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Gianfranco Murtas

Bruno Fadda, dieci anni fa l’addio del leader autonomista e gran maestro onorario del Grande Oriente d’Italia

La Massoneria sarda e i suoi protagonisti-testimoni nel presente

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di Gianfranco Murtas


Fadda il medico, Fadda il politico - L’esperienza de “il Risveglio autonomista” e del Maps - Un ripasso di storia (o di storia delle minoranze politiche) - La confluenza nel Partito Repubblicano Italiano - I nuovi turni elettorali, le nuove prove congressuali - Dirigente di partito, candidato sempre - La nobile fatica in Massoneria - Per l’indimenticato titolare della sua loggia - Dalla Enrico Fermi un concerto per l’Admo, dall’interloggia il convegno sull’Alzheimer – Libera Muratoria e politica, tabù o liberazione? - Il calendario di lavoro post-2004 - Parlando di Giordano Bruno, di Conti e del “cor unum” - Un altro ventennale: quello della Lando Conti n. 1056 - Per il gemellaggio fra la Alberto Silicani cagliaritana e la Giovanni Mori carboniese - Una serata tutta mazziniana - I compleanni di altre logge, i tributi alla memoria del Fr. Cusino - Addenda


Il 18 ottobre del 2009 – dieci anni fa – scomparve, dopo dolorosa malattia e in età capace ancora di lucida progettualità, Bruno Fadda, medico, uomo politico e alto dignitario della Massoneria. Ecco i suoi tre profili pubblici sui quali vorrei fermarmi per onorarne la memoria, la buona memoria.

Fu per due decenni e oltre presidente dell’Ordine dei medici della provincia di Cagliari (con incarichi anche nazionali e comunitari relativi agli interessi professionali della categoria), dirigente del Partito Repubblicano Italiano dopo lunghi trascorsi nel sardismo (al tempo, prima della svolta nazionalitaria e indipendentista, di incorrotta sensibilità mazziniana e cattaneana) e gran maestro onorario del Grande Oriente d’Italia, la maggiore e storica Comunione massonica nazionale. La stampa regionale accolse allora numerosi annunci funebri e partecipazioni al lutto tanto più da parte delle logge e in genere della Fratellanza liberomuratoria isolana che pochi giorni dopo il suo passaggio all’Oriente Eterno – il 4 novembre – lo celebrò con una apposita e solenne tornata funebre.  

In tempi di rapide dimenticanze (paradossalmente anche in Massoneria, società “di tradizione” per eccellenza ma essa pure colpita dall’effimero dei tempi nuovi!) è credibile – non ne sono informato bene – che perfino la sua loggia, la Lando Conti ove egli fu iniziato all’inizio del 1988 e che guidò con autorevolezza negli anni ’90 inoltrati e “protetto” per altri due lustri, non l’abbia ricordato: non l’abbiano fatto i suoi dignitari distratti né quant’altri dalle Colonne – come usa dirsi con perfetto lessico simbolico – che pure alla sua scuola, alla scuola di Bruno Fadda cioè, sono maturati.

E invece bisognava, invece bisogna. Direi non soltanto in Massoneria, ma anche nella cosiddetta società civile, nell’Ordine dei medici cioè – ne dirò il faticoso impegno nella categoria –, e in quella politica e istituzionale che per quattro decenni l’ebbe fra i suoi protagonisti: segretario provinciale sardista dal 1965, successore di Armando Corona passato allora in minoranza; consigliere regionale eletto nella sesta legislatura e subentrato nella settima a Giovanni Battista Melis (deceduto nel luglio 1976), consigliere e assessore comunale a Cagliari nella 6.a consigliatura di via Roma (dal 1970 cioè), dirigente di partito, promotore del Movimento Autonomista Popolare Sardo confluito poi nel PRI, del quale ancora fu per tre lustri fra i leader nei diversi ordini territoriali della dirigenza, ecc. ed infinite volte, dal 1965 – meno che trentenne – candidato elettorale suffragato con migliaia di preferenze per stima personale e credibilità pubblica.

Accompagnai presso la sobria sede del suo riposo al civico di San Michele, lo scorso anno e altre volte, numerosi Liberi Muratori cagliaritani che avevano risposto all’invito di partecipazione loro (e a tutti) rivolto. Fu un momento commovente, si onorava lui e si onoravano, quel giorno, numerosi altri massoni che avevano meritato, tutti in egual modo, il riguardo della gratitudine: Hoder Claro con Efrem e Swanyld Grassi, Francesco con Fides e Pino e Bruno e Anita Bussalai, Vincenzo Tuveri, Alberto Silicani, Armando Corona, Piero con Lidia Zedda, Ninni Solinas, Gianfranco Porcu, Paolo Carleo, Giulio Lecca, Roberto Durzu, Nino Mancini, e ancora Giovanni Ciusa, Agostino Giardina, Arnaldo Cornaro, Mario Cherchi, Ghigo e Lia Galardi, Virgilio Lai, Paolo Spissu, Benvenuto Tore, Gianfranco con Giorgio Cusino, Chicco Ganga, Raffaele Salvago, Giuliano Cocciarficco, Luciano Rodriguez, Nello Zirone, Vindice Ribichesu, Tore Tuveri, Renato Ferrara, Eligio Orrù, Antonino Campus, Aldo Fossataro, Emilio Fadda, Leo Ambrosio, Lello Puddu… Uomini della politica e dell’associazionismo, delle professioni e dell’imprenditoria, della medicina e del giornalismo, dell’amministrazione e della marina, dell’università e dell’editoria, del commercio e della ferrovia, della banca e dell’arte, così come avrebbero potuto essere rappresentati nei versi descrittivi della loggia Madre di Rudyard Kipling nel Punjab … Agnostici e credenti, cristiani di varia sensibilità e confessione, coltissimi e di medie letture ed esperienze, progressisti e moderati, repubblicani e monarchici, sardisti regionalisti e liberali ministeriali, socialdemocratici saragattiani e comunisti umanitari, socialisti e radicali, insomma tutti apostoli, nella nostra dimensione di isolani, della composita storia nazionale. Meglio: tutti interni a quel grande disegno ideale che chiamerò patriottico e che era mosso, nella diversità dei motivi e delle modalità, dai grandi del risorgimento storico: Cavour e Mazzini, Vittorio Emanuele e Garibaldi, e s’era sviluppato nelle complessità dell’era giolittiana superando anche le asprezze della grande guerra e fermandosi soltanto davanti alla volgare e prepotente rivoluzione fascista. Campioni di umanità, portatori di un senso universale di umanità rilanciato nella stagione dell’antifascismo di minoranze e nelle fatiche ricostruttive del dopoguerra, fedeli tutti – nessuno escluso – agli ideali costituzionali della Repubblica, quelli di libertà e democrazia, di giustizia sociale e solidarietà civica. 

Con Bruno Fadda, nel 2009, migrarono nel non tempo, nel Paradiso sperato dai cristiani, nelle Valli armoniche immaginate dagli umanisti, altri illustri professionisti, funzionari ed imprenditori che furono massoni a Cagliari: Tonino Tocco della loggia Sigismondo Arquer, Amedeo Nugnes della Giorgio Asproni, Mariano Marongiu della Hiram, Fabio Maria Crivelli della Francesco Ciusa, Carlo Mascia della Risorgimento, il gran maestro emerito Armando Corona, forse anche altri ancora. Tutti testimoni del loro tempo, negli ambiti particolari frequentati per mestiere o cimento pubblico: mai come soldati di una corporazione chiusa ed esclusivista, no, piuttosto come missionari – per obbligo di coscienza – di intrecci, di relazioni dialogiche ed operative per il bene della società generale. Spendendo talenti particolari, offrendo competenze e soccorsi materiali, nutrendosi a loro volta delle ricchezze di una comunità civica che delle diversità è specchio e galleria.

Nel grande, perenne dibattito circa la missione pubblica, oltre dunque la stretta economia associativa o fraternale, della Libera Muratoria nella società moderna, quei massoni cagliaritani hanno donato il loro contributo che è rimasto per il più documentato anche in lavori stampati, prova provata di percorsi individuali e collettivi, morali e fattuali, efficaci, secondo le regole della riservatezza e insieme però della esemplarità.

Onore – dicono coloro che avvertono in sé il sentimento della gratitudine per i lasciti ricevuti e quello della responsabilità davanti ai doveri dell’oggi, per la migliore trasmissione ai futuri – onore a chi ci ha preceduto nelle fatiche della vita, direi anche nel dolore e, in molti casi, nella liberazione (!) della morte… Recentemente i profili biografici di numerosi di loro estratti dall’epoca più prossima, ma anche da quella lontana e perfino lontanissima, dai solchi postrisorgimentali e d’inizio Novecento cioè, sono stati rilanciati alla condivisa riflessione attraverso alcuni roll up (e/o slide e fascicoli a stampa) che, a palazzo Sanjust di Cagliari, ne hanno evocato, con parole e con immagini, appunto i percorsi di vita e l’ultima stagione.

Nei prossimi giorni, giusto nel cinquantesimo della iniziazione (avvenuta a Carbonia) di Armando Corona, destinato ai fasti e ai pesi della gran maestranza della Comunione giustinianea negli anni ’80, con la sua memoria e quella degli altri che, dalla Sardegna, lo avevano preceduto in servizi apicali della stessa Obbedienza e/o del Rito Scozzese – Ferdinando Ghersi, Leonardo Ricciardi, Gustavo Canti, Alessandro Tedeschi, Guido Laj, e ancora Flavio Multineddu e Mario Giglio (essi membri della giunta esecutiva) – un’altra edizione dei prodotti memoriali celebrerà anche Bruno Fadda.

Fadda il medico, Fadda il politico

Gran maestro onorario del GOI dal 2004, Bruno Fadda meritava riguardi e con questo mio scritto anticipatore di altre iniziative, venuto come d’urgenza per adempiere ad un personale dovere morale, vorrei fissarne coram populo almeno alcune tracce di memoria, di buona memoria. Naturalmente questo mio elaborato riservato all’web, punterà in via eminente al suo profilo massonico, senza peraltro prescindere dalle altre sue pubbliche esperienze sia professionali che politiche. Esse anzi meriterebbero – da parte dell’Ordine dei medici e dei repubblicani e dei sardisti rimasti… a crederci ancora davvero! – nuove messe a punto biografiche, sul piano propriamente storiografico e di testimonianza. Lancio la proposta…

Cagliaritano classe 1926, patologo clinico e primario del laboratorio di analisi chimico-cliniche e microbiologia dell’Ospedale Marino del capoluogo, nonché consulente dell’INPS in materia previdenziale e perito del Tribunale Civile di Cagliari, per ben 22 anni – dal 1969 al 1982 – Fadda fu presidente dell’Ordine dei Medici della provincia di Cagliari e per tre lustri, dal 1971 al 1985, consigliere della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici. In tale ambito ricoperse vari incarichi di vertice ed ebbe ruoli anche di rilievo continentale: per due mandati fu segretario nazionale della Federazione e direttore dei suoi organi di stampa, rappresentando, congiuntamente agli organi ministeriali, la professione medica italiana nel Comitato Permanente dei Medici della CEE e collaborando alla stesura delle norme comunitarie sulla libera circolazione del personale sanitario e circa l’unificazione dei corsi formativi professionali e l’equipollenza dei titoli di studio. Per un quadriennio ricoperse altresì la carica di vice presidente dell’Unione Europea dei Medici Specialisti, e per più lungo tempo fu anche consigliere dell’ENPAM e dell’INAM, sino allo scioglimento per l’avvento del Servizio Sanitario Nazionale.

