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Gianfranco Murtas

Ancora auguri, ogni giorno auguri, padre Morittu!

di Gianfranco Murtas

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Siamo costantemente rassicurati dai santi frati minori osservanti della Fraternità francescana di San Pietro in Silki, a Sassari, e dagli amici comunitari di S’Aspru che la ripresa di salute del padre Salvatore Morittu, pur complessa nelle sue tappe, procede verso un esito pienamente favorevole.

Il recupero della salute fisica, che pur bisognerà accompagnare con tempi di convalescenza e riposo, è quanto a lui – al padre Morittu, custode emerito (tale da pochi mesi soltanto) dei minori osservanti sardi oltreché anima e ossigeno virtuoso del movimento comunitario interno al variegato e amplissimo solidarismo sociale isolano – la vita, stavolta generosa e riconoscente, ha voluto restituire per le tonnellate di energie mentali e materiali, spirituali e di bontà egli ha speso fin qui per il bene di una infinità di persone.

Mi è stato chiesto tante volte un giudizio complessivo – meglio una opinione pensata e misurata – su questo francescano d’oro. Una sintesi – ecco la mia risposta – fra un “io” ed un “noi”. Egli è stato ed è, nella radice del suo tratto identitario, l’uomo del “noi”, come ha ben rivelato non soltanto nella Fraternità serafica ma anche nella fabbrica sociale che ha aperto, collaudato, sviluppato, trasformato, sempre custodito, nella varietà delle situazioni e dei tempi, a Cagliari e poi a Siligo e ad Uta e infine, con peculiarità tutte sue, anche a Sassari. Ma, vigilante e realista quanto l’intelligenza gli impone, pedagogo nato e sperimentato, ha sempre insegnato, nel collettivo e nel dialogo personale e confidenziale, che il “noi” si compone di tanti “io” responsabili, di tanti “io” fecondi nello scambio con gli altri, del prendere e dare cioè: di tanti “io”, insomma, oblativi ed umili, capaci di presentare volta a volta la testa alta e la testa china.

Maestro d’oro. Ripensando a lui, intensamente, in queste settimane e in questi giorni, la memoria mi ha riportato a un breve testo che introdusse la silloge di una serie di interviste che potei raccogliere a S’Aspru – proprio a S’Aspru! – nel 2002, nel ventennale della comunità cui il cuore generoso di monsignor Paolo Carta offerse una casa e i terreni da lavorare, concedendola alla Famiglia francescana per l’utilizzo prospettatogli dall’Associazione Mondo X Sardegna. (La evidente datazione del testo non tocca in nulla la sostanza della riflessione che dalla descrizione deriva).


La superiore dignità del “noi”

E' come un paese, S'Aspru, anzi una repubblica autonoma, o città-stato, nella federazione mondiale degli stati-nazione. Una repubblica originale, il cui profilo comunitario è disegnato nella carta costituzionale di Mondo X: il mondo dell'Uomo che s'oppone, idealmente, a quello degli uomini, alla omologazione dei popoli in masse senza identità ed al potere autoreferenziale e dunque, e comunque, dispotico.

E' noto cosa reciti, con queste o altre parole, il primo articolo della costituzione di Mondo X: l'utopia si fa storia ogni "quando" gli umani lo vogliano.

Vivono insieme, nella casa e nel compendio dei quattro più nove ettari, gli eredi di Noè chiamati alla nuova salvezza: con essi, giovani che portano un'ansia di futuro, è la popolazione animale sempre disponibile ad offrirsi ad ogni superiore necessità, e quella vegetale pure essa pronta al servizio di chi la cura, perpetuandone la specie.

