dal governo papale) e cento altre cose, sempre al vertice della curia romana: vice cancelliere di SRC, camerlengo, arciprete della basilica liberiana, prefetto della congregazione del Cerimoniale, presbitero di San Lorenzo in Damaso, vescovo di Palestrina, di Porto e Santa Rufina, di Ostia e Velletri, ecc. Ebbe la porpora da Gregorio XVI/Cappellari con il titolo di Santa Maria in Via, nel 1837 e la tenne per quarant’anni quasi, fino alla morte che lo raggiunse quand’era ormai il decano (di nome e di fatto) del Sacro Collegio.

Iglesiente e dunque sardo, ma soltanto di nascita, figlio di un nizzardo in servizio statale in Sardegna, fu Jacques Marie Dupont, fatto vescovo giovanissimo anch’egli e creato cardinale da Pio IX/Mastai Ferretti giusto all’inizio del proprio pontificato (quando volarono le illusioni di un papa liberale) nel 1847. Il suo titolo fu quello di Santa Maria del Popolo.

Dunque soltanto sei cardinali nell’arco di mille anni… e fa strano dire che un numero pressoché pari sia stato dato di registrare soltanto in un ventennio, nell’ultimo ventennio! Infatti, questo primo scorcio di Duemila ha visto (e vede) “affollarsi” la partecipazione sarda al collegio cardinalizio. Valga elencare i… sacri nomi: ecco Mario Francesco Pompedda, della diocesi di Ozieri, che a Roma – lui insigne giurista – fu a capo della Segnatura apostolica e venne fatto cardinale nel 2001 da Giovanni Paolo II. Ricevette allora dal papa la diaconia dell’Annunciazione della Beata Vergine Maria a Via Ardeatina. 

Un uomo di curia come lui, ma da anni ormai in quiescenza (e rientrato perciò nell’Isola), fu Luigi De Magistris di Castella – cagliaritanissimo – creato cardinale da papa Francesco nel 2015: si trattò di un doveroso riconoscimento per i mille servizi resi, lungo oltre mezzo secolo, a diverse congregazioni vaticane e tanto più alla Sacra Penitenzieria di cui era stato pro-prefetto. Il papa gli conferì la diaconia dei SS. Nomi di Gesù e Maria in via Lata.

Nel 2017 toccò a monsignor Giovanni Angelo Becciu, diocesano di Ozieri come Pompedda, cui fu assegnata, come già detto, la diaconia di San Lino. Egli era stato nunzio apostolico in Angola e chiamato poi all’ufficio di sostituto alla Segreteria di Stato del Vaticano e per più breve tempo, dal 2018, alla prefettura della Sacra Congregazione per i santi. ( È noto che oggi una amara vicenda giudiziaria sta focalizzando l’operato del dipartimento curiale che gli era stato affidato da Giovanni Paolo II).

Nel 2022 la chiamata riguardò l’arcivescovo emerito di Cagliari Arrigo Miglio, già vescovo di Iglesias (dal 1992) e poi di Ivrea – diocesi da cui proveniva in quanto alla formazione ed ai primi incarichi ecclesiali – e dal 2012, appunto, arcivescovo di Cagliari. Attualmente egli è, con la dignità cardinalizia e il titolo di San Clemente, amministratore apostolico di Iglesias (e cioè di quella Chiesa particolare che attende la conclusione dell’iter processuale di cui sopra per veder assegnato, nel quadro del riassetto delle giurisdizioni diocesane sarde, un suo ordinario).