Spirito positivo e pragmatico, ma anche… stratega nato, Bruno Fadda impegnò il meglio delle sue energie, cominciando in età ancora giovane e per un buon trentennio, anche in politica: dapprima nelle file del Partito Sardo d’Azione, di cui fu, come detto, segretario provinciale a Cagliari e dirigente regionale (nel 1974 vice segretario politico con Michele Columbu deputato-segretario), nonché come consigliere regionale, e poi nel Partito Repubblicano Italiano, che con il PSd’A aveva stretto per lunghi anni – addirittura dalla fondazione nel 1921! – rapporti di fraternità e alleanza politico-elettorale.

Più precisamente: segretario provinciale del Partito Sardo dal febbraio 1965, quando aveva rilevato la responsabilità da Armando Corona divenuto intanto assessore provinciale con delega all’Assistenza psichiatrica (allora, già profilandosi il confronto/scontro fra la corrente “coroniana” e quella maggioritaria, egli aveva cercato inutilmente di farsi “ponte” fra i due schieramenti); membro dell’esecutivo regionale all’indomani del XIV congresso del PSd’A svoltosi a Cagliari nel febbraio 1968 nella presa d’atto della intervenuta rottura dell’alleanza con il PRI, causata dalla mancata sconfessione da parte del vertice del sardista della scalata nazionalitaria/indipendentista di Antonio Simon Mossa con evidenti conseguenze sugli indirizzi generali del partito.

Ancora: consigliere regionale nell’Assemblea al tempo in piazza Palazzo, dal 1969 al 1974 (con i due fratelli Melis – Titino e Mario in gruppo con lui) –, come detto vice segretario politico regionale sardista dopo il congresso del febbraio 1974, che segnò il passaggio storico dalla linea “centrista” o ecumenica di Titino Melis a quella “separatista” di Columbu; nuovamente consigliere regionale, ma su posizioni all’inizio indipendenti, quindi da esponente del PRI, dal 1976 al 1979, in subentro dello stesso anziano on. Melis e quasi suggellando – dopo la scomparsa anche di Camillo Bellieni e Anselmo Contu – la fine del generoso sardismo “italianista”.

Fu un passaggio veramente importante quello congressuale del 1974, importante s’intende nella lunga e onorata storia del sardismo: Fadda, al tempo anche consigliere comunale di Cagliari (in abbinata sardista ancora con Titino Melis) dal 1970 e fino al 1975, e con esperienza di un anno come assessore all’Igiene e sanità nella giunta Fanti (fra 1971 e 1972) si schierò, nel dibattito congressuale e nella conta finale delle mozioni, con Mario Melis (con lui e con il maggiore dei Melis, l’eterno Titino appunto) contro la linea di Michele Columbu. La linea, rileva dirlo subito, che avrebbe portato, negli anni a seguire, a un progressivo radicalismo etnicista e nazionalitario del partito (il quale, per qualche tempo, prese a tenere i suoi congressi in lingua sarda marcando in chiave oppositiva ogni tematica: dal bilinguismo appunto alle servitù militari, dalla zona franca alle competenze statutarie, ecc.). 

L’esperienza de “il Risveglio autonomista” e del Maps

Proprio a questa fase è da ricondursi una esperienza pubblicistica che Fadda promosse insieme con Fernando Pilia e un gruppo di amici e dirigenti della sezione di Cagliari intitolata ad Alma Sanna Delogu (“Nuova Autonomia”): uscì allora, e per cinque numeri – dal novembre 1973 all’aprile-maggio 1974 – il Risveglio autonomista, periodico “di cultura, di informazione e di lotta sardista”. 

Ormai dal 1969 aveva sospeso le pubblicazioni la storica testata giornalistica del PSd’A, Il Solco. Fu quello, dunque, un segno di buona volontà che puntava a una nuova vitalità, dialettica e concretista, dei ranghi sardisti. Con Pilia direttore responsabile, erano coinvolti nel comitato di redazione Bruno Fadda innanzitutto e con lui Giorgio Cusino, Eliseo Mocci, Gianni Scampuddu e Michele Schirò.

Secondo un’antica prassi di rimando didascalico, il giornale presentava in ogni numero un paginone (talvolta in raddoppio) dedicato all’ “antologia del pensiero sardista”, invero inglobando in esso un arco amplissimo di autori dell’Otto come del Novecento: da Giuseppe Mazzini (cui venne dato di aprire la sequenza e con bis e ter) a Camillo Bellieni, da Giovanni Battista Tuveri e Raimondo Carta Raspi a Gavino Fara e Luigi Battista Puggioni, da Alberto Lamarmora ed Ettore Pais a Francesco Fancello e Piero Soggiu, da Attilio Deffenu e Antonio Gramsci a Giustino Fortunato e Giovanni Battista Melis, da Pietro Mastino ed Emilio Lussu ad Antonio Simon Mossa ed Antonio Canu. da Luigi Oggiano, Salvatore Sale ed Anselmo Contu a Michelangelo Pira, Nicola Valle, Felice Solinas e Bartolomeo Sotgiu, da Michele Columbu a Batore Corronca, … dai deliberati congressuali del secondo dopoguerra alle esposizioni di Sardegna Libera del 1965… (E naturalmente per l’attualità non mancavano i contributi, oltreché di Fernando Pilia, dei redattori Cusino e Scampuddu, di Angelo Dettori – in limba – e Leo Neppi Modona, di Piero Ballicu e Michele Schirò, di Walter Corrias, Azeglio Murru ed Eliseo Mocci, di Emilio Ferru, Giovanni Moi ed Aquilino Cannas… naturalmente con il sapido condimento di testi poetici e canzoni della miglior tradizione, a partire da “Procurade de moderare”…).

Sostenuto per il grosso proprio da Bruno Fadda, Il giornale puntava a valorizzare la proposta politica antiseparatista dello stesso Fadda contro lo sbocco che si dava ormai per certo della conquista della segreteria da parte della corrente massimalista. Fadda era presentissimo in ogni numero, firmava articoli lunghissimi sui temi più vari, dimostrando sempre di aver studiato e di saper argomentare: “S.O.S. per le miniere”, “Pastorizia ultima frontiera”, “Turismo nell’isola occasioni perdute”, “Una cambiale da pagare”, “Tradito l’impegno per la legge 509. Ridotto da 1.000 a 600 miliardi il finanziamento”… A sé riservò anche una pagina di “corrispondenza con i lettori”, e scriveva allora sulle “delusioni dell’Autonomia”, sul “separatismo”, sul “perché il Partito sardo”, sui “pacchi, pacchetti e imbrogli per il Sulcis ieri come oggi”, sull’ “alluvione a Teulada”. E ancora: su “Burocrazia regionale, acqua nei mulini assessoriali”, “Bando alla demagogia infruttuosa”… Richiamando l’articolo 1 dello statuto del PSd’A concludeva una certa risposta: «Dal che la gentile lettrice può inequivocabilmente desumere che noi non perseguiamo obiettivi indipendentistici».

La conclusione all’apparenza unitaria dei lavori congressuali non mancò di rivelare, ben presto, importanti divaricazioni nella interpretazione dello stesso lessico utilizzato per la mozione finale acclamata dai delegati. E infatti, un anno o poco più dopo quell’evento, facendosi colpa a Fadda e ai suoi amici di non aver preso parte con l’attesa energia e convinzione alla campagna elettorale per il rinnovo amministrativo di comuni e province (e, sotto sotto, di aver tenuto un atteggiamento di distacco dalla segreteria Columbu cui a suo tempo essi non avevano negato il voto), giunse un provvedimento punitivo di sospensione dalla militanza attiva.

Il deliberato, non dei probiviri ma dell’organo politico, entrò nella cronaca delle vicende del partito insieme con la “lettera ai sardisti” – tutta in chiave velleitariamente indipendentista («miriamo alla costituzione della repubblica dei sardi, una repubblica democratica e tutta amministrata dal popolo sardo sulla vita del socialismo al quale immancabilmente deve tendere un popolo di lavoratori») – da parte del segretario Columbu e con un’inchiesta giudiziaria circa presunti traffici eversivi di collegati gruppi separatisti occultamente finanziati. E di più: il partito era proprio allora colpito dai due lutti sentimentalmente assoluti cui ho fatto prima cenno, per la morte di Camillo Bellieni e per quella di Anselmo Contu.  

La corrente di Fadda prese la forma del Maps, del Movimento autonomista popolare sardo cioè. Dal quale sarebbe partita la seconda fase della storia politica del leader perché egli, come prima voce del Maps appunto, sarebbe tornato in Consiglio regionale e, sempre come prima voce del Maps, avrebbe siglato le intese con il Partito Repubblicano Italiano nel quale formalmente sarebbe confluito nel 1978, divenendone successivamente fra i massimi esponenti regionali (e anche consigliere nazionale).

Le biografie degli uomini politici sono questo impasto di esperienze ora elettorali ora di rappresentanza istituzionale, di dirigenza e conta congressuale… Così anche la storia politica di Bruno Fadda esprime tutta la poliedricità delle sue presenze sulla scena pubblica. Egli era noto, in quegli anni che incrociano i piani attuativi della Rinascita con le recrudescenze del banditismo, il primo sviluppo dell’industria turistica e insieme dell’industria petrolchimica con il conseguente fortissimo, allarmante condizionamento della libertà di stampa, nell’ambiente vario e complesso dei partiti isolani così come in quello delle assemblee elettive frequentate – il Consiglio regionale e quello comunale del capoluogo –, per la sua capacità di lavoro, proprio per i ritmi intensi della sua attività, per la propensione all’ascolto delle tesi opposte alle sue, per l’orgoglio con cui prospettava le sue, argomentandole sempre nei nessi virtuosi fra la cornice ideale ispirativa e la concretezza del loro dipanarsi.

