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Gianfranco Murtas

Villacidro e Villathyrda, il canto recitato di Efisio Cadoni il poeta e cento altre cose del paese d’ombre

di Gianfranco Murtas

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La mia vita l'azzardo tenne in scacco

tra un rovescio di carte e di passioni,

nell'altalena delle devozioni

e dell'errar di peccator bislacco,

ahimè lasso! premuto sotto il tacco

e la punta delle buone intenzioni;

libero servo son senza padroni,

pòvero con ricchezza dentro al sacco

di braci nella cenere, carboni

accesi: le parole, il sentimento,

i colori, le forme di un bivacco

che balùgina vivo ora, ora spento.

Capelli grigio-bruni, occhi verdoni ed i baffi

di neve e di tabacco.

Somiglio a Buffalmacco.

Amo la penna e lo scalpello, invento

ciò che non ho, desidero il talento.

Era Villa-citra, le carte e i sentimenti

«Madre e padre di donne e uomini operosi, di cultura e di scienza, d’arte e di sport, di fede e di spettacolo», questa è la genitorialità di Villacidro. Villacidro per il mondo. Signori, ecco Villacidro per il mondo. Per darne prova, cento ne ha chiamati dentro il primo cerchio, Efisio Cadoni. Se avesse raddoppiato il numero non avrebbe abbassato la qualità media rivelata dalla buona vita e dalla fatica oblativa di ciascuno. E mille – quanti se ne contano nelle pagine da 205 a 219 – ne ha chiamati, come Garibaldi a Quarto, ad offrire, da dentro e da fuori, testimonianza aperta e convinta alla causa che ha fatto propria, mossa dall’energia venutagli già da chissà quante generazioni, un po’ come le case di Ruinalta in perenne riciclo di pietre. «Madre e padre» l’ha chiamata l’assessore Giovanni Spano questa identità cidrese che scorgi nella modestia e nell’affabilità dei figli, «mistero» l’ha definita Angelo Pittau, indovinandola e forse senza accorgersi però che così ne ha sovrapposto le coordinate tutte sarde a quelle tutte universali e le universali a quelle isolane. Giusto secondo l’intuizione di Giuseppe Dessì – evocativa delle matrici appunto di Ruinalta e insieme delle astrazioni di Leibniz – e come il nostro Efisio Cadoni – l’eclettico per antonomasia di questo ancora presentissimo Novecento campidanese, poeta e pittore-scultore, anima inquieta che parla e scrive e dipinge e scalpella, disciplinato e irriverente, col fuoco – l’ha vestita di nomi antichi e nomi nuovi: Villacidro, da questa parte, ma anche dall’altra, Villathyrda, Villacidro in dialogo territoriale con il Leni, come spiega l’autore in una dottissima riflessione che è storica, filosofica e anche filologica (cf. pp. 22-29, almeno 29! Al mio amico professor Giuseppe Marras sia data voce in campo, non per approvare o censurare, ma per arricchire di suo tanta gustosa e simpatica ricchezza di Efisio!). Villacidro rappresentata, tessuta e raccontata da chi non c’è più e Villacidro sentita e vissuta (per essere trasmessa) da chi ne porta oggi gli onori e anche tutti i pesi.




