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Gianfranco Murtas

A palazzo Sanjust Bovio trasformato in un generale complice di Pinochet. Mentre Sassari cento anni fa contribuiva al suo monumento tranese

di Gianfranco Murtas

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La prepotenza, anzi la protervia che sempre s’accoppia alla miseria della mente e al silenzio del cuore, ha messo radici a palazzo Sanjust e chi dovrebbe strappare la malapianta vi si reca tutti i giorni, obnubilato dal suo nulla, a innaffiarla, a regalarle sempre nuovo futuro. La cosa desta certamente dolore in uno come me che per quasi cinquant’anni ha studiato ogni giorno il guelfismo cagliaritano nelle sue motivazioni ed espressioni (a partire dalle stagioni Marongiu Nurra e Balma), lasciandone abbondanti tracce in decine di articoli e conferenze, in libri e capitoli di miscellanee; e che per quasi altrettanti anni ha penetrato teoriche e strutture del latomismo cittadino, anche qui consegnandone segno materiale in venti o venticinque libri richiesti e donati al Grande Oriente d’Italia ora sono pochi mesi ed in 107 (lunghi e documentati) articoli reperibili nelle collezioni della stampa scritta e nell’web.

Ma se desta dolore in uno come me, che di entrambi – del guelfismo e dell’opposto latomismo laicista – ha trovato, per sorpresa (o gusto beffardo) della storia e naturalmente nella successione dei tempi, il comune teatro nella grande casa cagliaritana di piazza Indipendenza –, la cosa costituisce un autentico tradimento, un coltello nella schiena della città che insieme accoglie, in questo complicato 2020, gli eredi dei due grandi filoni partecipativi, amanti e gli uni e gli altri del decoro, della buona educazione, della misura. Dico in primo luogo degli eredi del moderatismo clericale identificatosi per mezzo secolo – giusto dai tempi della breccia di Porta Pia – nell’avvocato e conte palatino Enrico Sanjust di Teulada, gentiluomo ascetico eppur partecipe, lui carismatico capo dell’associazionismo papalino e leader del foro sardo, consigliere comunale per ripetute elezioni, delle vicende anche amministrative della sua e nostra città – la città di Bacaredda. E dico poi degli eredi dello spirito bruniano ed arqueriano che pur hanno marcato incisivamente tanta parte delle nostre vicende civiche nel passaggio di secolo e fino all’alt imposto dalla dittatura: eredi, i nostri, degli Artieri attivi e protagonisti nel municipio, nelle professioni, nell’accademia, nelle forze armate, nella burocrazia, nel giornalismo, nella politica, nella chiesa perfino della nostra Cagliari allora ancora rinchiusa, o quasi, nei quattro quartieri cantati da Fazio degli Uberti seicento anni prima. 

Gli uni e gli altri, quelli che ancora sentono vibrare dentro di sé il fascino delle idealità, non importa se civiche o religiose, non possono che fare fronte comune oggi contro le volgarità degli sciagurati che non conoscono decoro e misura eppure sono – sarebbero – gratificati di ruoli di direzione da un irriconoscibile Grande Oriente d’Italia, dalla Famiglia massonica che fu di Ernesto Nathan, di Guido Laj cagliaritano, di Armando Corona. Offeso Vincenzo Racugno che quel palazzo donò alla Fratellanza cagliaritana nel 1988 e che sempre me lo propose, come altre volte ho scritto, nella maggiore accezione di “dono alla città”, intendendo egli la corporazione massonica come spazio dialogico, di apertura culturale e di discussione, di accoglienza nella sua biblioteca soprattutto di giovani agli studi.

Davvero quale abissale differenza fra le stature di ieri e quelle di oggi! Quando qualcuno s’avventurerà ad elencare i nomi dei gran maestri nella sequenza storica, saltando soltanto Di Bernardo, o i grandi oratori includendo Bovio e quelli di dopo, anche di oggi! con quanti singulti… ed anche i presidenti di circoscrizione regionale. Mi onoro di aver frequentato ed essere stato amico e discepolo di uomini come Vincenzo Delitala, Beppe Loi Puddu, Luciano Rodriguez, Mario Giglio così generoso, lui in particolare, con il mio Archivio storico generale della Massoneria sarda… Il Collegio regionale – luogo di coordinamento dei Venerabili delle logge sarde, datosi autonomia nel 1967 gemmando dall’area Lazio/Abruzzo – doveva poter funzionare anche come stanza di compensazione fra le esperienze prodotte nei territori più vari dell’Isola nostra che è “quasi un continente”. Ma quel che è valso trenta e quarant’anni fa, oggi nell’ebrezza delle autoreferenzialità o nella suggestione imbrogliona di un potere che non vale nulla, pare perduto. Perduta la chiave pedagogica che è un fondamentale della Libera Muratoria («scavare prigioni al vizio»), tutto o quasi si è perso: ho ricordato in articoli recenti gli ammonimenti del gran maestro Corona, che singolarmente si raccordavano con il magistero di Giovanni Bovio: chi deve andare via, andrà… 

E’ uscito in questi giorni un volume di oltre cinquecento pagine dal titolo Gran Maestri d’Italia 1805-2020, a cura di Giovanni Greco. Ero stato invitato a stendere il capitolo biografico del gran maestro Corona: l’ho fatto in una cinquantina di pagine credo tutte riscontrabili dai possibili critici. E affermo con piena certezza documentale, oltre che per un accompagnamento personale che è stato, inclusivo anche delle fasi difficili e di contrasto, quasi quarantennale (incontrai e mi legai in amicizia filiale e fraterna ad Armando Corona nel 1971) che quel che si è registrato nei tempi recenti (e scopro anche meno recenti) nelle stanze del palazzo donato da Vincenzo Racugno alla Fratellanza massonica cagliaritana, con la copertura complice – questo mi si dice (e fatico a crederlo) – del presidente del Collegio regionale e di molte altre dignità, avrebbe schifato Armando Corona, che ben avrebbe agito per bonificare d’urgenza.   