Un ripasso di storia (o di storia delle minoranze politiche)

Ricostruisco queste pagine di microstoria politica isolana dai fascicoli del mio archivio. Bruno Fadda, in un incontro confidenziale del 2006 o 2007, mi anticipò la volontà di conferirmi le sue carte, cosicché un giorno io avessi potuto riepilogare documentalmente le vicende in specie del Maps, così come avevo fatto, in più occasioni e in più sedi, per la scissione sardista del 1968. Purtroppo la malattia e la morte sopravvenuta impedirono la pratica attuazione del proposito.

Eletto quella prima volta del 1969, nell’Assemblea legislativa dell’autonomia regionale, con 3.981 preferenze, quasi bissò cinque anni dopo, nel 1974, all’indomani del difficile congresso che l’aveva visto sconfitto, ma stavolta, per l’arretramento elettorale complessivo del PSd’A, non bastarono i 3.061 consensi ricevuti: dunque l’accesso al Consiglio regionale avvenne per lui con due anni di ritardo, appunto per subentrare – in quanto primo dei non eletti – all’on. Titino Melis, leader storico del Partito Sardo e il solo eletto in quella gara.

Attraverso numerosi passaggi di conflitto interno al Partito Sardo, alcuni dei quali sopra richiamati, le sue posizioni s’erano fatte infine incompatibili con gli indirizzi politici generali assunti da una dirigenza (autoproclamatasi “nazionale” e non più “regionale”) interessata ormai a farsi centro di coagulo di diverse formazioni attive nell’area sparsa del cosiddetto neosardismo socialistoide, da Su Populu Sardu a Città-e-campagna: la “freddezza” esibita in occasione del turno elettorale amministrativo del 1975, la formalità sanzionatoria dell’estate successiva, la formazione dei nuclei territoriali del Movimento autonomista popolare sardo introdussero così ad una nuova fase di vita del sardismo organizzato e, nel medesimo contesto, accesero nuove possibilità di militanza politica a Fadda ed ai suoi. 

Si guardò attorno, il Maps di Fadda, e dovette mettere a fuoco quanto spazio, e dove, poteva essergli riconosciuto sulla scena magna della Sardegna degli anni ’70 ed ineunti ’80… Incombendo il rinnovo anticipato delle Camere mancò anche il tempo per una disamina serena ad approfondita dei consentimenti con le altre forze della sinistra storica, quella di matrice social-riformista e quella di matrice laico-riformatrice. Si fecero allettanti i socialisti, che l’anticipo delle urne avevano voluto (mettendo in crisi l’ottimo bicolore Moro-La Malfa e segnando, con la sconfitta del loro partito, il ricambio accelerato fra Francesco De Martino e Bettino Craxi), ma sarebbe stata, quella della prossimità ai socialisti, una esperienza da archiviare presto.

Antichi rapporti di fraternità sardista esistevano con i repubblicani, ed ora venivano ripresi e intensificati perché Bruno Fadda ed Armando Corona, in Consiglio regionale, potevano concordare, nelle rispettive autonomie, azioni concordi e anche una efficace distribuzione del lavoro in seno al gruppo misto. Più ancora la cosa parve funzionare quando, all’inizio del 1977, il leader repubblicano entrò nella giunta di unità autonomistica presieduta dall’on. Pietro Soddu. (In calce è una sintesi della attività consiliare di Bruno Fadda fra il 1976 e il 1979).

L’adesione al PRI da parte dell’ex deputato Cesare Pirisi (cui sarebbe seguito, a qualche mese di distanza, quella del socialista Giannetto Visentini, già presidente della provincia di Nuoro, e preceduta dai socialdemocratici capeggiati da Ignazio Cella e Franco Farina), parve incoraggiare o favorire nuovi ingressi. Vide, Bruno Fadda, come i suoi ex compagni sardisti che avevano lasciato il PSd’A nel 1968 fossero per larga parte la dirigenza repubblicana in carica: Ruju e Mele e Merella e Razzu a Sassari, Puligheddu e Maccioni e Marletta e Marcello con Massaiu e Pau e Catte a Nuoro, Uras ad Oristano, Corona naturalmente, e Tuveri e Racugno e Pinna e Frongia e Musio a Cagliari…

Al XVI congresso regionale repubblicano convocato a Cagliari il 6-7 novembre 1976 si disse fosse possibile e imminente la confluenza del Maps. Alcune battute del discorso del segretario Lello Puddu sembrerebbero esser state pensate a chiarire e qualificare il campo proprio in quella previsione: «Come avevamo lucidamente previsto nel 1968, - dichiarò il segretario – la tendenza separatista ha prevalso sull’antica vocazione autonomistica del Partito Sardo che oggi non rappresenta altro che qualche irriducibile clientela e qualche gruppetto di farneticanti lo Stato Sardo, alimentato da una specie di tropical-comunismo in cui si dimenano motivi castro-guevariani, basco-catalani e islamico-mediterranei conditi con un mao-separatismo quasi razzista dove non sai mai discernere il paradosso fine a se stesso dalla precisa proposta politica. Tuttavia dobbiamo dare una risposta alle tesi che confusamente vengono dal PSd’A o da gruppi ad esso vicini, non perché esse trovino largo spazio nel dibattito politico quanto per meglio identificare la nostra chiara e mai discussa posizione autonomistica e il senso profondo di attaccamento che sentiamo verso la nostra Isola.

«Repubblica Sarda. Per quanto la tentazione separatista abbia trovato spazio nei dibattiti del PSd’A, essa è stata storicamente ridotta in condizioni di minoranza. Chi dunque vuole il separatismo, non rappresenta né la tradizione politica né quella ideologica che ha guidato la storia del Partito Sardo. La richiesta di una espansione delle prerogative autonomistiche fino alla realizzazione di uno stato indipendente non tiene conto della necessità di mettere a profitto completamente, almeno fino alla verifica della sua inutilità, delle possibilità di crescita autonoma contenute nello Statuto sardo. Se non siamo capaci, cioè, di esprimere una diversa classe dirigente con l’autonomia che abbiamo, perché dovremmo averne una migliore con l’autonomia totale? 

«Zona Franca. La creazione di una zona franca in Sardegna appartiene, questo è vero, ai punti programmatici del sardismo. Ma i periodi erano diversi: si viveva in tempi di protezionismo doganale e le regioni meridionali scontavano sulla loro pelle le condizioni di privilegio delle industrie settentrionali. Per sfuggire al progressivo impoverimento, il meridionalismo democratico propose la caduta delle barriere che consentisse il libero commercio dei prodotti in più vaste aree. Oggi che le barriere cadono, bisogna continuare in questa direzione, non erigendone altre tra la Sardegna e l’Italia, come accadrebbe con la zona franca, per farci controllare dalla dogana ogni volta che sbarchiamo a Civitavecchia. Una “tangerizzazione” dell’Isola, a facile strumento del grande traffico del contrabbando e dello smercio della droga, allontanerebbe la Sardegna dalle possibilità di una ripresa economica non artificiale.

«Lingua Sarda. Terzo tema portato avanti dai separatisti è la diffusione, lo studio, l’insegnamento e l’introduzione della lingua sarda come seconda lingua della nostra vita pubblica. La proposta, quella riguardante la diffusione, lo studio e l’insegnamento ci trova consenzienti perché attiene ad un fatto di tutela delle caratteristiche peculiari della nostra comunità isolana e come tale va inquadrata. Ma quando la lingua e l’uso di essa nei pubblici rapporti vuol significare il segno distintivo della nostra nazionalità che poi deve essere tutelata dallo Stato ecc., allora non siamo d’accordo, per tacere della necessità di stabilire quale è la lingua che dovrebbe essere nel nord e nel sud della Sardegna…».

Quel che restò in silenzio, tanto nelle relazioni introduttive quanto nel dibattito, fu la mancata confluenza –forse soltanto rinviata nel tempo – del Maps. Filtrarono notizie di contatti e anzi di vere e proprie trattative che, evidentemente, dovevano ancora essere perfezionate. Sarebbero entrati nella direzione repubblicana, a confluenza compiuta, insieme con Fadda anche Gianni Casale, Emilio Ferru, Giuliano Massazza, Giovanni Piretto, Gianni Scampuddu. S’aggiunsero i nomi di Francesco Cuccu, Salvatore Merche, Giuseppe Santarelli, Renzo Ibba, Luciano Massenti, Francesco Zucca e Giovanni Demontis. 

A Puddu, ormai da vari mesi presidente dell’Ente Autonomo del Flumendosa, subentrò alla segreteria, per un anno quasi, Salvator Angelo Razzu e, dalla fine del 1977, Mario Pinna. E fu lui, segretario regionale repubblicano di giovanili trascorsi sardisti, a condurre con Armando Corona, le nuove trattative per portare il Movimento di Bruno Fadda nel PRI. Il che avvenne al congresso dell’Edera del 2 aprile 1978. Presidente della commissione speciale Trasporti e lavori pubblici del Consiglio regionale, Fadda – come detto – da ormai quasi due anni coordinava il suo lavoro nell’Assemblea con Corona. 

Proprio in forza di questi collegamenti, già il 12 febbraio 1978 egli, con alcuni dei suoi amici e con Corona, Puddu e Pinna, era stato ricevuto a Roma dall’on. Ugo La Malfa, presidente repubblicano. Al termine dell’incontro, ricordando che l’ispirazione autonomista del Maps rifuggiva da ogni suggestione separatista, un comunicato esplicitò «la completa adesione del Movimento sardista e autonomista alla cultura, al pensiero sociale ed economico del PRI» esprimendo anche «apprezzamento per il grande valore morale della battaglia che il PRI conduce senza soste da sempre per il risanamento della crisi nazionale». (Non si dimentichi che, sulla grande scena dell’Italia, quello era il tempo del terrorismo più efferato ed a repliche permanenti e che a Roma, ancora per qualche tempo, reggeva, non senza difficoltà, il governo di solidarietà nazionale). 

Nel corso di un precedente incontro (svoltosi a Cagliari ai primi di dicembre 1977) fra le due dirigenze politiche si erano definiti i termini politici della confluenza e in un comunicato si era concordemente considerato come «preliminare ad ogni fattiva azione politica» [l’esigenza di «rivalutare l’autonomia in termini concreti, sia come strumento di governo dell’economia isolana nell’attuale grave stato di crisi, sia come mezzo di partecipazione reale alle scelte nazionali in ordine ai problemi emergenti e indifferibili del Mezzogiorno».