Ha pubblicato, Cadoni – ultimo, anzi penultimo, anzi terzultimo della schiatta leggendaria di Norbio che tanto posto ha avuto anche in Paese d’ombre oltreché nella storia ufficiale –, un libro solido solidissimo di più di duecento pagine fitte fitte, nella collana dei Quaderni del Pavone-ODA, per i tipi della Grafica del Parteolla, in questi ultimi mesi: un libro che porta proprio questo titolo – Villacidro, da questa parte, ma anche dall’altra, Villathyrda – che fa pensare. Che fa pensare, dico, prima ancora di aprirlo e scorrerlo come per misurare la pista e poi indugiare con la lettura, stazione dopo stazione, fra i luoghi – boschi e monumenti, case e chiese, piazze e cimitero, montegranatico e lavatoio – ed i protagonisti della scena, nella sequenza dei tempi della rappresentazione, per svolgere e ricapitolare, andare e tornare. Sì, proprio così, come un gioco che dà ottimismo, anche se qualche pagina rabbuia l’umore, il sentimento, non essendosi ancora placato il dolore di una perdita troppo recente, l’affanno per una sconfitta. Ritorni tu con il tuo vissuto e la tua visione del mondo a dialogare con Antioco Loru e il collega professor Todde, ad interrogare Antioco Angelo Vacca e Luigi Lombardini, Giuseppe Pittau e Giovannino Pinna. Ritorni a cercare uno scambio con Giuseppe Fulgheri e Dino Marchionni oppure con monsignor Pilo e i due Cadoni antiqui – quello contemporaneo di Robespierre e quell’altro, l’internazionalista massone, teorico anticipatore del “diritto umanitario” –, e con lo sfortunato e geniale Bernardu de Linas oltreché con Dessì naturalmente, e Manno e Spano, ed anche con Ignazio Cogotti avvocato-poeta o poeta-avvocato e sindaco in quel tempo che era tutto di passaggi troppo spesso acri e spigolosi fra le amministrazioni, fra gli Anni, i Piga, i Pinna e i Sanneris… in ordine alfabetico e tutti proprietari onorati. Ognuno ha da dire, da dirti, e certamente da ascoltare, se ti sai relazionare con lui… A proposito: poche donne, soltanto Carmen Melis!

Nella lista anche il canonico e canonista Narciso Floris – in attività al tempo della Rivoluzione e di Napoleone vincitore e perdente – che collezionò titoli di nobiltà ecclesiastica ed insegnò molto, parente d’ufficio del cardinale Diego Cadello (ultimo canonico di Santa Barbara) e giudice delle appellazioni nell’archidiocesi di Cagliari – e il giurista-economista Giovanni Porcu Giua, collega di Cadoni jr. nella loggia Vittoria dileggiata dai goccius famosi, Emanuele Piga giudice (ma solo di nomina) della Consulta al suo esordio nel 1955 e Raffaele Pischedda, il botanico e naturalista, benemerito della montagna di Villacidro non meno che delle colline cagliaritane, Albino Mostallino – generoso commissario nell’emergenza civica postbellica e Erminio Costa, il neurobiologo e farmacologo fattosi americano e globalista senza smettere d’essere cidrese.

Altri ancora? Franco Piga, ministro e grand commis d’etat, e Vincenzo Bajeli incisore novecentesco di tanta rinomanza sul continente ed all’estero, ottimamente biografato anche da Salvatore Erbì nel suo monumentale Sciapotei. Dizionario Enciclopedico Villacidrese. E con Piga e Bajeli anche Mario Anni, il podestà e barista, e anche fotografo e saponaio, gelataio e mobilie, oste e calzolaio, soprattutto e sempre pittore nato disegnatore meccanico e progettista d’armi, il pittore scoperto con vanto da Efisio Cadoni e scomparso giusto da mezzo secolo, purtroppo dimenticato. Ed ancora Efisio Pisano, lo scultore oltreché di cento pietre (e legni) in dispersione fra Ozieri e Dorgali, Nuoro e Gadoni… e Villacidro, pure della “statua del donatore”, in paese, ed altresì, scultore della parola, Ignazio Lecca premiatissimo scrittore di indovinate coordinate, scomparso giusto dieci anni fa così come Pisano. (E a proposito ancora di Pisano, collega di vocazione se non di tecnica del nostro Lee Masters, di Lauso de Linas insomma, si legga di quest’ultimo la pagina 52 di altissima scrittura, titolo “Sa domu ’e travallu o de su majori”).




Un libro ma non di carta

Ha pubblicato un’altra volta ancora, Efisio Cadoni – sarà forse la quarantesima, o la cinquantesima soltanto a scorrere le brossure (tenendo fuori dal conto i duemila o tremila interventi occasionali apparsi sulla stampa lungo quasi sessant’anni!) – per assolvere, appunto un’altra volta ancora, la sua missione di apostolo singolare e irripetibile: «Efisio è intrigante e ci intriga parlando o, esattamente, concretamente scrivendo di Villacidro. Parlando del nome ci parla dei luoghi, luoghi che parlano. Sono diversi, sono altri luoghi della Sardegna, del Continente, del mondo. Come diverse sono le persone, le famiglie, la comunità paesana, diverso è il modo del credere, della religione». La certificazione è firmata da Angelo Pittau, competente per chiamata dello Spirito e per mestiere provato.