Stagioni di vita troppo lontane, lontane quanto neppure sarebbe possibile immaginare. Gente – i Delitala Vincenzo e Giuseppe, e Loi Puddu, e Rodriguez, e Bussalai, e Giglio e altri – che onorava il grembiule della responsabilità e dell’onore, che onorava la propria loggia di appartenenza con quella divisa che significava, nella rappresentazione simbolica, il cor unum della Sardegna, fra Cagliari e Sassari, il Sulcis e la Gallura, la Barbagia e l’Oristanese… Giovanissimo, nel novembre 1975 fui delegato io stesso, dal Collegio circoscrizionale sardo, di una missione romana, nella solennità antica e prestigiosa di Palazzo Giustiniani. Si doveva rilanciare in tutt’Italia la Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo ed io venni incaricato di… portare e raccogliere per conto di Cagliari e delle altre sedi isolane: con il gran maestro Lino Salvini e gli altri alti dignitari, fu con noi Marisa Bettoja – dignitaria leader allora dell’Ordine della Stella d’Oriente (che operava anche a Cagliari dal 1971) –, al centro di tutto quella sigla LIDU che rimandava nell’attualità alla Federazione accreditata all’ONU ma nella storia addirittura al sodalizio che con i massoni esuli in Francia, con i repubblicani prossimi a combattere contro Francisco Franco, con quegli altri di Giustizia e Libertà, Lussu compreso e i due Rosselli e Francesco Fausto Nitti – lui massone e gielle –, faceva fronte unito antifascista. 

Chi non conosca i passaggi che anche nell’ultimo settantennio e più, diciamo dalla ripresa della vita latomistica in Sardegna, con le cadute delle Obbedienze concorrenti, le crisi anche dello stesso Grande Oriente d’Italia, ma anche con le sue riprese centripete – così nel 1958, così nel 1963 –, fatica a comprendere quanto fiorente di risorse, di potenzialità umane prima ancora che civiche e professionali, fosse la Famiglia massonica sarda ad onta dei numeri che pur erano assai più modesti di oggi. Un pensare in grande quando pure si era in cento soltanto in tutta l’Isola, e poi centocinquanta fino a trecento quasi nel 1975, l’anno in cui – in concerto con il dinamismo organizzatore, l’esperienza e la capacità relazionale di Mario Giglio – s’alzò la stella di Armando Corona che rapidamente raggiunse, in parallelo nel PRI ed a Palazzo Giustiniani, ruoli di responsabilità apicale: personalità complessa, anche contraddittoria, Corona, ma ricca quant’altre mai forse, proprio come carica umana, nel quadro massonico sardo del tempo. E la capacità della costruzione, dell’andare per obiettivi e precisare modalità e seguire tempistiche… Nei giusti nessi, confessabilissimi perché purissimi, nessi con la politica dei partiti e delle istituzioni rappresentative come di quelle funzionali, nella sanità, anche nella sanità, sempre nell’interesse generale. Mai una “cupola”, ma luogo di responsabilità sì, questa è stata la Massoneria giustinianea sarda nei lunghi anni ’70 ed ’80 in cui le leadership di Armando Corona e Mario Giglio si sono coordinate portando la Sardegna a interlocuzioni autorevoli a livello nazionale.

Ogni anno, in ogni circostanza elettorale allora, senza che questo significasse pressione su alcuno ma soltanto doverosa informativa, si comunicavano in bacheca i nomi dei Fratelli candidati chi alle parlamentari chi alle regionali, chi alle amministrative chi (dal 1979) alle europee: la trasversalità era evidente in quegli avvisi, ma erano pure chiari ed espliciti i riferimenti ideali, quelli della scuola di pensiero da cui un partito derivava diversamente da un altro, e tutte le scuole – perché neorisorgimentali, perché generatrici del riformismo laico - erano compatibili con la vocazione storica della Massoneria italiana rinata nel 1859 per la patria unita, secondo il disegno cavouriano condiviso, per l’obiettivo ultimo, dalla sinistra mazziniana e garibaldina, dal Rito Simbolico e dal Rito Scozzese tanto più apertosi poi alla questione sociale, al sostegno delle fratellanze operaie. In esse il nostro Giorgio Asproni.

I candidati elettorali in quegli anni ’60, ’70 ed ’80 del Novecento erano i liberali gobettiani ma anche quelli centristi malagodiani e di stretta marca crociana ed einaudiana, erano i radicali che s’erano nutriti del Mondo di Mario Pannunzio e Arrigo Benedetti e dell’Espresso di Scalfari, anche delle esperienze degli olivettiani, erano i repubblicani abbracciati fra il mazzinianesimo della tradizione e l’innovatore azionismo di Ugo La Malfa, erano i socialdemocratici di Giuseppe Saragat, erano i socialisti delle tante correnti, neppure esclusa quella “estrema” dei carristi di Lussu; con essi erano anche diversi sardisti – il PSd’A nella sua dirigenza ha sempre avuto, dal 1920-21, un’alta presenza all’interno dei ranghi delle logge – ma erano sardisti che, prima della confusa svolta nazionalitaria e indipendentista, amavano l’Italia delle regioni e delle lettere, dell’arte e della religione. Ecco l’ecumene ma nelle compatibilità dei cosiddetti fondamentali ideali e storici. 