La confluenza nel Partito Repubblicano Italiano

Centrale era il passaggio politico-ideologico che giustificava l’intesa: «La considerazione dell’autonomia trova come punto di riferimento la peculiarità dell’originaria esperienza sardista che per il PRI e per il Maps hanno valore storico ed attuale se concepiti, al di fuori di ogni velleitarismo separatista, come fatto partecipativo e di democrazia sostanziale dello Stato. La attualità della linea politica del PRI che sul piano nazionale e regionale va sostenendo l’importanza del ruolo di richiamo e di stimolo per le grandi forze politiche sulla gravità della crisi economica, sociale e istituzionale, trova riscontro del tutto positivo nella valutazione del Maps». Pertanto – proseguiva il documento – «il PRI ed il Maps ritengono fondamento di ogni nuovo discorso sul governo dell’economia sarda sia la riforma della Regione sia il mantenimento delle attività industriali esistenti. Le scelte in favore dell’agricoltura e degli altri settori produttivi impongono la necessità di adeguare l’organizzazione sociale ai bisogni reali delle popolazioni».  

A solennizzare l’atto di confluenza intervenne, alla grande assemblea congressuale in svolgimento alla Fiera di Cagliari, lo stesso segretario politico nazionale repubblicano Oddo Biasini. Presentando l’evento, La Voce Repubblicana evidenziò tanto l’avversione dei sardo-popolari alla linea separatista ormai ampiamente maggioritaria nel PSd’A quanto l’efficacia dell’azione politica ed amministrativa degli esponenti del Movimento nelle province di Cagliari e di Oristano.

Aprendo i lavori, fu Armando Corona a rammentare il comune impegno da lui profuso insieme con Bruno Fadda nelle diverse attività del Consiglio regionale e la comune matrice sardista e a dare quindi lettura di un messaggio inviato dall’on. La Malfa: «Tenete alto cari amici sardi con fermezza l’ideale dell’autonomismo democratico e del sardismo. Esso è stato il sostegno più importante nei giorni difficili della dittatura, lo sarà ancora in questi giorni altrettanto duri della Repubblica». 

Numerosi gli interventi degli vecchi e dei nuovi repubblicani: Gabriella Martignetti e Mario Pinna, il consigliere comunale di Sestu Emilio Ferru (con lui erano anche altri amministratori locali di provenienza Maps, da Leonida Zuddas sindaco di Villasimius ad Antonello Pilloni sindaco di Nuxis, a Luigi Rivano vicesindaco di Portoscuso), Gianni Piretto responsabile dei giovani del Movimento, Piergiorgio Cadeddu segretario regionale della FGR, Lello Puddu consigliere nazionale, il quale tracciò con brillante efficacia un percorso storico dell’intesa che i repubblicani avevano coltivato con il sardismo fin da prima del fascismo e poi in democrazia, tanto più negli anni della Rinascita.

Nel suo discorso Fadda sottolineò il significato della «unificazione ideologica» appena ufficializzata proiettandola «come fatto di fede e di impegno politico concreto» secondo i valori della tradizione, in cui era da vedere un «fatto rivoluzionario permanente teso al perseguimento dell’autonomia quale strumento insostituibile di crescita difficile e di conquista democratica del popolo sardo».

Le conclusioni furono dell’on Biasini, che valorizzò l’evento cagliaritano nel quadro della irriducibile testimonianza repubblicana «in difesa dello Stato democratico, come l’ancora irrisolta vicenda del sequestro Moro dimostra». 

Giusto una settimana dopo la “solennizzazione” della confluenza si svolse a Porto Torres, all’insegna della celebre frase di Giuseppe Mazzini «Colpevole è quella società in cui un solo uomo cerchi lavoro e non lo trovi», il congresso provinciale di Sassari presieduto dal segretario regionale Mario Pinna che, nel corso del suo discorso, confermò piena fiducia alla giunta Soddu-Corona. Fra gli interventi a seguire proprio quello di Fadda (copresidente dell’assemblea con Alberto Mario Saba ed Antonio Oliva) al suo vero e proprio esordio nella nuova famiglia repubblicana.

Ad un mese soltanto dal ritrovamento del cadavere dell’on. Moro assassinato dalle BR, e cioè dal 14 al 18 giugno, si tenne nella capitale il XXXIII congresso nazionale del PRI, aperto da una relazione del segretario Biasini. Fra I delegati sardi che presero la parola dalla tribuna, riportando la realtà isolana nel contesto nazionale fattosi tanto drammatico, fu con Armando Corona e Mario Pinna anche Fadda. Questa la sintesi del suo intervento: «Il Movimento autonomista popolare sardo, confluito poche settimane fa nel PRI, era sorto nel 1975 da una scissione politica avvenuta nel Partito sardo d’azione, a seguito di un inconciliabile conflitto ideologico e politico che si trascinava da alcuni anni e che aveva come elemento nodale l’interpretazione del sardismo sia nella sua idealità che nei rapporti con lo Stato. In una parola, il Maps sosteneva la piena validità dell’autonomismo federalista che mai aveva messo in discussione l’unità nazionale contrapponendolo alla concezione separatista-indipendentistica emergente nella maggioranza dirigenziale del PSd’A, ma in realtà avulsa dalla coscienza dei sardi.

«Il Maps affermava l’inscindibilità dello Stato repubblicano che proprio nell’autonomia e nel federalismo individua gli strumenti istituzionali atti ad unificare effettivamente gli italiani nella giustizia e nella libertà. E in questo spirito esso ha raccolto, nel suo profondo significato, il messaggio di Ugo La Malfa, recependolo e sostenendolo nella memoria della comune origine politico-ideologica, che si fonda sulla scuola democratico-federalistica della sinistra storica del Risorgimento e sulla presenza rivoluzionaria del movimento dei combattenti sardi…

«Per questo il Maps ha avvertito che il punto di riferimento politico doveva essere l’aggregazione degli autonomisti sardi al PRI. Perché il PRI ha questa capacità aggregante. Lo dimostrano la sua storia di partito che ha sempre saputo arricchire la sua ideologia con fecondi innesti culturali, la pertinenza della sua impostazione politica, il valore delle sue battaglie, specie di quelle che conduce con coerenza e con perseveranza in mezzo ad ostilità provenienti da più parti, il più spesso maldestramente mascherata da interessi generali, ma che invece si rivelano chiusure di carattere particolaristico, quando non elettoralistico».

I nuovi turni elettorali, le nuove prove congressuali

Nella tarda primavera del 1979 – all’indomani della morte di Ugo La Malfa (e con Giovanni Spadolini ministro della Pubblica Istruzione che non mancò di fare un salto anche nell’Isola non soltanto per un comizio nel salone Auxilium, ma anche per un incontro con rettore e senato accademico dell’università) – vennero convocati i comizi elettorali per il rinnovo, in tre turni a seguire, dei parlamenti nazionale ed europeo e del Consiglio regionale. Con i colleghi di partito ed i candidati, Fadda fu impegnatissimo nei suoi giri di propaganda, tanto più nella provincia di Cagliari e nell’Oristanese. (Il PRI avrebbe infine triplicato la presenza in Consiglio, con la conferma di Corona e l’elezione a Nuoro e Sassari di Catte e Demontis),

Assunta da Corona la presidenza del Consiglio regionale, il quadro politico registrò presto, all’inizio quasi della VIII legislatura autonomistica, il passaggio della maggioranza di giunta dal centro-sinistra a presidenza Ghinami (socialdemocratica) alla sinistra aperta ai sardisti con presidenza Rais (socialista), con ciò inducendo a nuove e decisive mosse – chissà se tutte veramente indovinate – la dirigenza dell’Edera. 

Formalizzata infatti, nel marzo 1981, la rinuncia alla presidenza del Consiglio e ripreso dal centro-sinistra il comando politico della Regione (col determinante voto del PRI), in primavera il partito, che già nel dicembre 1979 aveva tenuto il suo congresso in piena tranquillità, riconvocò ad Oristano la platea dei delegati dei suoi oltre tremila iscritti, presente il segretario nazionale – e fra breve presidente del Consiglio dei ministri – Giovanni Spadolini, per decidere nuove strategie e nuovi impegni.

Uscì allora, largamente maggioritaria, la linea Corona-Ruju (del Corona non ancora Gran Maestro di Palazzo Giustiniani ma capo della giustizia interna della Massoneria italiana nonché ancora consigliere regionale), mentre Fadda capeggiò con Lello Puddu e Marco Marini la minoranza, confermando la sua presenza in direzione. Peraltro entrambe le mozioni andate al voto in quell’occasione, esprimendo un giudizio di netta riserva sulla giunta di sinistra (entrata in carica da pochi mesi), ritenuta irresoluta nell’affrontare i più spinosi problemi dell’Isola, e di riserva sulla stessa prospettiva di una maggioranza alternativa al… “connottu”, cioè allo sperimentatissimo centro-sinistra, sollecitarono una larga intesa fra le forze politiche in chiave emergenziale. Nella negativa il PRI si mantenne distante dalla formula di governo affermatasi in un contesto di assoluta precarietà e provocò, di lì a qualche mese, il nuovo cambio di maggioranza, con il ritorno alle intese fra DC e i partiti della sinistra ad esclusione di comunisti e sardisti.

Una nuova prova elettorale si presentò nel 1983. Combattente come sempre, alle elezioni politiche Fadda risultò il secondo dei più votati, con oltre 4.200 preferenze, fra i candidati repubblicani (alle spalle di Achille Tarquini): il partito mancò l’obiettivo della elezione del deputato, ma dalle urne uscì un consenso accresciuto alla sua lista (che raccolse quasi 30mila voti). 

Dirigente di partito, candidato sempre

L’intervenuta elezione di Armando Corona a leader della Comunione massonica nazionale, senza aver però effettivamente cessato, nell’anno successivo, di influenzare i comportamenti del suo partito, determinò in questi anni lacerazioni crescenti nella militanza. Fadda si schierò su una linea mediana e dialogica, purtroppo infruttuosa. Per più anni assunse allora la segreteria della sezione di Cagliari che contava alcune centinaia di iscritti e, con la sua forte personalità, operò per difendere l’unità del partito sempre insistendo per una più frequente ed insistita consultazione della base dove non mancavano certamente i talenti i quali, per esperienza civile e professionale, sarebbero stati preziosi per la vita del PRI stesso e della politica tout court ma che, fra tanta crescente polemica, erano consigliati di estraniarsi da ogni impegno.