Il nome di Miglio e la sua provenienza da Ivrea, suggeriscono, a questo punto, e prima di arrivare a don Angel Fernandez Artime, di citare un altro eporediese, chierico giunto al cardinalato dopo una lunga permanenza proprio in Sardegna: monsignor Giuseppe Fietta (1883-1960). Per ben diciassette anni egli fu nell’Isola primo collaboratore del vescovo/arcivescovo Ernesto Maria Piovella: dal 1907 al 1914 ad Alghero (era stato ordinato sacerdote da appena qualche mese quando raggiunse la città catalana), dal 1914 (ma con presenze anche precedenti) al 1920 ad Oristano – dove occupò anche uno stallo canonicale –, dal 1920 al 1924 a Cagliari. Gli giunse allora la chiamata alle missioni diplomatiche della Santa Sede e lasciò l’Isola, ma con la Sardegna mantenne sempre rapporti di cordialità coltivando, sia pure soltanto epistolarmente, antiche amicizie: nel 1926 venne promosso al titolo arcivescovile e fatto nunzio apostolico (cioè ambasciatore) nell’America Centrale. Dopo Haiti e la Repubblica Domenicana fu assegnato alla sede di Buenos Aires e, dal 1953, fu nunzio a Roma presso la Repubblica italiana (e curiosamente omologo di un sardo d’Oristano ambasciatore della Repubblica presso la Santa Sede: Francesco Giorgio Mameli). Papa Giovanni XXIII, nel suo primo concistoro (alla fine del 1958) lo compensò con la dignità cardinalizia: ebbe allora la diaconia di San Paolo alla Regola. Morì nel 1960.

Come detto, nel concistoro del 2023 papa Francesco concesse la porpora, fra gli altri, anche a don Ángel Fernández Artime, rettor maggiore salesiano e cittadino cagliaritano!


Il conferimento d’una bella cittadinanza onoraria

Il Consiglio Comunale di Cagliari, in una seduta straordinaria tenutasi il 24 settembre alle 18, deliberò all'unanimità il conferimento della cittadinanza onoraria a don Ángel Fernández Artime, Rettor Maggiore della Congregazione Salesiana e decimo successore di don Giovanni Bosco. Questa cerimonia si inseriva nel contesto delle celebrazioni per il centenario della presenza salesiana a Cagliari e ha rappresentato un tributo al significativo contributo dei Salesiani alla vita educativa, sociale e culturale della città capoluogo.

Mi pare utile ripassare, ancorché con la dovuta sintesi, lo svolgimento della eccezionale tornata consiliare di dieci anni fa – quella del 24 settembre e quell’altra dell’11 ottobre –, con il richiamo anche e soprattutto del “merito” storico che il Municipio riconobbe ai Salesiani nella pratica sociale ed educativa di un secolo intero… Aggiungo che, per la partecipazione personale avuta nell’evento di quell’autunno del 2014, ora in prima fila ora in ultima, mi è estremamente caro attivare questo… rewind insieme civile e sentimentale e presentarlo alla comunità di Giornalia testata on line che ho fondato ora è già più d’un lustro, e presentarlo al mondo salesiano, alla cittadinanza ed a quanti amano la storia locale “in divenire” (quella stessa di cui tutti siamo, consapevolmente o meno, cooperatori). Come in un diario…

La preparazione e l’organizzazione di questa felice “operazione” erano state curate con dedizione e competenza da diversi protagonisti. Come la buona consuetudine insegna, i primi ad essere citati e ringraziati, oggi, sono i rappresentanti istituzionali posto che il conferimento della cittadinanza onoraria è pur sempre un atto amministrativo, la cui prima (e allora informale) proposta – è giusto ricordarlo – era stata accolta con entusiasmo, sin dall’inizio, da gran parte degli attori politici che sedevano sugli scranni del Consiglio e della giunta comunale di allora.

Chi aveva fattivamente “orchestrato” tutta l’operazione, era stata l’ala giovanile dell’Unione exallievi di Cagliari, coadiuvata dall’amico Gianfranco Murtas, buon conoscitore di Cagliari e della sua storia in generale, e dal consigliere comunale e amico Guido Portoghese. Con grande sintonia, tutta la squadra lavorò in stretta collaborazione, e questa armonia giocò un ruolo fondamentale per la buona riuscita. Io, che all’epoca ricoprivo la carica presidente dell’ala giovanile degli ex allievi salesiani, posso testimoniare che quando c’è una visione comune e condivisa è più facile raggiungere qualsiasi obiettivo. L’attività di ricerca di documentazione portata avanti e di scrittura della mozione (presentata e poi approvata dal Consiglio), evidenziò l'impatto profondo e duraturo dei Salesiani sulla comunità cagliaritana.