Negli anni ’50 e ancora nei primi anni ’60, almeno a Cagliari, erano forse venti, trenta i Fratelli di fede monarchica, qualcuno – rispettato per le singolari vicende familiari che l’avevano portato a scelte solitarie e direi eccentriche – confessava di votare per il Movimento Sociale Italiano, come compensato da quei dieci che invece, con pari lealtà, si dicevano elettori del PCI che era ancora quello di Togliatti e poi di Longo. Ma tale loro eccentricità, tanto a destra quanto a sinistra, era come legittimata e assorbita – così sempre io l’ho interpretata – dalla preliminare adesione, sul piano puramente ideale, alla democrazia pluripartitica, alla repubblica delle rappresentanze territoriali, agli ordinamenti volti a progressive e ineludibili integrazioni sovranazionali, in una parola al sogno che aveva coeso i padri della patria e, saltando il ventennio triste della dittatura, tornava rigenerato e purificato dalle sofferenze della guerra.   

   


Oggi, nella società liquida e disvaloriale, l’uno vale l’altro e la fiamma tricolore che è quella che nel 1946 suggellò l’intesa dei fascisti del duumvirato e dei fascisti di Salò, dunque dei persecutori (e perfino assassini) dei massoni nel ventennio e nel biennio bellico, è presa come orpello di gloria da questo o quello. Non indugio sul punto, troppe altre volte ne ho scritto rilevando quanto nella ignoranza della storia tanti o troppi massoni, anche sardi e anche cagliaritani, abbiano accolto la divisa del conformismo e della convenienza venale, non quella della solitudine valoriale: «Chi teme di restar solo non sarà mai, politicamente, un galantuomo...». L’ubriacatura dei numeri vuol dire perdita dell’anima. Lo spiega Giovanni Bovio, quel Bovio insolentito da un’accolta di cosiddetti “iniziati”.

Mi dicono che molti sono stati “regolarizzati” perché provenienti da altre Obbedienze e non conoscano la scuola che Palazzo Giustiniani ha assicurato per così lungo tempo. Non so e non me ne curo più di tanto. Penso a quell’imbecille che si fa ritrarre – lui che sarebbe un Venerabile in carica («impossibile» mi dice don Ferrante e continuo a credergli per non cedere alla disperazione) – nel commercio possibile della bara della ritualità hiramitica, lui che si fa ritrarre fra la Colonna B e quella J mentre guida con la sua ineffabile scienza il cammino faticoso del perfezionamento di quelli che l’hanno votato, o che insolentisce niente meno che il presidente della Repubblica e il suo predecessore: del presidente alle cui sorti poi alza il calice del perfetto ipocrita nei brindisi rituali. E si camuffa poi nelle divise della X MAS, in quelle altre staliniste… 



Esistono nel GOI di oggi i guardiani del buon gusto, della educazione, dei regolamenti? Esistono figure che possono chiamarsi una volta Oratori e un’altra Ispettori o Consiglieri, insomma persone di prestigio ed equilibrio, di moralità provata, di un mazzinianesimo religioso nel cuore – proprio nel cuore – da cui non possono derogare?… 


Se si perde la propria credibilità si perde tutto. Io credo questo. E spiace a me, esterno soltanto amministrativamente al Grande Oriente d’Italia ma sodale del GOI in tutte le sue idealità umanistiche e nei suoi travagliati percorsi storici, spiace molto molto molto di aver dovuto compiere, pur se anticipati, alcuni passi estremi, segnalando alla polizia postale e alla procura della Repubblica quanto di rispettiva competenza: dal ghigno fallico ancora svettante fra le glorie del nulla (in una pagina che ancora ingessa Bovio in una falsa bandiera dei quattro mori) all’insulto al presidente della Repubblica, della nostra Repubblica nata dal patriottismo antifascista. 

Finisco questa nuova fatica, nono articolo che chiude le prime cento pagine d’un cahier afflitto che mai avrei immaginato di dover scrivere. Ma da cagliaritano che ama da sempre Sassari e i sassaresi, i Fratelli sassaresi – fratelli della città, fratelli delle comunità di padre Morittu così intensamente frequentate per due decenni, fratelli della politica progressista del repubblicanesimo e del sardismo d’animo italiano, fratelli delle logge massoniche –, vorrei mettere punto pensando a loro e ai loro Maestri d’un secolo fa, e alla partecipazione di questi al culto, tutto democratico e libertario, del nostro Bovio. 

Cento anni fa, ieri

Parto dalla mia Cagliari per arrivare a Sassari. Nel Consiglio comunale riunito a palazzo di Città – giusto di fronte alla cattedrale di Santa Maria – che nel 1905 discuteva se e come sostenere lo sforzo del comitato promotore per l’erezione di un busto al nostro santo, e dove metterlo, e con quale dedica accompagnarlo, onestamente l’avv. Sanjust non tacque le sue riserve di principio: troppo laico e troppo massone, seppure santo, il filosofo di Trani che per un quarto di secolo aveva speso la sua autorità in parlamento e nel Grande Oriente d’Italia, dando seguito e sviluppo al magistero di Giuseppe Mazzini. A lui avevano risposto – ne ho pubblicato i verbali – gli altri consiglieri, anche quelli che alla loggia allora funzionante in città, la Sigismondo Arquer, avevano consegnato il proprio nome. La Domenica cagliaritana – il periodico umoristico che pubblicava in quel tempo anche delle gustosissime vignette, i “pupazzetti” dei VIP cittadini, compresi quei molti massoni che avevo presentato proprio a palazzo Sanjust nella rassegna del novembre 2013 (nulla a che vedere con le pagliacciate di questi mesi ultimi naturalmente) – aveva giocato su quella discussione con articoli spumeggianti, ma infine repubblicani e massoni avevano avuto la loro soddisfazione e il monumento allo square venne inaugurato.