Se chiudi gli occhi un attimo soltanto e ti trasporti nel tempo che verrà fra un secolo o due o tre, puoi immaginare che i ragazzi delle nuove leve nati nelle permanenze edilizie di Sant’Antonio o di Seddanus, potranno fare a meno, per comprendere chi essi siano, di saltare la storia e le storie fissate nei documenti di carta, e trasmigrati magari nelle digitalizzazioni, da parte di Efisio Cadoni il poeta, figlio e padre delle pietre scalpellate a Norbio? Né, invero, soltanto di Efisio, ché la generazione di Efisio è quella stessa di almeno altri dieci, direi venti e trenta che si sono abilitati a proiettare nel futuro la loro testimonianza, la testimonianza del loro tempo, del nostro tempo. Non li cito perché involontariamente ne salterei qualcuno, e mi parrebbe un’ingiustizia. Qualcuno lo abbiamo ancora con noi, molti purtroppo li abbiamo perduti, anche di recente, ed è una ferita che ancora sanguina, in me certamente. E chi non è entrato nel primo cerchio delle riflessioni biografiche di Efisio – ne ho accennato sopra – avrebbe meritato di entrarvi non meno di quelli che invece sono stati compresi. Il che, sia ben chiaro, non è una riserva che avanzo al lavoro di Lauso, al contrario! Perché è come sottolineare che i vuoti, perfino clamorosi, egli li ha voluti, ce li ha imposti perché fossimo noi ad integrare i suoi risultati.

«A Villacidro tutto è mistero: le notti sono mistero, le ombre, le acque, i monti, i boschi, le rocce, mistero è la storia di ogni famiglia, di ogni persona in un amalgama, che è pure mistero», come ha certificato Angelo Pittau. Che ha autorità ad esprimersi così, perché è poeta egli stesso, e i poeti posseggono strumenti di lettura dell’ “oltre” – dell’oltre il visibile o il tattile – che a noi, uguali ma rovesciati, forse sfugge.

Occorre intendersi: molti ci si sono provati, e han fatto bene, a raccontare i mondi di Villacidro, quelli sociali e quelli ambientali – pensa a d’Annunzio stesso –, a popolarizzare le sue pagine storiche e quelle dell’economia reale ed anche di quella potenziale (poi frustrata dai rovesci e dagli abbandoni sconcertanti), a bearsi nelle rassegne evocatrici dei talenti naturali ed educati dei suoi, nell’arte e nella religione, nella letteratura e nella scienza… Particolarmente gustose, mi permetto di aggiungere, le elencazioni dei vescovi di governo villacidrese, dopo il passaggio alla diocesi di Ales e dei parroci e viceparroci, in aggiornamento della lista approntata nel Liber chronicus della chiesa-madre dall’indimenticato pacelliano (e pre e post) monsignor Giuseppe Diana: così per Santa Barbara come (dal 1955: perché non dal 1947?) per Sant’Antonio da Padova e (dal 1974) per la Beata Vergine del Rosario.

I nomi dei preti, tanto più quelli con cura d’anime, rimandano a stagioni di vita sociale nelle cui complessità chi ama cercare costanti e novità di trasformazione sa frugare e scoprire l’inimmaginabile e raggiungere, per via diversa da quella dei poeti, l’ “oltre”.

Ci sono questi settanta e più presbiteri – anziani di comunità – a rispondere all’appello di un Lauso discreto e rispettoso osservatore, ci sono anche quegli altri trenta (in parte provenienti dall’esperienza parrocchiale, in parte specialisti della biblioteca e dell’aula di lezione) classificabili nei ruoli docenti ora del seminario vescovile ora dell’istituto di scienze religiose. Se ne potrebbe dire, di queste vocazioni meticciate e di queste altre invece (minoritarie) di esclusivo rigore formativo od accademico…