I giovani exallievi dell’Unione, con passione e meticolosità, frugarono nelle carte dell'Opera Salesiana e del Municipio, riportando alla luce storie e aneddoti risalenti fino al 1834, quando cioè il diciannovenne Giovanni Bosco pensava di farsi francescano ed a Cagliari c’era qualcuno che già “pensava salesiano”, tanto da intitolare a San Francesco di Sales vescovo ginevrino un ospedaletto (quello dei cosiddetti incurabili) a Castello, di lato alla cattedrale! Questo impegno di ricerca fu cruciale per fornire una base storica solida alla proposta di cittadinanza onoraria, arricchendo la mozione presentata in Consiglio Comunale.

Il processo è stato sostenuto anche da don Sergio Nuccitelli, al tempo direttore dell'istituto di viale Fra Ignazio, che ufficializzò e motivò la richiesta della cittadinanza onoraria durante l’estate, dopo alcune brevi e informali interlocuzioni con il sindaco Massimo Zedda. La sua proposta venne accolta con entusiasmo, anche grazie alla modesta autonoma ma convergente iniziativa del sottoscritto e il più qualificato e istituzionale intervento di Guido Portoghese, che lavorò con impegno per assicurare che la delibera venisse sostenuta dal maggior numero di consiglieri possibile e approvata all'unanimità.

Un ringraziamento particolare va però al caro amico Gianfranco Murtas, storico e saggista (promotore di diverse sezioni documentarie – in capo alla biblioteca familiare di oltre 25mila libri – tra cui quella inerente la Chiesa cattolica e l’evangelismo in Sardegna) il quale ha coadiuvato tutti noi, con passione, generosità e competenza, nella stesura del testo che ha accompagnato la delibera, fornendo un prezioso contributo storico e narrativo che ha arricchito, poi, il dibattito in Consiglio. La sua competenza e conoscenza della storia di Cagliari hanno permesso di mettere in luce l'importanza del contributo dei Salesiani in città. Lo ringrazio anche per l’accurata cronaca prodotta sia nell’occasione della discussione e dell’approvazione della delibera per il conferimento della cittadinanza onoraria, che in quella dell’effettivo conferimento in presenza di don Artime: un articolo riportante l’intero e bellissimo discorso letto da Guido Portoghese.

La prima delle due cronache-riflessioni di Murtas è stata arricchita con un fantasioso gioco retorico, in cui lo storico e studioso passeggia e conversa con San Giovanni Bosco in una contemporaneità che si interseca e si allinea temporalmente con quella del santo dei giovani. Ecco il riferimento dei due ottimi articoli che potrete leggere qui ( https://www.fondazionesardinia.eu/ita/?p=9285 https://www.fondazionesardinia.eu/ita/?p=9339 ).

La cerimonia ufficiale, calendarizzata per sabato 11 ottobre 2014, è stata di grande impatto per tutta la famiglia salesiana cagliaritana, anche per via della effettiva presenza di don Ángel Fernández Artime, giunto in città – oltre che per ricevere la gradita onorificenza – per concludere l'anno celebrativo del centenario della presenza salesiana a Cagliari. A distanza ormai di quasi dieci anni posso testimoniare che si sia trattato di un momento di evidente significato simbolico, poiché attraverso il conferimento della cittadinanza onoraria a don Angel Fernández Artime, il capoluogo sardo – quasi portatore di una consapevolezza e di un sentimento regionali – ha riconosciuto il valore inestimabile dell'Opera “in azione”, non solo nel passato ma anche nel presente, auspicandone nuovi sviluppi nel futuro.

La cittadinanza onoraria è certamente un riconoscimento del merito civico e sociale dei Salesiani, il cui lavoro pedagogico, scolastico, oratoriale e sportivo ha toccato la vita di quattro generazioni di cagliaritani, adattandosi e rispondendo alle sfide sociali che la storia ha via via imposto. La presenza salesiana a Cagliari, inaugurata dal primo successore di don Bosco, il beato don Rua, nel 1902, ha contribuito a trasformare in positivo la città, offrendo opportunità educative e di crescita (nell’aula di lezione, in cappella ma anche e forse soprattutto nei campi sportivi) ai giovani e giovanissimi, specialmente a quelli più svantaggiati.