Funzionava così a Cagliari, e non soltanto a Cagliari, allora. Massoni e repubblicani (in tempo di monarchia e di liberalismo autoritario!) erano minoranze e godevano di essere minoranza, gente che ci credeva. Davano corpo a certe loro iniziative, ora patriottiche ora genericamente culturali, legate al calendario democratico della patria unita – il 20 Settembre svettava su tutto e Mazzini il 10 marzo accompagnava, magari con il 2 giugno garibaldino, e il 9 febbraio della Repubblica romana e di Mameli, il 6 marzo di Cavallotti, il 20 dicembre di Guglielmo Oberdan… Gente che ci credeva.

Oggi siamo a… Pinochet, e Giovanni Bovio – lui il grande oratore della Massoneria del Grande Oriente d’Italia chiamato a presentare figura e testimonianza di Giordano Bruno a Campo dee’ Fiori – è messo, da qualche ulteriore imbecille del coro, gregario senza sale, nel mucchio dei generali e colonnelli con il dittatore che ha massacrato migliaia e migliaia di democratici cileni e famiglie intere, e Salvador Allende – il massone presidente Salvador Allende – come Hitler alleato di Mussolini nell’Europa degli anni ’30 e ’40.

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Ero impegnato a raccogliere e riordinare le notizie della partecipazione del Consiglio provinciale di Sassari, nel 1903, alla iniziativa della erezione del monumento a Bovio programmato nella nativa Trani: anche a Sassari di tanto si occuparono massoni e repubblicani, in capo a tutti Antonio Vincentelli, presidente della deputazione provinciale e Venerabile della Gio.Maria Angioy (eravamo all’indomani della scomparsa di Gavino Soro Pirino – il leader amico di Mazzini che, quando accusato di vilipendio al re per un ragionato articolo tutto idee e passione, fu difeso dall’intero foro di Sassari, colleghi avvocati monarchici inclusi, uscendone riconosciuto innocente –ed eravamo nell’alternanza, nella reggenza del Maglietto, con Antonio Zanfarino, il nonno materno di Francesco Cossiga): Venerabile della Gio.Maria Angioy e nel 1911 fondatore, ancora a Sassari, della loggia Efisio Tola…   

Sassari, la Sassari della Goffredo Mameli e della Gio.Maria Angioy per Bovio

Sassari, non meno di Cagliari, aveva partecipato sinceramente al lutto del Paese e degli ambienti politici e culturali democratici per la morte di Giovanni Bovio. Alla pubblica commemorazione che si sarebbe tenuta a metà maggio anche la loggia Gio.Maria Angioy avrebbe inviato la sua rappresentanza e il labaro «con una bellissima corona di fiori freschi», come aveva riferito il cronista de La Nuova Sardegna nell’edizione del 18 di quel mese.  



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La scomparsa del filosofo era stata pianta e la sua vita ricordata da numerosi articoli della stampa quotidiana, appunto a Sassari non meno che a Cagliari. L’editoriale del 17 aprile de La Nuova Sardegna – titolo soltanto “Bovio” – ne aveva già rappresentato dignità personale e cifra intellettuale, passione civile e democratica: «Fu filosofo, fu artista, fu maestro… La sua religione era la vita nella sua forza complessa, nel suo fatale progredire, nel suo rinnovarsi continuo… Custodì nell’ampia fronte un sogno squisito: Roma, l’urbe secolare che doveva imporre alla civiltà una eterna dominanza pensosa…».

Il 23 aprile la locale sezione dell’edera (e della vanga) repubblicana, convocata anche per formalizzare l'invito ai consiglieri comunali iscritti al partito «a promuovere un voto contro le spese improduttive [...] e a proporre l'adottamento come libro di testo in tutte le scuole elementari dei Doveri dell'Uomo di Mazzini»; deliberare la pubblicazione di un opuscolo da distribuire gratis in città in occasione del primo maggio e l'avvio di un ciclo di «conferenze e letture educative in vantaggio alle classi operaie» nonché la ricostituzione del circolo giovanile intitolato a Giuseppe Giordano— aderiva ufficialmente al programma commemorativo organizzato dall'Unione popolare.

Alla manifestazione consentivano (non senza qualche riserva… dottrinaria) anche i socialisti: «ritenendo che è dovere per la Sezione socialista aderire alla commemorazione di colui che seppe anteporre ai propri interessi le alte idealità; delibera di aderire per lettera ed esorta i compagni ad intervenire personalmente».

Per innalzare un monumento nazionale nella città di Trani, il Consiglio provinciale di Sassari aveva espresso la volontà di contribuire con una certa somma da prelevare dal capitolo delle “spese impreviste”, ed offerte personali dei consiglieri ed impiegati erano state raccolte dall'on. Garavetti e da questi girate al sindaco del comune pugliese, con mille ringraziamenti. 
Alla manifestazione del 17 maggio, conclusa con la deposizione di due corone di fiori al monumento a Mazzini – l’una della sezione repubblicana, l’altra della loggia massonica –, con Vincentelli presidente e Venerabile aveva parlato un giovane liceale, Guido Fiori, bellissima figura di apostolo mazziniano delle nuove generazioni (un ragazzo magnifico e sfortunato, pochi, pochissimi anni e meno che diciottenne sarebbe morto nel pianto corale e sgomento di Sassari tutta). 

