Un pellegrinaggio solidale in Terrasanta
Dal 26 dicembre 2022 al 2 gennaio 2023 la Caritas di Cagliari in collaborazione con la Caritas di Gerusalemme ha organizzato un pellegrinaggio solidale in Terrasanta.
di Franco Meloni
Lunedì 2 gennaio è giunto al termine il Pellegrinaggio solidale in Terra Santa della Caritas di Cagliari cominciato il 26 dicembre dello scorso anno. Otto giorni intensi sulle orme di Gesù nei diversi luoghi della Palestina in cui il nacque, visse, mori, risuscitò. Come abbiamo appreso negli incontri di presentazione, le motivazioni di questa attività erano in certa parte peculiari per ciascun partecipante, e non stiamo qui ad elencarle, piuttosto abbiamo cercato quanto più ci accumunava in profondità: una esigenza di trovare e ritrovare senso alla vita di ciascuno di noi, nella propria intimità e nel rapporto con gli altri. In sostanza una ricerca di conversione, avendo come stella polare il Vangelo. Anche per scoprire quanto il messaggio di Gesù Cristo può ancora parlare a noi e al nostro prossimo nella contemporaneità. Ecco perché ogni tappa del nostro pellegrinaggio è consistita nell’immergerci fisicamente nel luogo storico dei diversi eventi, resi attuali in quanto vivificati dalla lettura dei brani evangelici di riferimento, fuori e dentro la celebrazione della Santa messa e nel ripercorrere la “via dolorosa” di una partecipata “via crucis” del nostro gruppo, nel mezzo del tumultuoso svolgersi della vita della città con persone incuriosite, ma in gran parte estranee all’evento religioso. Anche questo motivo di riflessione per la nostra ricerca di attualizzazione del messaggio evangelico.
Ripercorriamo per estrema sintesi l’itinerario che su impulso di don Marco Lai, con la collaborazione di don Costantino e del diacono Luigi e, in modo particolare, della Caritas di Gerusalemme, abbiamo insieme condiviso: Betlemme, luoghi della Natività; Gerusalemme, luoghi della passione, della morte e resurrezione e ascensione al cielo di Gesù; Nazareth, luoghi di Maria, di Giuseppe e di quanti accompagnarono i primi anni della vita di Gesù. Abbiamo visto, toccato, riflettuto, pensato, parlato, cantato… Il pellegrinaggio è stato poi un “evento solidale” in quanto occasione per capire la situazione economico-sociale-politica della Palestina in quanto tale e nel suo difficile, drammatico rapporto con lo Stato di Israele. Lo abbiamo fatto visitando i rifugiati del centro Aida di Betlemme (vedi appendice 1), incontrando il patriarca latino di Gerusalemme mons. Pierbattista Pizzaballa (vedi appendice 2), nonché con le nostre passeggiate nelle strade e tra la gente delle città visitate. Abbiamo ovviamente preso maggiore consapevolezza della situazione, non suscettibile a breve di alcun miglioramento, anzi. Il che ci porta a riflettere sui nuovi e gravosi impegni che dovranno vedere protagonista la nostra Caritas.
Non diamo conto delle nostre ulteriori incursioni nei luoghi dell’ebraismo e dell’Islam (muro del pianto, spianata delle moschee). Tutto molto interessante.
Tutto documentato nei reportage abbondantemente presenti nei social e nelle chat dei “Pellegrini in Terra Santa”.
Arrivederci a prossimi pellegrinaggi, non solo in Terra Santa.
E soprattutto siamo impegnati a mettere l’esperienza fatta a frutto nella nostra terra.
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Seguono i nomi dei partecipanti al Pellegrinaggio.
Don Marco Lai, don Costantino Tamiozzo, Franco Meloni, Lina Ibba, Amalia Trudu, Giuseppina Meloni, Aldo Aveni Cirino, Francesca Desogus, Cinzia Mullano, Carlo Puddu, Anna Luisa Locci, Maurizio Contu, Elena Pettinau, Marco Col, Luigia Lobina, Delio Medda, Luigi Puddu, Rita Farci, Maria Cristiana Cardia, Sergio Cassanello, Emma Crabu, Maurina Sias, Angela Congera, Amelia Zedda, Tito Aresu, Sergio Zuddas, Angela Rosa Pais, Sandro Catta, Nicola Usai, Matteo Putzu, Alessandro Seruis, Andrea Marcello, Giovanni Battista Secci, Marcella Corda, Cecilia Milone, Giancarlo Morgante, Maria Rosa Scalas, Claudio Caboni, Paola Mura, Margherita Casciu, Ilaria Inguaggiato, Stefania Russo, Nunzia Pica.
Appendice
(1) Martedì 27 dicembre, a sera, la visita al campo profughi Aida di Betlemme, sulla strada per Gerusalemme, circondato dall’orribile muro di cui abbiamo parlato, ha concluso la giornata. Un incontro approfondito con il giovane referente del Lajee Center, che gestisce l’attività culturale del campo, dal quale è emersa una drammatica situazione di disagio per le popolazioni che abitano lo stesso campo, che non sembra allo stato avere prospettive di miglioramento, anzi.
Una breve storia del campo.