Il riconoscimento comunale – puro omaggio a una tradizione di dedizione e servizio di una Famiglia religiosa “tutta sociale” – è stato anche un invito a guardare al futuro e alle nuove responsabilità che incombono su tutti, sulla municipalità come in generale sulla cittadinanza e, in essa, sui soggetti organizzati, istituzionali siano essi di matrice religiosa o laica.


L’intervento del consigliere Guido Portoghese

Nel suo intervento durante la seduta straordinaria del Consiglio Comunale, l’ing. Portoghese ha dato minuzioso conto dell’impegno sviluppato dalla Commissione Affari Generali dello stesso Consiglio, da cui è derivata la delibera consiliare approvata all’unanimità il 24 settembre precedente. Egli ha voluto esprimere la sua gratitudine verso i giovani exallievi dell’Unione di Cagliari, il cui contributo anche di riflessione è rifluito nella sua relazione, definita come produzione collettiva di giovani e meno giovani tutti mossi da un medesimo intento civile e morale.

Interessante il parallelo storico tra l'epoca in cui Ottone Bacaredda era sindaco di Cagliari e i giorni attuali. Ricordando il periodo tra il 1898 e il 1913, il relatore ha evidenziato come l’impegno dei Salesiani abbia accompagnato e influenzato lo sviluppo della città. L’avvio dell'Opera a Cagliari risale al 1898, quando si compì la prima visita dei delegati della casa-madre. Allora l’Amministrazione Bacaredda si avviava a celebrare il suo primo decennio di governo cittadino e certamente ebbe da allora a fruttare una reciproca attenzione fra il Comune e questo soggetto nato religioso ma non chiuso in nessun recinto strettamente confessionale bensì aperto, per sua propria vocazione, al sociale. S’avviava allora una profonda interazione tra il percorso civico della città e quello religioso-sociale e impegnativamente scolastico dei Salesiani portatori del carisma di Don Bosco.

Questi ultimi, già presenti a Lanusei, desideravano diffondere i principi pedagogici di Don Bosco anche nel capoluogo della provincia. Grazie all’intervento dell'avvocato Antonio Giua, che aveva studiato a Torino con il Fondatore, i Salesiani ottennero il sostegno dell'arcivescovo Paolo Maria Serci Serra. Quest’ultimo incaricò l’allora giovanissimo don Mario Piu (futuro storico presidente della collegiata stampacina di Sant’Anna) di fungere da ponte tra l’Opera e il clero diocesano. Con l’aiuto della comunità locale, furono raccolti i fondi necessari per costruire il “quartiere salesiano” tra Palabanda e il viale dell'Annunziata.

Portoghese ha dipinto un quadro vivace della Cagliari d’inizio Novecento e delle sue dinamiche ricordando anche, per restare al campo religioso, come, proprio in quel 1898, Municipio e arcivescovo, incrociando le buone volontà, avessero trovato una sistemazione per le domenicane di clausura di Santa Caterina da Siena, quelle poche e poverissime vecchie che avrebbero lasciato spazio alla costruzione, sul bastioncino, delle nuove scuole elementari, prossimo polmone di sviluppo culturale di Castello e non solo di Castello. Questo processo di rinnovamento si inseriva in una città in piena trasformazione, con la costruzione di nuovi edifici e infrastrutture, e un’attenzione crescente alle problematiche sociali (si pensi al piano delle case popolari di Campo Carreras che prenderà avvio prima della grande guerra).

Nel secondo dopoguerra, particolarmente rilevante fu il contributo dell’Opera salesiana alla ricostruzione morale e sociale della città, offrendo assistenza e accoglienza (ma assistenza e accoglienza materiali essa offrì anche nei mesi terribili del conflitto e prima e dopo i tragici bombardamenti del 1943). Negli anni ‘50 e ‘60, con l’apertura della parrocchia di San Paolo, i Salesiani divennero un punto di riferimento per la comunità locale, e particolarmente per quella che aveva preso residenza in un’area di nuova edificazione, oltre il quartiere di San Benedetto e verso la futura Fonsarda e il futuro CEP. Il centro professionale salesiano, attivo per vent’anni, rappresentò un ulteriore capitolo di impegno e dedizione.