Un nuovo fondo de La Nuova – “L’apoteosi di Bovio” – aveva aperto l’edizione del 14 settembre. Nel clima delle celebrazioni del XX Settembre ormai prossime, mentre scoppiava ad Innsbruck la contestazione degli studenti “italiani” costretti ad una cittadinanza nel repressivo regime imperiale austriaco e mentre si faticava a Roma ad ottenere il placet ad una nuova commemorazione pubblica del filosofo, l’editorialista  ne richiamava ancora una volta il superiore profilo: «Il popolo romano ricorda con entusiasmo colui che applaudì nei pubblici comizi, dove la sua voce tonante, ministro della verità, ha fatto fremere il popolo, ed ha reso pensosi coloro che avrebbero anche a lui voluto mettere il bavaglio. Roma, che ha il culto del libero pensiero, della libertà, della giustizia, sa che onorandosi Giovanni Bovio si onora il genio italico e si fa omaggio all’anima grande repubblicana di Roma. Il governo vuole impedire questa grande manifestazione? Non avrà fatto certo alcun atto di buona politica. Non è una fazione che onora l’uomo, ma tutto un popolo che vivo lo ha riverito, ammirato…».



Dicevo prima (ed ho interrotto poi il discorso)… ero impegnato in questo lavoro di recupero di materiali d’archivio acquisti nelle ricerche di trenta e più anni fa, ed ecco che mi arrivano foto inquietanti: Bovio diventato anche lui gerarca di una dittatura sudamericana, secondo l’orribile regia di chi si era già caratterizzato per il teatrino degli autoflash, dismettendo gli abiti di chi «dirige i lavori con il lume della sua scienza muratoria», e con il consenso tonto (eufemismo di gentilezza) dei superiori e anche di molti dei pari. Egli gioca con nuovi berretti nazisti e – per bilanciare l’accusa – anche con quelli dell’armata rossa. 

Racconterà, la storia, questa vergogna ed elencherà i nomi di protagonisti e comprimari e comparse. I loro figli e nipoti non ne avranno motivo d’orgoglio.

Fonte: Gianfranco Murtas
RIPRODUZIONE RISERVATA ©

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Fratelli Cagliari

11 Ago 2020

APPELLO PUBBLICO A STEFANO BISI. Car.mo e Ven.mo Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, car.mo Fr. Stefano, basta! Basta, basta, basta con questo scempio! Basta, basta, basta con questa vergogna che da mesi dilania l’Oriente di Cagliari, in un susseguirsi di infamie fuori controllo. Ancora, basta con lʼeffige in gesso pesante di Giovanni Bovio, voluta ed accolta a Palazzo Sanjust nel novembre 2008, ridotta a feticcio per il divertimento meschino di Maestri Venerabili, di Ispettori Circoscrizionali in carica, di Primi Sorveglianti più acconci a fare da aguzzini, magari in quei campi di sterminio nazisti dove perirono 200.000 nostri Fratelli, che a vigilare le Colonne del Tempio. Perché trovare il coraggio, la temerarietà, di accostare quello che fu il Grande Oratore del Grande Oriente d’Italia Giovanni Bovio, 33º ed ultimo grado del Rito scozzese antico ed accettato – e qua ci rivolgiamo idealmente anche al Sovrano Gran Commendatore del Rito, il Ven.mo e Pot.mo Fr. Leo Taroni – al Regime militare di Augusto Pinochet, non può trovare alcuna giustificazione plausibile se non il più assoluto spregio di Te, che tanto ti sei speso per la pubblicazione, anche in Italia, del libro del giornalista cileno Juan Gonzalo Rocha “Allende Massone”, e della democrazia avanzata e liberale di cui il santo laico Giovanni Bovio fu insieme custode e precursore. E non si tiri più in ballo la goliardia! Che non siamo mica una spavalda combriccola di studentelli, perdio!! Ma gente seria a cui è stato precettato di sopportare oltre ogni ragionevole limite. E noi tutto abbiamo sopportato!! Ingoiando anche gli insulti al Capo dello Stato Sergio Mattarella ed al presidente emerito della Repubblica italiana Giorgio Napolitano. Ma questo no. Mai! Adesso basta! Basta con gli appelli inutili, volta per volta indirizzati al presidente del collegio sardo, ai consiglieri dell’ordine ed alla giustizia massonica, che non è mai servita a nullʼaltro che non fosse dirimere beghe interne di basso profilo, mentre qua c'è in gioco ben altro! E basta anche con questo Grande Oratore cagliaritano che con la sua imposizione dʼinerzia ci sta condannando tutti all’ignominia! E non ce ne importa nulla di affermarlo a gran voce e pubblicamente, tanto è stato disastroso per lʼOriente cagliaritano il suo comportamento! Ora basta! Adesso ci rivolgiamo direttamente a Te, Stefano. E che tacciano tutti gli altri giochini: lʼimminente Gran Loggia, la questione della Fondazione, lʼipotesi di una presunta "scala" da approntarsi a Palazzo Sanjust, ecc. NON CE NE IMPORTA NIENTE!! Ci rivolgiamo a Te come Gran Maestro del Grande Oriente dʼItalia, a Te come Fratello, innanzitutto, poi a Te come Uomo di condivise idee democratiche e liberali; a Te, infine, come iniziato alla Libera Muratoria universale, se questo conta qualcosa per Te, quanto vale ancora per noi.