Come una città-stato, S'Aspru amministra la sua autonomia e le relazioni con l'universo mondo. Con le altre città-stato della federazione innanzitutto - San Mauro (sede del governo centrale) e Campu 'e Luas, i Centri d'accoglienza di Cagliari e Sassari e la Casa-famiglia di Sant'Antonio abate - realizza la sua politica, che si riassume poi in una complessa eppur semplice testimonianza, vissuta più che predicata. Con le altre città federate tesse la tela cui chiama a concorrere la gente di buon volere, tutti quelli che posseggono le risorse morali per collaborare, e che essa associa a sé, secondo la perfetta logica delle comunità di vita.

I suoi repubblicani campano del proprio lavoro. E se pure hanno ben lucidamente presente che, in questa particolare fase della propria esistenza, il lavoro assume un significato speciale, essi sanno però che il lavoro ha sempre, nella vita degli umani, una funzione che merita apprezzare: perché traduce un talento, una abilità, e dunque è gratificante per il singolo, e costituisce, insieme, un arricchente apporto al più largo interesse dei consorziati.

Hanno imparato, i repubblicani di S'Aspru, che prima ancora che fattore produttivo o materializzazione di energie, o valore aggiunto economico, il lavoro rappresenta attuazione di una missione cui tutti si è chiamati, ciascuno per quanto gli compete.

Sanno poi che la loro cittadinanza si esprime attraverso la consapevolezza dell'effettivo bene comune, delle regole della convivenza generale. E che tale consapevolezza è conquista, è acquisizione continua di studio e di esperienza. L'appellano "cultura", e non è altro che raccolta e riordino di tutte quelle conoscenze che possono aiutare all'orientamento fra i quartieri della città organizzata: diritto ed economia, politica e società, religione ed arte, scienza e quant'altro...

Ma prima ancora del lavoro e della cultura, e poi in costante accompagnamento ad essi, sanno porsi, di evidente necessità, quell'altro pilastro costituzionale che vien denominato "formazione". Che, infine, altro non è che la progressiva nozione di sé, e indicazione di un percorso di maturazione razionale ed emotiva, di crescita intellettuale e di ogni altra più intima area personale.


Una pagina di diario

S'Aspru. Massimo se ne è appena andato, quando arrivo, con Aldo, verso la mezza mattina di venerdì 3 maggio (cordiale e simpatico, Mario è venuto a prenderci con la vettura alla fermata extra del pullman). Saranno due giorni di piena immersione nella realtà presente e passata della comunità, fra colloqui e spoglio delle carte storiche scritte dagli stessi protagonisti che sono passati di qui. La sorridente ospitalità dei responsabili mi tocca. Le ragazze e i ragazzi - ora che Massimo ha lasciato - sono volti a me noti quasi tutti, per le loro discese a Campu 'e Luas o le mie occasionali e fugaci salite a S 'Aspru stessa, ma finora è mancato il motivo per un più intenso rapporto diretto.

Oltre i saluti iniziali, nei settori di lavoro, il primo incontro plenario, assembleare, è a pranzo venerdì, presidente Paolo Manconi. Per dire in breve il motivo della visita. Bis a cena, la sera, presidente Sandra Buondonno. Questa seconda circostanza mi è propizia per un discorso di rinforzo un po' didascalico ma credo non inutile, in risposta al nuovo benvenuto di Sandra. Per ricordare ai ragazzi la collocazione di S'Aspru, di cui essi sono gli amministratori-lavoratori, all'interno della ormai ventennale vicenda del movimento comunitario dell'Isola, non soltanto di Mondo X, ma con Mondo X apripista: due anni dopo San Mauro, che è la punta avanzata, sempre senza una lira di denaro pubblico in cassa, creatura di quelli che fanno soltanto perché avvertono il dovere di farlo.

Poi a dire delle "comunità di vita", nel confronto con quelle altre cosiddette strettamente "terapeutiche". E qui a specificare che coloro che, con una certa enfasi, si sogliono definire appartenenti alla fascia dei "volontari" altro non sono che una parte (invero talvolta non riconosciuta se non con parole rituali) della popolazione comunitaria: bisognosi anch'essi forse più di prendere che di dare.