Tale posizione fu da lui sostenuta al XVIII congresso in svolgimento nel marzo 1984 a Quartu, che vide fronteggiarsi la linea del segretario Ghirra e della grande maggioranza della dirigenza uscente, che avrebbe voluto caratterizzare il PRI svincolandolo dall’abbraccio di DC o PCI, e quella della informale corrente di “Nuova Autonomia” (o degli “amici di Corona”) piuttosto ostile ad ogni alleanza a sinistra. Alla fin dei conti, comunque, Fadda votò la mozione “coroniana”, che raccolse il 42 per cento dei voti congressuali. 

Il nuovo turno elettorale fissato nel 1984 per il rinnovo del Consiglio regionale registrò il grande successo dei sardisti (che avrebbero ottenuto presto la presidenza della giunta per Mario Melis, alla guida di una coalizione di sinistra, con un appoggio soltanto “tecnico” del PRI). Non mancò, ancora una volta – ma fu l’ultima –, la candidatura di Bruno Fadda e non mancò per lui un buon successo personale (1.230 preferenze), seppure l’eletto nel collegio di Cagliari per la lista unitaria PRI-PLI fosse soltanto il prof. Achille Tarquini (quindi subentrante nel seggio di Armando Corona).

Il 1985 si presentò come un anno di relativa decantazione delle tensioni interne al partito. Le imminenti elezioni amministrative consigliarono infatti di cercare migliori rapporti fra i vari “circuiti” interni. Ne dette prova il congresso provinciale del 10 marzo 1985 – data mazziniana per eccellenza – cui anche Fadda, consigliere nazionale eletto al XXXV congresso svoltosi a Milano nell’aprile 1984, partecipò con un intervento di rilevante spessore politico a commento della relazione svolta dal segretario uscente Giorgio Pipia.

Nel 1986, nel novero delle nomine non di giunta ma di Consiglio, egli fu chiamato nel comitato regionale della programmazione, mentre l’anno successivo, al XIX congresso del partito (novembre, Quartu) – rimasto nella storia per la volontaria e concordata uscita dai ruoli di dirigenza dei maggiori esponenti (Ghirra, Puddu, Tuveri fondatori allora dell’associazione “Cesare Pintus”) – difese con riconosciuta signorilità, lontanissimo da beghe d’ogni genere, una mozione di minoranza concordata con Antonio Catte. 

Leale, sempre leale verso la nuova leadership di Tarquini, e poi – dopo il congresso del febbraio 1991 (presieduto da Fadda stesso e con la partecipazione del segretario nazionale Giorgio La Malfa) – verso quelle di Merella e Pau, spese le sue migliori energie per soluzioni, per quanto possibile, unitarie. I responsabilizzanti contatti nazionali e le esperienze che, sul piano più privato, era frattanto andato a maturare nella Libera Muratoria (in una loggia che oltretutto si intitolava a Lando Conti, l’ex sindaco mazziniano e repubblicano di Firenze abbattuto dalle Brigate Rosse nel 1986) affinarono – ove mai ancora ve ne fosse bisogno e spazio – la dimensione etica della sua militanza politica.

Venne infine un autunno prolungato, e un inverno finale. Tutta la politica, quella regionale non meno di quella nazionale, cambiò registro. Le inchieste di Mani Pulite, gli scandali coinvolgenti l’intero arco politico, la riforma elettorale in senso maggioritario, l’entrata in scena (scena sciagurata e disvaloriale) di Silvio Berlusconi, le fratture interne ai partiti con i nuovi accasamenti talvolta o spesso soltanto trasformistici e strumentali, tutto questo portò, nei migliori, a ripensamenti profondi circa i doveri del nuovo oggi.

Il Partito Repubblicano Italiano con i suoi uomini più rappresentativi non seppe più difendere ed onorare, a Cagliari come a Roma, una tradizione più importante ancora dell’alto simbolo che evocava la Giovine Europa e la riportava alla perenne attualità della democrazia mazziniana. La morte prematura di Giovanni Spadolini e, a seguire d’un anno, di Bruno Visentini – anime nobili di quella tradizione ideale e civile – chiuse la partita. Nell’Isola, Bruno Fadda, pago del dovere compiuto e ormai smarrito nella nuova babele da cui volle tenersi distante, si concentrò su altri interessi. La Massoneria giustinianea che esprimeva, nella sua storia, i sensi più alti del patriottismo democratico fusi al sentimento universalista definito nei suoi landmark, divenne la sua casa civile soddisfatta e, può dirsi, esclusiva.

La nobile fatica in Massoneria

A farla breve, la scheda massonica di Bruno Fadda si potrebbe compendiare in tre date: nel 1988 l’iniziazione, nel 1995 il suo primo Venerabilato – il comando di una loggia cioè –, nel 2004 la nomina a Gran Maestro onorario del Grande Oriente d’Italia. Tre tempi, una intensissima militanza durata 22 anni, fino al suo passaggio all’Oriente Eterno nell’ottobre 2009, alle soglie degli 84 anni. Tre tempi che si collegano fra di loro e valgono, ciascuno ed insieme, per preventivi e consuntivi di attività: una attività sempre di spessore sia negli altri e ulteriori uffici obbedienziali ricoperti (ispettore di loggia, presidente del Tribunale circoscrizionale sardo, presidente dei Venerabili cagliaritani, ecc.) sia nelle diverse incombenze all’interno della propria compagine, e prima e dopo il ruolo apicale affidatogli con libero voto dai suoi. Direi così: partecipando a circa ottocento – ottocento! – tornate, intervenendo con un contributo dialettico (al netto dell’anno di apprendistato) pressoché sempre, promuovendo la raccolta di un numero significativo di lavori (le cosiddette “Tavole di loggia”) in un libro di qualità premiata anche dalla finezza della grafica.

Potrei anche dar conto più dettagliatamente di tale impegnativa militanza, e proprio mosso dalla necessità morale di dar onore a tanta memoria, mi permetto di riportare adesso, in cronaca ordinata, alcune delle sequenze di questo film ideale… 

Iniziato il 14 gennaio 1988 nel Tempio massonico di Cagliari allogato allora in via Zagabria, e promosso Maestro due anni dopo, della sua loggia intitolata a Lando Conti e recante il numero d’ordine 1056 – una loggia relativamente giovane, insediatasi appena nel luglio 1986 – di questa divenne presto 1° Sorvegliante e quindi Oratore e, nel 1995 e per tre mandati annuali, dunque fino a tutto il 1997, Maestro Venerabile. 

Ricoperse allora anche la carica di presidente del Consiglio dei Maestri Venerabili di Cagliari – l’organismo di coordinamento delle attività delle logge presenti sul territorio cittadino e fruenti ormai della nuova e prestigiosa sede di palazzo Sanjust (operativa dal 9 ottobre 1989) – e successivamente quella di presidente del Tribunale giudicante della circoscrizione massonica isolana. 

La cifra del Venerabilato Fadda potrebbe sintetizzarsi in poche parole e potrebbe interessare, direi, anche chi suole considerare le cose massoniche come… ingiustificatamente coperte da coltri di mistero: disciplina rituale, correntezza negli adempimenti amministrativi, qualità delle Tavole tematiche e delle discussioni conferenti. Ecco tutto. La loggia apprezzò adeguandosi a tale rigoroso stile (nell’apparenza come ovviamente, e tanto più, nella sostanza) impresso dal suo Caput Magister, che godeva di ampio rispetto anche per l’autorevolezza della personalità e delle sue molteplici trascorse esperienze professionali e politiche.

Abiti, posture e comportamenti, tutto doveva egualmente, e perfettamente, corrispondere ai disciplinari della Tradizione. Quella dimensione strettamente ritualista che forse taluno, anche in Massoneria – nella Massoneria cagliaritana – aveva creduto superata, quasi un’anticaglia dei tempi remoti, era rilanciata alle soglie del 2000 come evidenza plastica di un pensare alto e un discutere sempre misurato ed appropriato. Chissà – ma questa è una ipotesi mia – le suggestioni di quell’antico palazzo di Castello in cui le logge della Libera Muratoria quasi costituivano una nemesi storica degli attacchi che dal patriziato nero cagliaritano, e dai Sanjust in particolare, erano venuti alla Fratellanza di fine Ottocento e primo Novecento, in solidarietà con il clero e la stampa clericale più spinta (o retriva)… motivavano, o anzi imponevano, un di più di austerità meditativa e disciplina, come per dimostrare l’ingiustizia della trascorsa sentenziosità guelfa e la serietà, la gravità doverosa dell’ensemble, di esso costitutiva per antica derivazione umanistica. 

Avrebbe detto qualcuno: «Anche sul piano dei doveri verso il Tesoro di loggia e dei doveri di frequenza ai lavori l’autorità non concesse deroghe. Così precedenti debolezze o accondiscendenze vennero assorbite e rettificate, e pur senza diventare una caserma l’officina imparò che anche l’ordine con l’iniziale minuscola… era ed è bello e crea spazi per far meglio».

In effetti di tanto sarebbe stato prova il libro dal titolo “Lavorando la pietra grezza…“ dato alle stampe nel dicembre 2005, vale a dire nel ventennale di vita della Lando Conti, come raccolta in capitoli tematici di alcune delle migliori Tavole sviluppate negli anni precedenti.

Si diceva dello stile di rigore impresso all’ensemble convocato nel Tempio simbolico dell’antico palazzo castellano, in quelle settimane, in quei mesi ed anni ormai prossimi alla chiusura del secolo. Questo doveva essere anche l’ambiente chiamato ad accogliere, e istruire, i profani che avevano superato le prove del rito d’iniziazione e, adesso Apprendisti, occupavano – secondo la dislocazione tradizionale – la Colonna (la bancata cioè) di Settentrione. 

Si potrebbe al riguardo anche evidenziare che nel triennio di comando del Fratello Fadda, la loggia Lando Conti, in perfetta continuità con la linea affermatasi negli anni immediatamente precedenti, continuò una attività “proselitistica” piuttosto cauta e selettiva: merito non da poco in un tempo in cui le Obbedienze sorgevano anche in Sardegna ed a Cagliari quasi come funghi, senza storia e senza futuro, con un presente effimero e sgrammaticato, quasi un estemporaneo gioco di società… Erano stati soltanto sette i nuovi iniziati nel triennio pre-Fadda, sarebbero stati altrettanti quelli accolti dal nuovo Maestro Venerabile, impegnato a conciliare al più alto livello possibile gli insegnamenti della tradizione con lo spirito comunitario e sussidiario e, naturalmente, con il tenore delle discussioni e, in generale, delle iniziative programmate ora sul piano strettamente fraternale ora sul piano civile e culturale.

Se ne potrebbe esemplificare. Il 22 febbraio 1996 a tutti fu dato appuntamento presso il teatro lirico di Cagliari per vedere ed ascoltare da un corpo orchestrale in cui non mancavano i professori-Fratelli, le arie del “Rigoletto” di Giuseppe Verdi...