Volgendo alla sua conclusione, Portoghese ha insistito a sottolineare come il riconoscimento della cittadinanza onoraria a don Ángel Fernández Artime rappresentasse un omaggio alla continuità e al rilievo dell’impegno salesiano nella storia cittadina nel naturale innesto dell’oggi in un ieri onesto, generoso e sapiente, volto sempre e soprattutto a promuovere l’educazione dei minori e l’inclusione sociale. Da qui anche l’invito all’Opera a proporsi, in un tempo forse avaro di esempi, come modello solidaristico, ma in chiave di moderna promozione sociale, ad altri soggetti religiosi e laici che ben potrebbero attivare risorse e progetti per lo sviluppo comune.


Don Bosco passeggiando e chiacchierando con Gianfranco Murtas

Come ho già accennato precedentemente, Gianfranco, nella sua prima cronaca della seduta del Consiglio per il conferimento della cittadinanza onoraria a don Artime, utilizza un interessante e fantasioso artificio retorico: si ritrova in giro per le strade di Cagliari con il Santo dei giovani il quale, incuriosito, fa domande e osserva la contemporaneità dei luoghi e delle persone, e di come su di essa si siano adattate anche le sue iniziative, modellate ed edificate grazie ai suoi mai dimenticati insegnamenti e carisma, dentro cui sono cresciute generazioni di “bravi cristiani e onesti cittadini”.

Ecco di seguito un breve stralcio dall’articolo postato nel sito di Fondazione Sardinia il 1° ottobre 2014, dal titolo “La cittadinanza onoraria di Cagliari al rettor maggiore dei salesiani deliberata dal Consiglio comunale. Qualche opinione di don Bosco”.

«Mi sono immaginato don Giovanni Bosco in giro per Cagliari, un po’ in strada, un po’ nelle scuole e nei campi sportivi – là dove soprattutto sono i bambini ed i ragazzi –, e in ogni altro centro di aggregazione, nelle associazioni ma prima di tutto nelle famiglie, e anche nelle parrocchie, magari in qualche reparto d’ospedale, poi su, fra i maggiori, nelle facoltà dell’Università e, dato il bel tempo di questo passaggio stagionale, anche al Poetto. Di mattina anche in qualche negozio – vendevano tutti disoccupazione però ed erano vuoti di vita –, più tardi, di sera, anche in piazzetta Savoia e qua e là dove sono sorti, nei quartieri-città del tempo del Dittamondo, i pub all’aperto. Mezz’ora, alla Marina, al campetto ecumenico di Sant’Eulalia, per una raccolta rapida di notizie e anche suggestioni da don Cugusi e don Lai. Anche in qualcuna delle case definite “press’a poco” – un bel sinonimo – che la Caritas sta cercando di raddrizzare. Lui curioso di conoscere le nostre cose, le nostre novità, non qui per dettare regole omnibus e salvifiche, o per spiegare la teologia (“Altri tempi quelli degli scontri di dottrina, me ne son anche pentito, contro anche l’unità d’Italia”, mi ha detto in un soffio che era sofferenza visibile, ammettendo finalmente di aver sviluppato simpatia “per i protestanti e i liberali”). Semmai per vedere se i suoi indirizzi avessero trovato, e come, attuazione da noi, se i suoi preti e cooperatori e suore ecc. in un secolo e passa di presenza in città, nella città-regione, avessero onorato la maglia, o si fossero ridotti anch’essi al rango di impiegati del sacro, burocrati dei budget, e gli ex allievi saliti nella scala sociale si fossero abituati al mestiere di collezionisti di maxipensioni e prebende invece che a quello di investitori in socialità, pagandola di tasca la socialità e non chiedendo al Comune di mettere a disposizione le risorse, perché “poi si vedrà”.