Diversi di questi preti sono nel cuore di Efisio Cadoni che infatti li richiama, uno per uno, ringraziandoli per la collaborazione… da intendersi – la collaborazione – non soltanto per la necessaria completezza della lista: «Essi con le loro rinunce, la loro sacra missione, il loro “sacrificio”, hanno avviato spiritualmente e moralmente i bambini e i ragazzi alla vita quotidiana, per formare i giovani, gli adulti e accompagnare cristianamente tutti nel loro percorso, ciascuno nel proprio limite temporale, attraverso le funzioni religiose, i riti, le preghiere, le letture, le omelie, i sacramenti. Han dato in tal modo il giusto rilievo ai concetti dell’amore per il prossimo e dell’amore di Dio, di quello che una volta era detto “affettivo” e relativo al quotidiano, l’amore fra noi, rivolto a noi poveri uomini e donne, popolo del mondo, e di quell’amore detto “effettivo” che eternamente ci lega a Dio nella nostra libera scelta, senza contraddizione, commisurata alla nostra fede e alla nostra umiltà».

Gli autori delle pagine di studio e rivelazione dei mondi di Villacidro, Cadoni-Lauso li ha come convocati a portare il loro contributo citandone le opere, le edizioni, i tempi. Ce n’è per l’antico, magari per il Sei-Settecento – partendo dalle note del luterano pastore e cappellano Joseph Fuos – per arrivare al primo Novecento con Emilio Lussu e a dopo con Angelo Mundula. “Villacidro vista da fuori: Villathyrda (ma anche da dentro)” è il titolo del capitolo antologico. Sono sessanta e più pagine proposte come un’ideale agorà in cui confluiscono il Valery e il Lovisato, l’Aleo e il Wagner… e quanti moderni studiosi che ci sono cari e anche amici, da Casula a Del Piano, da Clark a Sabattini, da Raimondo Turtas a Luciano Marrocu, ai miei perfetti Gianpiero Carta e Andrea Piga e Manuela Garau… Appunto non tutti sono entrati e non lo potevano per economia di spazio, ma pur sono presenti a Cadoni-compilatore, muovendo nientemeno che dall’Angius, dal Bottiglioni, da Francesco Alziator… ad arrivare ai presenti e presentissimi Salvatore Erbì e Martino Contu, Angela Maria Fadda e Marco Sardu, Salvatore Curridori e Gian Paolo Marcialis, Andrea Giulio Pirastu Cabriolu e ad altri ancora e ancora… come Marcello Palmas, che ha fatto cose assolutamente egregie meritevoli di ripresa.




Notizie importanti ci hanno donato, nel cuore di questo Villacidro, da questa parte, ma anche dall’altra, Villathyrda, Cinzia Pittau e Mariella Bolacchi, l’una dicendoci di sagre e feste religiose così come dell’abito tradizionale, l’altra delle virtù culinarie locali. Volute suggestioni vengono dalle immagini a corredo dell’opera: quelle panoramiche e della pineta, quelle appunto del costume femminile e del “cibarium” del popolo su civraxiu… Introducono alle postfazioni del (già) sindaco Marta Cabriolu e dell’assessore Spano alcune cartine della Sardegna risalenti al 1589 ed al 1620, al 1657 ed al 1730 e 1776… in cui s’affaccia, in un punto confuso, Parte d’Ispi.

Lauso ha completato la sua parte e attende che noi facciamo la nostra con i conferimenti al condiviso patrimonio sociale e morale che si chiama Villacidro, o si chiama come vuoi se vuoi celebrare sempre e ancora Giuseppe Dessì: Ruinalta, Ordena, Olaspri, Cuadu, San Silvano, Pontario… Per intanto, comunque, ci congediamo con il sentimento, negli occhi l’immagine della “fontana della vita” nelle prossimità della parrocchia della Madonna del Rosario: com’era questa grande opera dello scultore e poeta, coscienza critica e preziosa della comunità, com’era questa grande opera «oggi distrutta da bestiali criminali, vili paesani, ignoranti talebani, nella piazza morta». Da una parte lo spirito costruttore, dall’altra quello demolitore. Forse sempre è stato così, ma il primo ha vinto sempre alla distanza, non arrendendosi mai.


Fonte: Gianfranco Murtas
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