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Fratelli Cagliari

11 Ago 2020

Dunque: coloro che hanno immaginato di poter accostare il Grande Oriente d’Italia, che VIVE e GIOVANNEGGIA nei Busti amati e riveriti dei MAESTRI VERI che a loro volta VIVONO e GIOVANNEGGIANO nell’Ordine, ad un regime militare dittatoriale che ha ucciso un numero tra i 1.200 ed i 3.200 oppositori politici, che ha prodotto tra gli 80.000 ed i 600.000 internati per reati d’opinione, che ha esiliato ed arrestato in maniera arbitraria ed ha torturato tra le 30.000 e le 130.000 persone, vittime di una violenza spietata ed arbitraria, sono dei miserabili. Degli infami. Dei contro-iniziati. Sono la reincarnazione moderna di chi ci assassinò, tutti quanti nel simbolo di Hiram Abif, alle porte del Tempio di re Salomone. Stefano, caro Fratello, se si potesse scrivere una pausa ecco che vorremmo, in questo momento, riprendere fiato. Vorremmo, asciugandoci le lacrime che ci confondono i pensieri, con quanto di più vero ed ideale alberga nei nostri cuori, e per quei valori che furono già nostri in Massoni come Randolfo Pacciardi, mazziniano, repubblicano ed antifascista, chiederti conto. Domandarti dove mai si esprima, qua a Cagliari, ciò che Pacciardi espresse al Campidoglio, il 16 giugno 1946, per l’inaugurazione della Repubblica italiana: «Garibaldi e Mazzini hanno dato all’Italia il gusto eterno della gloria. Ma non più della gloria mendace, delle guerre, delle conquiste, della potenza, degli imperi. La gloria bensì delle libere istituzioni civili, delle competizioni nell’arte e nella scienza, nei traffici e nel lavoro, nelle missioni ed iniziative. Salutiamo in questa fede la lacera bandiera che risorge dai nostri spasimi e dai nostri lutti per portare nel mondo la gloria civile dell’Italia repubblicana». Ecco: dove? DOVE TUTTO QUESTO A CAGLIARI? Per tutte queste ragioni, Stefano, cioè per tutto quello che vi è di vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, per tutto quello che è virtù e merita lode nella Massoneria pulita e veneranda, noi ti imploriamo, ti supplichiamo, genuflessi in preghiera innanzi a Te, di intervenire per fermare IMMEDIATAMENTE questa pestilenza. Questo cancro divorante educazione, decoro, valori, onore e senso del giusto! Se non per noi, poveri maestri oramai vetusti e canuti, nel nome degli eroi: Mazzini, Garibaldi, Nathan, Asproni, Corona e, sì, Giovanni Bovio. Affinché possano essere loro, sollevati dal ludibrio che oggi li ricopre, caduti sul suolo cagliaritano, ad insegnare ancora, per essere dʼesempio alle future generazioni come lo furono, un tempo, per i nostri giovani cuori.


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Pasquino Lepori

15 Ago 2020

Era il 1857; sostenne lʼaccusa lʼavvocato Ernest Pinard, ex ministro degli Interni francese. Gustave Flaubert non fu condannato per la sua Madame Bovary, ma, si legge dalla sentenza, lʼopera deferita al tribunale è ritenuta meritevole di un biasimo severo. Poiché la missione della letteratura doveva essere quella di «ornare e ricreare lo spirito evidenziando lʼintelligenza e depurando i costumi, prima ancora di imprimere il disgusto del vizio offrendo un quadro...», continuiamo noi, "un quadro veritiero della realtà!" Ebbene, cosa questo c'entri con il nostro Bovio ci arriva da un altro articolo del buon Murtas; quello su Bachisio Zizi. Riportandomi con la memoria ad oltre trent'anni fa, quando mi interessai a quello strano caso. I giudici del tribunale di Cagliari decretarono che il romanzo "Santi di creta" diffamava le memorie domestiche di una nobile famiglia di Nuoro, condannando proprio il Zizi, che ne era l'autore, ad una multa di 800 mila lire: il pubblico ministero, però, aveva chiesto dieci mesi di reclusione. Questo perché la realtà non va mai raccontata per quella che è. Meglio infatti, come avviene ormai da lustri a Palazzo Sanjust - Casa della massoneria cagliaritana - baloccarsi nei grandi proclami riguardanti lʼuomo e la sua dignità morale e spirituale - magari organizzando convegni con lʼinvito di ospiti illustri; illustri quanto ignari della vera “verità” del luogo. Una verità che non va detta, non va raccontata, non va conosciuta. Poiché è fonte, in verità, di vergogna. Questa la nostra “profonda prigione”, cari tutti! Così, invece di affrontare il problema di un Venerabile che offende la decenza, e dico: affrontare tutti insieme, per cercare di capire dove, tutti insieme, si è sbagliato e non sbagliare più, ecco che scatta lʼinquisizione. Per coloro i quali reagiscono al busto di un buon padre ideale accostato a degli assassini. A quegli stessi assassini - perché la storia assegna torti e ragioni - che la massoneria italiana ha combattuto sul suolo patrio. E con quanti lutti! Lei, Murtas, si domanda se ci sia ancora un giudice nel Grande Oriente d'Italia, un giudice a Berlino... Per ora no, non c'è. E non c'è perché non c'è più vergogna, né tensione ideale. Io lʼho vista scemare negli anni. Si fuma insieme il sigaro dopo il cognac, a notte fonda, e finisce lì. Quei dieci mesi di reclusione chiesti allora per Zizi, poi scampati, mi impressionarono. Oggi li capisco molto meglio, temendoli ancora di più. Ed è per questa ragione che sono uno di quei Maestri cagliaritani disposto a dare battaglia fino all'ultimo, per ristabilire decenza e onore a Palazzo Sanjust. Noi, si sappia, lo facciamo per lʼOrdine, gli altri ci dicano loro da cosa sono spinti. Restiamo nell'attesa di risposte.