E infine a dire che la storia delle comunità, che pur si vorrebbe scrivere, è destinata ad essere, inevitabilmente, storia parziale, perché c'è sempre una storia immateriale che non può essere fissata sulla carta, ed è la storia più vera, e profonda, dei singoli prima ancora che del gruppo d'appartenenza: quella che segna il passaggio, ponderato e temerario insieme, da uno stato di consapevolezza, e individuale e sociale, ad un altro. Mancano i misuratori ma è qui la verità. Se ciascuno potesse e volesse dire di sé, ecco, si collezionerebbero i materiali per una grande storia da narrare, ma con un vocabolario che ancora non c'è e non potrà mai esserci, perché, è il linguaggio riflessivo, e personale, di Domineddio. Lo apprenderemo anche noi, un giorno, nella valle di Giosafat.

E il pensiero va poi a quelli che di S'Aspru sono stati abitatori attivi e creativi, talvolta sofferenti ma sempre generosi, e che il loro talento riscoperto non hanno potuto, per crudo destino di natura, metterlo a frutto. Spazzati via dalla malattia, essi sono però icone d'acciaio dentro il cuore di chi li ha incontrati. Ed essi, in modi che ci sfuggono, in forme altre non meno reali però di quelle conosciute, partecipano ancora, protettori necessari, alla grande impresa del frate francescano: di quel seguace dell'Assisiate che è uno degli uomini più notevoli della Sardegna civile del XX secolo, e anche di questo nuovo appena agli albori. Grande uomo, grande per intelligenza e cultura, spiritualità ed esperienza, vigore progettuale e abilità organizzativa, dentro un saio di povertà.

I "miei" repubblicani di S'Aspru

Chi li ha incontrati, giusto alla vigilia del ventesimo compleanno della comunità - e li ha trovati impegnati nelle attività lavorative correnti e in quelle straordinarie in vista delle celebrazioni (sabato 4 sono arrivati almeno due decine di giovani e adolescenti della parrocchia sassarese di Cristo Risorto, affidata a don Mario Simula, e tutti hanno lavorato sodo e di mattina e di sera), e poi anche nella ricreazione, nelle pause dei pasti, nei momenti apposta programmati per i colloqui personali da fissare sul nastro magnetico - li ha chiamati, i ragazzi di S'Aspru anno del Signore 2002, «belle persone».

Seduto ai piedi del nuraghe silighese - quasi quattromila anni di storia - l'ospite che non vuole essere tale, ma uno di casa, cerca di tradurre le sue emozioni in pensieri, in ragioni e riflessioni. Gli viene facile, per il lungo allenamento che nessuno neppure immagina nel suo lungo corso, da quella raccolta di confidenze nel carcere fra i peggiori d'Italia, di giovani tossici e sieropositivi maestri e vittime d'ogni sofferenza.

Ideale foto di gruppo. Non serve l'enfasi. E non c'è infatti. Si sa che non mancano i malesseri, anche nei giorni della preparazione dell'evento da celebrare. Ma si tocca la sincerità, ed essa è la cifra che rivela la qualità delle persone. Che strappa per esse il rispetto, e la considerazione, e la cordialità, e l'affetto anche. Perché non ti puoi imbozzolare nel fortilizio di un osservatorio supposto neutro, e invece ti cali, per legge stessa di natura, in una medesima condivisa umanità.

Va detto così: quella incontrata è l'umanità dello scandaglio più intimo, e degli obiettivi per il domani, l'umanità che cerca i modelli, che sperimenta un senso sociale capace di riempirti l'esistenza, di appagare cioè il bisogno di relazionare, del "camminare insieme", che scopre nelle tavole dei pronomi la superiore dignità del "noi".


Anche questa volta, con molto molto affetto e sempre tanta ammirazione, la redazione di Giornalia invia a padre Salvatore Morittu, i suoi migliori auguri di pieno ristabilimento. Andrea Giulio Pirastu 


Fonte: Gianfranco Murtas
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