Per l’indimenticato titolare della sua loggia

Sabato 15 giugno la festa del decennale, anticipata dalla visita cagliaritana del Gran Maestro Virgilio Gaito, si replicò con una nuova solenne tornata. Presente una rappresentanza della loggia Lando Conti all’Oriente fiorentino. Questo il saluto del Venerabile cagliaritano agli ospiti che avevano recato in dono un libro di/su il compianto sindaco del capoluogo toscano: 

«Carissimi, ho gradito moltissimo la raccolta degli scritti e dei discorsi del compianto Fr. Lando Conti. Io non so quali e quante altre iniziative il Comune di Firenze assumerà per immortalare il nome di un sì degno figlio, che tanto ha onorato la sua città e con essa, cuore d’Italia, l’Italia tutta. Ma è certo che Voi sì, carissimi Fratelli fiorentini, costituendo la loggia che porta il Suo nome illustre ne avete immortalato il ricordo e con esso le virtù che hanno contraddistinto il Suo passaggio terreno.

«Poiché la Massoneria è immortale e in Essa ciascuno di noi vivrà per sempre e con noi, per sempre vivrà il nostro Fr. Lando.

«In questa Cagliari, apparentemente lontana, ma solo geograficamente, dieci anni fa, colpiti profondamente dalla ingiusta tragedia che si era abbattuta su un Fratello del quale erano ben note, anche fuori dall’ambiente in cui viveva, le qualità e i meriti e come uomo e come cittadino, esempio luminoso di rettitudine, di capacità e di onestà morale e intellettuale, erigemmo nel suo nome le Colonne di un Tempio.

«Da allora Lando Conti è costantemente con noi. Sentiamo il Suo cuore palpitare insieme al nostro nel compimento di quel duro, è vero, ma tanto gratificante lavoro che, uniti nella “Catena d’Unione” portiamo avanti per il nostro bene e per quello dell’Umanità intera.

«Sentiteci vicini, carissimi Fratelli fiorentini, nel momento in cui, nella sacralità del Vostro Tempio, rivolgerete al Fr. Lando il Vostro commosso memore pensiero».

Un bel quaderno di 32 pagine con in copertina anche i Quattro Mori ed il Giglio di Firenze, di lato alla squadra intrecciata al compasso e le fronde dell’acacia, ricordò allora l’evento decennale e fu diffuso tra i Fratelli dell’Oriente e della Circoscrizione.

E’ una felice prassi andata in crescendo, tanto più a Cagliari – diciamo correttamente “nell’Oriente di Cagliari” –, quella di fissare sulla carta, in pubblicazioni destinate a rimanere, parti importanti della storia delle compagini simbolico/rituali autoconvocate a fare memoria del proprio passato. Così questa voluta dalla Lando Conti cagliaritana nel suo primo decennale, nella voluta modestia della fattura tecnica, rappresentò una prova di gran qualità dello spirito attuale della loggia e dell’impegno profuso lungo il percorso, non facile né lineare, compiuto fra il 1986 e il 1996.

La pubblicazione è disponibile, credo, nelle biblioteche. Essa si apre con lo stralcio d’un articolo a firma dell’allora Gran Maestro Corona sulla rivista Hiram (n. 3/1986), quando il dolore per l’assassinio di Lando Conti era ancora acuto: «D’ora in poi il nome di Lando Conti verrà dato a non poche Logge della Comunione Massonica Italiana, così come a molte di esse abbiamo dato i nomi di Tommaso Crudeli e Giovanni Amendola. Ciò per ricordare a tutti, a noi stessi ed a quelli che verranno dopo di noi, la Sua figura integerrima di Massone, di Cittadino, di Uomo nel senso pieno della parola, con tutta la dignità che comporta l’essere Uomo».

Segue una nota del Ven. Fadda: «… Nel nostro paese, ormai da diversi anni, alcuni cosiddetti poteri, fingendo ignoranza, mettono in atto mezzi subdoli o palesi per abbattere la fratellanza massonica. Non riusciranno! Con immutata dedizione, in purezza e onestà di intenti, continueremo richiamandoci fedelmente alla Costituzione Repubblicana, a perseguire il bene e il progresso dell’Umanità nel segno dei valori che si ispirano unicamente ai principi di libertà e della tolleranza…».

Alcuni riferimenti alle vicende dell’officina riempiono la parte centrale del quaderno: la “dichiarazione di intenti sottoscritta dai Fratelli Fondatori”, la “Bolla di Fondazione” (in fotocopia), il “decreto di Fondazione” (pure riproposto in fotocopia così come l’allegato quadro dei venti Fondatori), e ancora “Le prime cariche di Loggia”, lo stralcio di un passo della Tavola tracciata dall’Oratore all’atto dell’insediamento (“Perché Lando Conti”).

La sezione conclusiva presenta l’attualità: ecco quindi il “Quadro attuale – Giugno 1996 E.V.” con le cariche e l’intero piedilista, un passaggio della recente commemorazione della figura umana e massonica di Conti –– da parte del Gran Maestro Gaito, i versi della poesia “Nel Tempio”, la lettera datata 5 febbraio 1996 del Ven. Fadda al suo omologo della loggia fiorentina, altri versi di Hermann Hess, alcuni articoli degli Antichi Doveri…

Il livello dei lavori si mantenne elevato. Né mancarono quelle uscite pubbliche che cominciavano a fare capolino nella Fratellanza cagliaritana: com’era stato il convegno, promosso unitamente alle logge Giorgio Asproni e Wolfgang A. Mozart, sul problema dell’Alzheimer. Una linea di apertura che l’officina avrebbe proseguito nel tempo… 

Dalla Enrico Fermi un concerto per l’Admo, dall’interloggia il convegno sull’Alzheimer

Conclusi gli onerosissimi lavori di ristrutturazione del pian terreno di palazzo Sanjust, le logge cittadine aprirono i locali al pubblico ospitando, la mattina di sabato 29 giugno 1996, un concerto di musica classica. La manifestazione era organizzata dalla loggia Enrico Fermi d’intesa con l’Admo (Associazione donatori di midollo osseo a favore degli affetti da talassemia e malati leucemici).

A fare gli onori di casa al numeroso pubblico convenuto erano i presidenti del Collegio regionale e del Consiglio cittadino dei Venerabili in carica: «Contrariamente a quanto pensa chi non ci conosce, noi non discutiamo di politica e di economia – spiegò il presidente circoscrizionale Antonio Delitala. La Massoneria è un movimento di ideali. Le opere benefiche e di solidarietà rappresentano un dovere che noi sentiamo molto forte. Le abbiamo sempre fatte in silenzio, con discrezione. Oggi crediamo che si possa uscire dal nostro tradizionale riserbo e si possa aprire un dialogo con la città».

Il Ven. Fadda, da parte sua, facendosi guida degli ospiti nella visita della casa fra androni, sale e Templi, anticipò allora alcune iniziative: «Contiamo di realizzare una biblioteca e sale per conferenze pubbliche. L’incontro con l’Admo è solo il primo passo».

Verrà anche, ma saremo già nel 2003 (il 29 marzo), un’altra importante iniziativa pubblica della loggia Lando Conti associata alle consorelle Giorgio Asproni e Wolfgang A. Mozart, che vedrà Bruno Fadda fra i protagonisti e padrone di casa chiamato ad introdurre i lavori: il convegno su “Il morbo di Alzheimer” e le sue mille implicazioni mediche e socio-assistenziali, organizzato nella sala Dino Zedda della Fiera internazionale della Sardegna con la presenza anche del Gran Maestro Gustavo Raffi. Presentò allora i numerosi relatori – psichiatri, genetisti, farmacologi, specialisti vari specialisti vari ed operatori sociali chiamati a succedersi alla tribuna per illustrare le caratteristiche della malattia, peraltro ancora per diversi aspetti sconosciuta. Neppure mancò quel giorno un messaggio ricco di riferimenti agli avanzamenti della ricerca inviato dalla professoressa Rita Levi Montalcini.

Libera Muratoria e politica, tabù o liberazione?

A tre anni soltanto dalla grande operazione… trasparentista della stampa regionale (oltreché di certi ambienti politici di destra e di sinistra), che aveva dato in pasto alla curiosità banale, volgare e forse anche belluina di una parte dei propri lettori le liste dei massoni sardi, la “caccia al massone” non era cessata nell’Isola, a smentire ogni dichiarazione o assicurazione in senso contrario da parte di chiunque avesse un microfono davanti alla bocca o la penna in mano. Così il segretario regionale del PSd’A, proprio perché massone – l’ing. Antonio Delitala – aveva dovuto rinunciare alla designazione ricevuta alla presidenza dell’Ente Autonomo del Flumendosa (in passato affidato, e certo non senza merito per competenza politica e professionale insieme, ai massoni Umberto Genovesi, socialdemocratico, e Lello Puddu, repubblicano)… Il Gran Maestro Gaito, in occasione delle sue frequenti visite nell’Isola, non mancava mai di richiamare le sue interlocuzioni con le istituzioni politiche affinché ogni immotivato pregiudizio fosse rimosso dalla dialettica pubblica…

Certo era comunque che i massoni per primi avrebbero dovuto essere e mostrarsi uomini dalla credibilità immacolata e dalla schiena dritta davanti ad ostilità, preconcetti e preclusioni da qualsiasi parte provenienti. E fare il mestiere del massone – sosteneva, pur con altre parole, il Venerabile della Lando Conti cagliaritana – era facile e difficile ad un tempo: bisognava crederci davvero, impegnare il meglio di sé, imporre a se stessi una prassi comportamentale bella ed esemplare, dando così onore ad una istituzione più che bicentenaria e dal respiro universale davvero. Di qui gli sforzi francamente “pedagogici” del Fratello Fadda rivolti ai suoi: professorali da un certo punto di vista, ma intrisi di un senso anche di familiarità ed amicizia tale da riscaldare l’animo (così per concorde testimonianza dei coinvolti)… Lo studio degli stessi formulari che venivano dalla tradizione liberomuratoria era vissuto e trasmesso non come un gustoso (ma anche discusso) onere della appartenenza alla corporazione: non doveva trattarsi di astrazioni per repliche senza anima, ma di guide per complessi percorsi sapienziali. Altro che missione affaristica, altro che gara egostistica giocata fra i ranghi più o meno elastici della borghesia piccola e media… La Massoneria che era stata fra i protagonisti del risorgimento regio, che si era distinta con i suoi uomini nella costruzione dell’Italia una e liberale e poi aveva pagato tutti i prezzi alla dittatura sopravvenuta, che aveva contribuito con i suoi deputati costituenti alla fondazione della Repubblica e alla ricostruzione materiale e morale della patria dopo la guerra, doveva essere e mostrare in ogni suo nucleo organizzato, in ogni sua loggia anche la più periferica, una maturità spirituale, intellettuale e civile da renderla orgogliosa di sé e testimone ammirata di virtù. Molto? Poco? Il giusto. Ecco la docenza morale di Bruno Fadda Maestro Venerabile della sua loggia Lando Conti all’Oriente di Cagliari negli anni ’90 del Novecento e dopo ancora.