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Alberto Seminario

16 Ago 2020

Sicuramente il fatto più grave, in questa storia, non è costituito dalla accertata 'dignità', in seno alla Comunione, dei mentecatti coinvolti (cioè il demente e gli altri sbandati della sua risma, nel consiglio delle Luci dell'officina coinvolta), e nemmeno dagli atti compiuti: vestizione di un busto in gesso con abiti improbabili (con il rischio di danneggiarlo), riduzione dello stesso ad idolo pagano sul quale riversare le proprie frustrazioni di vita, infine accanimento verso la figura di Bovio, pensatore liberale, divenuto spauracchio di tendenze fascistoidi. E, mi si perdoni, non è neppure l'insulto a Mattarella, tanta è ormai la maleducazione dilagante ed il pressapochismo volgare. Dicevo, il fatto più grave di tutta questa storia è rappresentato dalla pochezza della reazione, in pratica zero, di una Istituzione massonica che si è scoperta accozzaglia di uomini senza il benché minimo senso dell'onore individuale e dell'onore patrio. Ognuno però con proprie specifice responsabilità: intanto i venerabili spernacchiabili, pari grado del pazzo, che non hanno avuto la dignità di prenderne, dopo le misure, le distanze. Poi questi inutili ispettori circoscrizionali, cianfrusaglia miserabile da soffitta, che non ispezionano nulla e sono palafrenieri ostaggi del Collegio. Poi i giudici, cessu cessu, che neppure meritano attenzione. Poi l'Oratore del Collegio, che dovrebbe intervenire d'ufficio, non interviene ed è lui stesso da Tavola d'accusa. Come da Tavola d'accusa è chiunque abbia titolo per intervenire e non interviene, compreso (se non interverrà) il Gran Maestro. L'accusa sarebbe semplicissima: mancata tutela della Comunione. Tengo invece fuori, per ora, i Consiglieri dell'Ordine. Molti Fratelli si sono accaniti anche contro di loro, ma, ricordo a tutti, essi sono sì eletti, ma non ancora installati. E questo, a mio avviso, almeno per ora, li pone al riparo dalle critiche. Sono in tre, di uno sappiamo che difficilmente muoverà passi importanti, anche per stazza, vedremo gli altri due, più agili nel fisico e scattanti di pensieri. Nel mentre, e c'è da ridere!, qualche minchione pensa di poter organizzare convegni a Palazzo Sanjust per il mese di ottobre.... con tutta la calca umana degli sciagurati complici del mentecatto e dei suoi amici dementi: Presidente del Collegio dei maestri spernacchiabili e quell'altro, Grande Oratore del nulla. Il tutto per parlare nientemeno che dell'Uomo vitruviano! Naturalmente sarà senz'altro uno scherzo, e non è possibile credere che qualcuno sia talmente coglione. Palazzo Sanjust, infatti, è tuttora luogo offeso, almeno fintantoché Pinochet veglierà sulla massoneria cittadina. Nelle more di un cordiale ripristino di stile.


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Pasquino Lepori

17 Ago 2020

Tranquillo, Alberto (o Antonio?) Seminario. Il prof. Roberto Concas è già stato contattato attraverso un messaggio inoltrato per e-mail. Se ne divulga il testo: Gent.mo prof. Roberto Concas, siamo un sodalizio di Maestri Muratori di Cagliari, la cui appartenenza al Grande Oriente d'Italia è, per alcuni di noi, pluridecennale. Ci permettiamo di scriverLe per spiegare i motivi che ci spingono a chiederLe, contestualmente, di rinunciare alla presentazione del suo ultimo Libro a palazzo Sanjust, il prossimo 10 ottobre alle ore 17:00. I motivi sono riassunti nella serie di articoli del giornalista e storico cagliaritano Gianfranco Murtas, pubblicati in questi ultimi mesi sulla testata on-line www.giornalia.com che qua, per sua comodità, Le riportiamo: [tutti i link agli articoli di Murtas] Sono ragioni gravissime, come Lei stesso potrà constatare. Sappiamo che Lei è già stato contattato da alcuni nostri Fratelli (essi hanno agito in autonomia), tramite il suo sito internet; i quali Le hanno rivelato, in qualche modo, altre dinamiche associative legate alla vicenda. Se per Lei è possibile, Le chiediamo di non sentirsi influenzato da esse, ma di restare ai fatti: un busto in gesso pesante, ritraente il filosofo ed ideologo repubblicano Giovanni Bovio, è stato parruccato, motteggiato, spostato, manipolato, per fini che attengono volta per volta alla idiozia, al fascismo dell'animo, all'ignoranza. Il tutto nel Palazzo che, al colmo della protervia e della insensatezza, vorrebbe ospitare lei! Chi ha compiuto questi atti è oggi protetto, spalleggiato, se possibile incoraggiato dal Collegio Circoscrizionale dei Maestri Venerabili della Sardegna. Ovvero, anche dal Maestro Venerabile dell'officina organizzante l'evento che la riguarda, nonché dal presidente del Collegio e dal Grande Oratore nazionale, che porterebbero i loro saluti. Essi non meritano di sederLe vicino. Un busto, come qualsiasi monumento, infatti, lo si rispetta. Punto. Non lo si manipola con il rischio di danneggiarlo per il gusto sciocco d'apparire "toghi", peggio ancora con la volontà di propagare ideologie anti-democratiche. E siamo arrivati, non ci capacitiamo neppure come, a Pinochet... (continua)