«Un salto anche a San Paolo, un po’ bene e un po’ male, mi è sembrato di capire dalla mobilità del viso, degli occhi e delle labbra chiuse. È stato il momento in cui, a me repubblicano piuttosto rigorista, ha fatto una confidenza: la prima fino a quel momento. “Mai chiedere denaro alle casse pubbliche per fare. Fare senza chiedere nulla alle istituzioni, ma alla gente. Tutto quello che abbiamo fatto non è nostro, è della comunità, e neppure della comunità credente, della comunità civile piuttosto, che riunisce questi e quelli: da questue, quante questue anche a Cagliari! sono venuti l’oratorio e l’istituto di viale Fra Ignazio cento anni fa, e quella parrocchia, e quel centro, e quell’asilo… Interpretando il bisogno sociale. Le istituzioni si sono aggiunte, hanno fatto la loro parte, giustamente, non hanno però sostituito la gente, ci hanno dato una mano in più, ma avremmo fatto comunque. Noi non siamo padroni di nulla. Tutto noi amministriamo – e credo non l’abbiamo fatto sempre al meglio, al centro del centro poi è un pasticcio colossale – per un utile sociale, non siamo padroni di nulla e non chiederemo un euro al sindaco né al presidente della Regione per quanto possa necessitare alla nostra Opera, se non quanto serve per il più che supera il tetto del nostro lavoro. Non siamo salesiani per nulla, mica siamo appaltatori di un servizio comunale. L’Opera si realizza con la nostra fatica e l’aiuto popolare sempre e comunque, per la missione che ci siamo dati e che sarà riconosciuta e premiata dalla gente. La Provvidenza non è un salvadanaio pubblico, è il cuore della gente”. (Gli dico allora che in Sardegna c’è, a fare il salesiano così, un francescano, padre Morittu, che ha rinunciato alle rette pubbliche pur di gestire con criterio libero, ma pur sempre responsabile oltreché competente, le sue comunità. «Se si vuole, si può, sempre», commenta don Bosco).

«Simpatico don Bosco, non lo conoscevo bene. L’ho accompagnato, pedibus calcantibus, qua e là. Voleva un laico cristiano che chiamano massone – perché una casacca bisogna pur mettergliela, e quella massonica in verità è anche di prestigio – al suo fianco, ricordando incomprensioni antiche e reciproche. Un laico per quel grammo in più che gli apparenti avversari (e sono invece leali compagni di tragitto) hanno di libertà espositiva e anche dubitativa. Domande, domande, voleva conoscere: mai visto un leader religioso come lui venuto qui da noi soltanto a fare domande, anche sui minori non accompagnati, se e quanti, e in quali condizioni, qui da noi… E ieri mercoledì 24 settembre [11 ottobre] me lo sono io accompagnato, a mezzo pomeriggio, nell’aula grande di palazzo Bacaredda in muto ascolto della discussione consiliare per il conferimento della cittadinanza onoraria al suo decimo successore, don Artime spagnolo delle Asturie. Nei banchi a lato, lui con i sindaci della catena storica, da Bacaredda e Picinelli a Marcello e Nobilioni e Dessì Deliperi, a Tredici ed Endrich e Cao e Prunas pure – bravi cattolici concordatari che s’infischiavano però della democrazia in catene e della tubercolosi imposta nelle celle agli oppositori politici –, e a Cesarino Pintus lui tubercolotico invece, a Crespellani, a Leo e Palomba, a Peretti e Brotzu e Paolo De Magistris, ai successivi Lai, Fanti e Murtas, Ferrara, De Sotgiu e Di Martino, Dal Cortivo e Giua, ed ai recenti Delogu e Floris, e anche a quelli di un minuto soltanto come Follese e Michele Columbu, e ai molti, forse troppi commissari prefettizi che pure hanno cercato di lavorare, chissà se riuscendovi, per il bene di tutti».


Fonte: Andrea G. Pirastu
RIPRODUZIONE RISERVATA ©

letto 427 volte • piace a 0 persone0 commenti

Devi accedere per poter commentare.

Scrivi anche tu un articolo!

advertising
advertising
advertising