Venne per lui, ben meritata, nel 2004, la nomina a Gran Maestro onorario formalizzata, su proposta del Consiglio dell’Ordine, in sede di Gran Loggia (cioè di congresso nazionale delle rappresentanze dell’universo giustinianeo): con lui, con il dignitario sardo, altri Fratelli di speciale merito: Giuseppe Capruzzi – avvocato, letterato e storico barese, Aldo Chiarle – pubblicista di radici ed impegno socialista e trascorsi antifascisti e partigiani, e Morris L. Ghezzi – docente di Sociologia del diritto e anch’egli socialista ed “anima” dell’Umanitaria milanese. 

Certo colpisce che i grandi dignitari del GOI fossero in un certo tempo – un tempo neppure così remoto, gli ultimi sono soltanto di tre lustri fa! – tutti mazziniani, repubblicani e autonomisti, socialisti e liberali, interni ad un secolare sentimento patriottico ed insieme integralmente e modernamente democratico (nella logica della “ogni patria è la mia patria”), mentre oggi la scena politica non concede nessun alto riferimento ideale, e purtroppo molti artieri di loggia, chiamati essi ad esser opinion leader, paiono mestamente mettersi qua e là sulla gregaria scia di personaggi pubblici di nessuno spessore etico-civile e senso istituzionale come – bisogna fare i nomi – Salvini, Meloni, Berlusconi, Di Maio, Grillo e altri ancora in truppa, molti altri ancora anche nell’area cosiddetta (o sedicente) progressista… Credo che essere massoni, spiriti critici cioè, e farsi elettori e perfino accompagnatori, nella patria nostra, di partiti di cartone senza storia e senza futuro come Fratelli d’Italia – quelli della fiamma tricolore ereditata dai repubblichini di Salò e dagli altri della dittatura alleata di Hitler padrone dell’inferno –, Lega panpadana magari a confuso rinforzo parasardista, Cinque stelle, Forza Italia e cespugli democristiani altrettanto evanescenti, sia una contraddizione in termini ancora non a sufficienza valutata, forse soltanto per inerzia o pigrizia mentale. Proprio come negli anni fra il 1919 ed il 1923 non fu pesato a sufficienza e riconosciuto tempestivamente il rischio fascista, e le logge ed i massoni ne pagarono infatti ogni conseguenza (con aggressioni e perfino omicidi, con assalti e incendi delle sedi e delle biblioteche) negli anni a seguire, in uno ai sindacati e alle associazioni civili, ai partiti democratici, alla stampa d’opposizione e ad ogni spirito libero.

Potrei dire con altre parole: credo che le Colonne delle logge massoniche, per l’esperienza umanistica cui esse si sono (o erano) votate e che hanno maturato nel tempo, per la solidità dell’impianto “tradizionale” che caratterizza la Comunione in cui liberamente, dalla originaria “profanità”, si sono (o erano) inserite per imparare e per fare e per assicurare continuità in un perseguibile perfezionamento, possano distinguersi da altre soggettività in questo: dalla comprensione profonda ed intensa di come la cronaca sociale stessa sia un mattone della storia, di come cioè l’ordinario quotidiano debba contenere e sempre esprimere la nobiltà di quel tanto che infine si realizza e rimane nel tempo, sfidando contingenze o contingenti opposizioni derivanti da superficialità gridate, semplicismi grossolani e rozzi trasformismi. E la politica che un grande papa come Paolo VI – il papa del XX Settembre antitemporalista vissuto come “dono di Provvidenza” – definì forma alta della carità sociale, quella stessa politica che fu il pane condiviso nella vita di fior di massoni “costruttori di storia” – dal nostro Giorgio Asproni a Coppino riformatore della scuola pubblica, a Zanardelli riformatore del codice penale abrogatore della pena di morte, a Ruini presidente della Commissione dei 75 alla Costituente repubblicana – non può essere svilita, nel vissuto effettivo dei liberi muratori, neppure di quelli sardi, da alcuna alleanza disideologica con gli improvvisati demagoghi di turno occhieggianti a simildittatori in Russia e nell’ex impero fattosi sciovinista territorio dopo/contro territorio. Perché la Massoneria vagheggia per statuto una società inclusiva, inclusiva, inclusiva e legge i segni dei tempi, li anticipa anzi, come previde e anticipò l’ecumenismo, tre secoli fa, fra cattolici, anglicani ed ebrei affiancati in fraternità gli uni agli altri nelle logge ed era perciò scomunicata dai pontefici che oggi chiamano gli ebrei “fratelli maggiori” e concelebrano le felici liturgie con anglicani e luterani. E abbracciano i più alti dignitari musulmani, in pace dialogo.

Mi permetto qui una maggior digressione, naturalmente anch’essa tutta nella mia personale responsabilità. Vado con qualche frequenza, sempre accolto con familiarità e amicizia – anche per la mia formidabile consentaneità ideale alla Libera Muratoria –, a palazzo Sanjust e partecipo con interesse alle iniziative culturali che vi sono di frequente ospitate e tutte di gran valore. Nelle sue sale impreziosite dalle immagini storiche – rimontanti alla loggia di via Barcellona perquisita e saccheggiata dai questurini fascisti nel 1925 – di Giuseppe Mazzini e Giuseppe Garibaldi, impreziosite dalla foto bellissima di Cesare Battisti a Cagliari nel dicembre 1914 e dai busti ancora dell’Apostolo genovese e di Giovanni Bovio – opera quest’ultima del Fratello Pippo Boero risalente al 1905 ed omaggio al grande filosofo del diritto che fu il continuatore di Mazzini dopo il 1872 e legatissimo alla democrazia cagliaritana di fine Ottocento/primo Novecento – mi immagino gli straniti transiti di massoni elettori e variamente tributari della destra qualunquista e chiacchierona oggi sul mercato. Sobbalzo. 

Negli anni in cui la loggia Risorgimento promossa da Alberto Silicani a Cagliari – era il 1944 – si poneva nelle sintonie possibili con i lavori magni della Assemblea Costituente riunita a Montecitorio, una esortazione era frequente tra Fratelli negli scambi rimasti fissati nei verbali delle loro tornate: no al qualunquismo, no al qualunquismo moralmente e intellettualmente pezzente! E s’erano presentati perfino alle elezioni comunali, quei massoni di spirito civico, candidandosi in tre in una lista nella quale forse non ci si riconosceva tutti al massimo, ma che al fascismo ancora sotterraneo e tentatore rispondeva con la nobiltà morale dei Benedetto Croce e dei Luigi Einaudi. 

Lo stesso Cavour, novant’anni prima, aveva ispirato la diffusione della rete liberomuratoria sul territorio nazionale per aggregare qua e là i migliori referenti civili, nell’accademia e nelle professioni, nel giornalismo e nella scienza, e sostenere il disegno liberale dell’Italia. Certamente per togliere a Garibaldi reduce dalla sua impresa meridionale il primato del merito unitario, ma già per far pendant, con il proprio liberalismo, alla democrazia radicale del Generale e dei suoi. Grande storia, la Massoneria e i massoni erano coinvolti nei due fronti – quello del liberalismo monarchico e quello della democrazia mazziniana –, e da entrambi si tesseva la tela della Italia nuova. La cronaca era sussunta nella storia.

La grande storia contiene la storia delle generazioni, anche oggi (era di globalismo e di tecnologie avanzatissime) la storia pretende nobiltà costruttiva e i massoni dovrebbero saper spendere i loro talenti per la grande causa della democrazia e avvertire, col gusto prima ancora che col ragionamento – ripeto: col gusto prima ancora che col ragionamento – , quanta distanza opponga al merito dei suoi ideali la bassa politica del sovranismo chiacchierone diffuso per slogan e pericoloso. Tutti i discorsi dei Gran Maestri della storia più che centenaria di Palazzo Giustiniani sono attraversati da uno spirito europeista creativo, spirituale e politico, e l’Europa unita – quella sognata da Giuseppe Mazzini già nel 1834! – non è concepibile con frontiere chiuse, perché il dialogo infracontinentale deve poter essere, e saper essere anche intercontinentale.

Come, in una società sì ecumenica perché umanistica ma certo non svincolata dalle passioni patriottiche dell’antifascismo nazionale, si possa contemperare il sottoprofondo della nostra greve e semplicista destra sovranista e l’universalismo liberomuratorio, io non lo capisco. E aggiungo questo però, riflettendo sui trascorsi anche relativamente recenti della vita politica sarda, e accostandomi in ciò alla sensibilità civile di Bruno Fadda, al suo nerbo democratico, alla sua affezione etica ai padri della patria e maestri di vita: la famosa e volgare ostensione delle liste delle logge isolane, nel 1993, insieme con i tentativi, riconosciuti infine illegittimi e incostituzionali, di qualche partito intruppato nelle pubbliche istituzioni – il Partito Democratico della Sinistra, già PCI, in primis – di “disvelare” pro domo sua (e indicibile imbecillità) la Massoneria, ha alienato da allora, per spontanea reazione, molta della naturale simpatia degli artieri di loggia per le formazioni progressiste… Certo la cosa non giustifica, ma può spiegare…

Il calendario di lavoro post-2004

Il lustro pieno che vede Bruno Fadda Gran Maestro onorario del Grande Oriente d’Italia presenta, al cronista chiamato a sintetizzare le occasioni di maggior impegno, un calendario fitto di interventi. E, bisognerebbe anche dire, un calendario che racconta non soltanto il protagonismo del dignitario-leader ma anche parte o gran parte delle iniziative fraternali della Comunione giustinianea sarda e in specie cagliaritana.

Se ne può tentare una rappresentazione sinottica: lunedì 15 novembre 2004 vennero innalzate, in città, le Colonne della loggia Giordano Bruno n. 1217. Gemmata dalla anziana Alberto Silicani n. 936, la nuova officina recuperava l’insegna che fu di una compagine costituitasi a Cagliari nella seconda metà degli anni ’60 ma purtroppo di breve vita (appena un quinquennio, ma il tanto sufficiente per apprezzare, fra l’altro, le qualità intellettuali di Carlo Anichini, docente di oceanografia all’università di Cagliari e Venerabile della loggia).