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Pasquino Lepori

17 Ago 2020

Stanti la sua riconosciuta levatura morale, la sua stessa alta caratura nel mondo museale, le immagini sul suo personale spazio internet che rimandano alla figura del Presidente Mattarella - vilipeso in questo circo senza altro senso che è l'autoreferenzialità meschina - Le chiediamo di rendere pubblico il suo diniego all'evento con comunicazione da inviarsi al Collegio dei Maestri Venerabili della Sardegna ed al Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia, Stefano Bisi. Per parte nostra abbiamo richiesto un intervento diretto ai vertici nazionali, che ancora non vi è stato. Siamo sicuri che Lei saprà, con la sua decisione, tutelare innanzitutto la sua storia, nella difesa e valorizzazione del patrimonio artistico cagliaritano (che non ha necessità di essere oggetto, se va bene - e vogliamo tacere d'altro -, di simili ridicolaggini), poi il decoro del nostro Capo dello Stato, cui lei ci pare essere vicino, come noi, almeno idealmente. Il Collegio di Cagliari legge in conoscenza, e saprà comprendere certamente le ragioni della sua scelta. Voglia gradire il nostro anticipato ringraziamento, tanta è la nostra fiducia in Lei, ed i nostri omaggi e sinceri saluti. Firmato: Maestri Muratori di Cagliari per la salvaguardia e tutela del busto di Giovanni Bovio, ideologo liberale, e delle sue idee democratiche.


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Gianni Protto

20 Ago 2020

Ma davvero siete ancora qui a cazzeggiare? Possibile che non abbiate di meglio da fare? State dimostrando esattamente come non devono essere i massoni, siete molto peggio di quel fratello che avete definito con i peggiori epiteti. Siete inutili alla massoneria e fate più danni della grandine. Rilassatevi, andate al mare, fate qualcosa. Se non l’avete già vi diventa il sangue marcio.


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Primo Battaglia

20 Ago 2020

Il Grande Oriente d'Italia ci regala, involontariamente, perle d'umorismo d'essai. In seguito a questo Articolo pubblicato on-line dal GOI: “https://www.grandeoriente.it/inviato-cittadino-quel-busto-di-miliocchi-inaugurato-solo-un-anno-fa-e-sporco-e-negletto-perugia-today/” abbiamo provveduto a contattare tutte le Logge di Perugia, con messaggio su posta elettronica istituzionale. Ne divulghiamo il testo: Carissimi Fratelli di Perugia, siamo un sodalizio di Maestri Muratori di Cagliari, la cui appartenenza al Grande Oriente d'Italia è, per alcuni di noi, pluridecennale. Siamo venuti a conoscenza che il busto marmoreo di Guglielmo Miliocchi, inaugurato circa un anno fa ai Giardini Ercolano di Perugia, è oggi lasciato dall'Amministrazione comunale perugina senza il minimo necessario di manutenzione, sporco e trascurato. Per questa ragione veniamo ad esprimervi la nostra più sincera vicinanza e solidarietà. Non mancando di prendere pubblica posizione su questo fatto, nei giorni a venire. Guglielmo Miliocchi fu infatti patriota, repubblicano e mazziniano, e patì in vita le tante rappresaglie, umiliazioni e gli incarceramenti disposti dal regime fascista. Annoverato tra gli schedati politici, fu costretto a cambiare casa più volte ed a patire la fame. Noi non dimentichiamo, neppure da Cagliari, che dopo essere stato consigliere comunale con deleghe ad istruzione e scuola fu venditore di giornali ed almanacchi porta a porta, continuando sempre, clandestinamente, a pubblicare opuscoli di propaganda di carattere mazziniano e repubblicano, e non mancando mai di tenere, per le vostre vie e le vostre piazze, lezioni di storia del Risorgimento italiano. Oggi tuttavia, noi che veniamo a solidarizzare, nel contempo veniamo anche a chiedere a voi, amatissimi Fratelli di Perugia, vicinanza ideale per un altro busto, stavolta in gesso pesante, del mazziniano, repubblicano e Grande Oratore del Grande Oriente d'Italia, Giovanni Bovio, lordato nel palazzo della Massoneria cagliaritana prima dall'idiozia, poi dall'ignoranza, infine dall'arroganza fascista di alcuni presunti fratelli (in minuscolo), la cui assenza di scrupoli è pari solo alla loro indegnità. Non vogliamo influenzare il vostro sereno giudizio, ma vi preghiamo di leggere, con dovuta calma ed attenzione, i nove articoli che in questi mesi il giornalista cagliaritano e storico della Massoneria sarda Gianfranco Murtas ha dedicato all'accaduto. Noi, da parte nostra, abbiamo richiesto l'intervento del Gran Maestro Stefano Bisi. Se riterrete di darci un aiuto, ogni pressione, anche in forma anonima, volta a sanare la situazione, sarà senz'altro ad onore di Guglielmo Miliocchi e Giovanni Bovio. Tenetevi bene ai braccioli delle sedie, poiché quello che leggerete ha dell'inverosimile: (tutti gli Articoli di Gianfranco Murtas su giornalia.com). T.F.A.


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