Quello dell’Aida è uno dei 58 campi profughi per palestinesi distribuiti tra Libano, Giordania, Siria e Territori palestinesi. Ha oltre 5500 residenti registrati, in costante aumento. Due importanti colonie israeliane – Har Homa e Gilo, illegali in termini di diritto internazionale – esercitano al di là del muro, una presenza minacciosa, un vero affronto ai diritti (negati) dei rifugiati. È stato fondato nel 1950, dopo che più di 500 case in 35 villaggi diversi nell’area che va da Gerusalemme ad Hebron sono state distrutte e i terreni consegnati agli israeliani. L’agenzia delle Nazioni Unite Unrwa ha affittato delle terre vuote da adibire a campi profughi, tra cui quella del campo Aida, all’inizio con poco più di 1000 residenti che vivevano in tende durante i primi anni della fondazione del campo. Più tardi, furono costruite le prime case in cemento, quando ormai si era capito che non si sarebbe trattato di una soluzione temporanea, fino a 7 persone venivano ospitate in stanze di 3mx3, e molti di loro cominciarono a distruggere le stanze (…) Da allora le condizioni sono sempre peggiorate: la popolazione è aumentata e con la costruzione del muro, gli spazi si sono ridotti. L’acqua spesso manca, anche per un paio di settimane di fila e la fornitura di energia elettrica non è costante. Dalla Seconda Intifada sono inoltre aumentati gli scontri con le forze di sicurezza israeliane all’interno del campo, che tengono sotto stretto controllo. Le giovani generazioni ovviamente crescono “con un risentimento e voglia di vendetta nei confronti degli israeliani”. Le scuole all’interno del campo consentono l’istruzione dei giovani fino ai 15 anni, dopo chi può e vuole continua fuori. I bambini dell’Aida frequentano due scuole Unrwa, una all’interno del campo, l’altra al di fuori, e un piccolo asilo pubblico nei pressi dei Lajee Center. L’insieme delle scuole serve un totale di circa 1.600 alunni.
Sono queste solo alcune informazioni tra le molte riportate nel corso dell’incontro, che gli attivisti del Centro Lajee hanno anche fissato in alcune pubblicazioni a disposizione dei visitatori. È seguita una visita del campo.
Che fare? Resistere, ovviamente, nella speranza che gli accordi internazionali modifichino la situazione. Ma al riguardo alle viste nulla di nuovo. Non resta che sostenere quanto di buono già si fa a favore della popolazione dei profughi, specie delle categorie più fragili (giovani, anziani, malati) come fanno diverse organizzazioni umanitarie internazionali, tra le quali la Caritas. In tale direzione va anche l’impegno della Caritas di Cagliari. Vedremo praticamente quanto si deciderà e si potrà realisticamente fare all’insegna della solidarietà.
(2) Incontro con il patriarca latino Pierbattista Pizzaballa.
La Diocesi del Patriarcato latino di Gerusalemme comprende quattro stati tra essi molto diversi, sotto molteplici aspetti (popolazione, numerosità confessionale, cultura): Palestina, Israele, Giordania, Cipro. In cima alle preoccupazioni sta la Palestina e i palestinesi, di cui si è parlato nell’incontro con il patriarca mons. Pierbattista Pizzaballa. Con pacatezza e in estrema sintesi il prelato ha detto cose terribili sulla situazione politica dei territori, che riecheggiano i contenuti della sua omelia della Messa di Natale nella Basilica della Natività di Betlemme.
Purtroppo non ci sono alle viste prospettive di miglioramento. Le grandi potenze mondiali hanno altre priorità e si limitano alle misure che salvaguardano innanzitutto i propri interessi.
Preoccupante una ripresa di movimenti integralisti religiosi, con crescente consenso anche elettorale, anche utilizzano il nome di Dio per giustificare guerre e conflitti spesso in alternativa ai processi negoziali.
Al riguardo, ovviamente, importanti e apprezzabili le iniziative di Papa Francesco (come la dichiarazione di Abu Dhabi del 4 febbraio 2019), che comunque al di là del rilievo mediatico non coinvolgono in modo significativo le popolazioni.
Tuttavia non si può cedere alla disperazione. La Chiesa cattolica è impegnata come sempre
nell’evangelizzazione, nella ricerca della Pace e della fratellanza universale, e, insieme con le altre Chiese e organizzazioni umanitarie religiose e laiche , nell’aiuto ai più deboli, sviluppando soprattutto interventi nei settori della scuola, della formazione, della sanità.
La Caritas di Gerusalemme è uno strumento fondamentale per questi interventi. Non si può pertanto che gioire della visita della Caritas diocesana di Cagliari in Terra Santa, una promettente iniziativa ricca di solide prospettive (no a fuochi di paglia), che s’inserisce nella tradizione di solidarietà che le nostre Caritas manifestano nei confronti delle popolazioni dell’area del Mediterraneo, con peculiare attenzione ai temi della giustizia, pace e riconciliazione.
Il superamento dell’emergenza sanitaria consente già la ripresa delle collaborazioni e dei pellegrinaggi che uniscono la ricerca di spiritualità ai benefici economici per le popolazioni. E anche questo è ovviamente un segnale confortante.
L’incontro con mons. Pizzaballa si è concluso con una preghiera comunitaria e con la sua benedizione.
26 Mar 2023
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