Mercoledì 4 dicembre toccò alla Heredom n. 1224 di innalzare le sue Colonne e presentarsi alla scena liberomuratoria giustinianea con tutta la sua originalità e il… pregresso maturato per qualche anno in seno alla loggia Rudyard Kipling all’obbedienza della Gran Loggia Regolare d’Italia Circoscrizione sarda. Tenendo conto proprio di quella trascorsa esperienza essa fu autorizzata a praticare l’Emulation, un rituale che rimanda alla relazione fra templarismo scozzese e Massoneria. La Heredom fu allora la 16.a delle officine attive nell’Oriente di Cagliari e recava il motto «Nisi Dominus, Frustra / Se Dio non è con noi, tutto è inutile».

Sabato 9 aprile 2005 a palazzo Sanjust si svolse una tavola rotonda sul tema “Fonti cristiano-massoniche nell’arte di Franco d’Aspro”. Patrocinato dal Collegio Circoscrizionale e con l’abile organizzazione dell’Associazione culturale Karalis onlus, l’incontro vide fra i partecipanti anche il paolino don Rosario F. Esposito, fra i massonologi più autorevoli d’Italia. Anche in questa circostanza, come nelle precedenti, Bruno Fadda portò, con il suo saluto, un contributo di riflessioni sempre originali utili a correttamente inquadrare l’evento ed a riconoscere nella genialità ispirativa del grande scultore piemontese fattosi cagliaritano fin dal 1938 (!) molti dei motivi che animano, nell’ordinario, la pratica massonica.

Lunedì 6 giugno fu la volta della Giordano Bruno di convocare una tornata speciale alla quale parteciparono oltre cento Fratelli di tutte o quasi le logge dell’Oriente. Stavolta era proprio Bruno Fadda a tracciare una Tavola “architettonica” – così nel lessico proprio della Libera Muratoria – sulla figura umana e il pensiero filosofico del Nolano arso vivo dall’Inquisizione romana nel 1600. Il rispetto per la religione, che mai venne a mancare in lui, non ne determinò – sostenne il relatore – la rinuncia ai propri convincimenti e a quell’“eroico furore” che caratterizzava l’età moderna in cui l’Uomo veniva posto al centro dell’Universo.

Il Gran Maestro onorario confidò allora di nutrire per l’umanità e l’intelligenza dello sfortunato Frate domenicano un’antica passione rinnovata ogni volta che, presentandosene l’occasione, poteva di lui ascoltare o di lui dire... E comunque, parlandone ora nella officina che a lui, al filosofo abbrustolito, si era voluta intitolare, egli ricordò «come di fatto la vita e le opere di Giordano Bruno siano state innanzi tutto ispirate ad un antidogmatismo assoluto nel rifiuto delle fedi e delle ideologie e nella professione costantemente ribadita del culto dell’“infinito” e dell’“universalità”, senza limiti alla conoscenza progressiva, essendo quello che discende dalla ragione un processo di elaborazione e di conquiste senza fine, al contrario della staticità imposta dall’assolutismo dogmatico-fideista… Certo è che Giordano Bruno – così proseguì – con le sue intuizioni metafisiche è stato fra i più determinanti nel favorire lo sviluppo della crescita razionale della civiltà umana».

E ancora: «Se il principio di libertà da perseguire sino alle estreme conseguenze è principio fondante della fratellanza massonica, è facile comprendere come nessuno più di Giordano Bruno ne rappresenti il simbolo ispiratore e conduttore. A questo simbolo certamente, Fratelli carissimi, vi siete ispirati costituendo la vostra loggia ed erigendone le Colonne a conforto e sostegno spirituale e morale di tutti noi, di tutti noi massoni che aspiriamo al bene dell’Umanità, intesa come Umanità pienamente libera, quella in cui l’Uomo realizza se stesso senza subire condizionamenti morali di tipo dottrinario e tanto meno dogmatico».

Per concludere così: «Godiamo dell’intima emozione che ogni tappa raggiunta ci riserva e guardiamo “insieme” ai nuovi orizzonti che si configurano davanti ai nostri occhi come produttivi di arricchimento interiore e di libertà spirituale, ispirandoci al messaggio di coerenza e di coraggio trasmessoci dal Nolano, messaggio che io intensamente avverto nel momento, questo, in cui da uomo libero mi ritrovo fra uomini liberi, onorato di appartenere ad una Officina che lavora nel nome di Lando Conti, massone, anch’Egli martire della libertà, Fratello il cui sacrificio associo, pervaso di commozione, a quello di Giordano Bruno».

Parlando di Giordano Bruno, di Conti e del “cor unum”

Varrà la pena, sul punto, di rammentare come negli anni stessi del proprio Venerabilato, Fadda avesse portato il tema “Giordano Bruno” all’ascolto e alla discussione dei suoi. Concludendo il suo intervento così, quella volta, si espresse: «Cari Fratelli, ossigeniamo dunque il nostro spirito nella comune armonia degli intenti, proseguendo con determinazione nel viaggio intrapreso con l’Iniziazione alla ricerca della Verità e per trovare noi stessi. Godiamo dell’intima emozione che ogni tappa raggiunta ci riserva e guardiamo “insieme” ai nuovi orizzonti che si configurano davanti ai nostri occhi come produttivi di arricchimento interiore e di libertà spirituale, ispirandoci al messaggio di coerenza e di coraggio trasmessoci dal Nolano, messaggio che io intensamente avverto nel momento, questo, in cui da uomo libero mi trovo fra uomini liberi, onorato di appartenere ad una officina che lavora nel nome di Lando Conti, massone, anch’Egli martire della libertà, Fratello il cui sacrificio associo, pervaso di commozione, a quello di Giordano Bruno».

Giovedì 9 febbraio 2006, data 157 volte centenaria della gloriosa Repubblica Romana di Mazzini, Garibaldi e Goffredo Mameli, e vigilia del ventesimo della morte tragica del Fr. Lando Conti, la loggia che al suo nome si intitola ne evocò l’estremo sacrificio. Parteciparono ai lavori, data la solenne circostanza, numerosi Fratelli di diversa provenienza (comprese le componenti carboniesi e oristanesi), per i quali l’appello alle idealità risorgimentali sapeva di perennità valoriale nel segno della democrazia avanzata, cui la Libera Muratoria ambiva (e spererei, ambisce) farsi, con il suo umanitarismo, protagonista e custode. 

Fu proprio il Gran Maestro onorario, che della loggia era stato il Caput Magister, a celebrare l’evento con una Tavola, in parte scritta e in parte tracciata a braccio, con cui tese a mettere in relazione il servizio alle pubbliche istituzioni con il coraggio morale di pagarne ogni conseguenza fino alla più estrema.

Ecco alcuni passaggi della nuova Tavola del Fratello Fadda: «Era fervido seguace dell’insegnamento risorgimentale mazziniano che da sempre aveva respirato in famiglia, nel solco tracciato dal nonno Menotti Riccioli e dalla madre Lisa Conti Riccioli, entrambi fedelissimi del Maestro. Con il suo programma politico e i suoi conseguenti comportamenti, ispirati in assoluto ai valori di democrazia occidentale, aveva evidentemente raccolto l’odio eversivo culminato nel suo assassinio.

«Impegnato con immutato spirito di servizio nella sua attività di consigliere comunale di Firenze, il pomeriggio di quel 10 febbraio 1986 Lando Conti esce di casa per dirigersi come di consueto, alla guida della sua automobile, verso Palazzo Vecchio. Lo attende una delle solite sedute ordinarie alle quali non manca mai di partecipare…

«Via Faentina, l’agguato è subitaneo: Lando Conti viene crivellato da raffiche di mitra indirizzategli da uno spietato commando di brigatisti rossi. E’ una esecuzione rapida e la morte è immediata…

«Si spegneva così, per mano assassina, la vita terrena di un insigne cittadino, pubblico e benemerito servitore dello Stato, di un uomo che al bene comune aveva dedicato la propria esistenza.

«E’ notorio come Lando Conti da amministratore pubblico si caratterizzasse per la sua umanità, per l’intelligenza politica e per l’eccezionale impegno a favore dei suoi concittadini, estremamente sensibile nei rapporti personali, disponibile come era a discutere con tutti, a qualunque categoria appartenessero, legando la grande politica ai problemi quotidiani in qualunque tipo di incontro.

«Politicamente era espressione rappresentativa del pensiero mazziniano che guarda a Dio, alla Patria ed al Lavoro come costituenti essenziali dell’uomo, in senso umanistico, sociale e solidaristico, specie se investito del potere di guida della comunità affidatagli. Nel suo discorso di insediamento nella carica di Sindaco di Firenze, il 18 aprile del 1984 affermava: “Noi siamo portatori di interessi generali che evidentemente valutiamo dal nostro punto di vista ma che non siamo mai disposti a barattare per un interesse particolare. Il nostro è un interesse generale che si rifà alla visione etica mazziniana della vita politica, visione della quale ci consideriamo – forse indegni – seguaci…”.

«Era europeista convinto e il suo europeismo era anche qui di impronta mazziniana. “Quale futuro per l’Europa?” si domandava e preoccupato affermava: “Il processo di integrazione europea viene considerato dai più (storici, sociologi, politologi e politici) un processo irreversibile. Ma la sua stessa lentezza può rendere vano il processo unitario. Il problema dei tempi non è indifferente rispetto all’obiettivo. Non possiamo abbandonarci ad una sorta di fiducia nell’ineluttabilità storica di un’Europa unita. Primo perché niente è possibile se non lo vogliamo davvero fare. Secondo perché se l’Unità Europea non si realizza presto (ed è già forse abbastanza tardi) rischia di non giocare il suo ruolo determinante per la pace e lo sviluppo…”».

E più oltre: «Iniziato nella loggia Meoni Mazzoni di Prato, ventiquattrenne, nel 1957, continuò il suo percorso iniziatico nella loggia Concordia di Firenze di cui divenne Maestro Venerabile e poi nella loggia Abramo Lincoln che oggi porta il suo nome. Era un massone impegnato: assiduo frequentatore dei lavori di loggia, aveva perfezionato il suo percorso esoterico quale Compagno del Rito di York partecipando con altrettanto fervore all’attività ed alle iniziative proprie di quel Rito.

«Queste erano le caratteristiche di Lando Conti, laureato in giurisprudenza, intellettuale, imprenditore, politico, amministratore pubblico, soprattutto uomo probo… Gli furono inferti diciassette colpi d’arma da fuoco… Egli aveva vissuto la sua vita in un impegno totale per la Famiglia, per lo Stato, per la Massoneria…

«Nel nostro Paese alcuni poteri potrebbero mettere in atto mezzi subdoli o palesi per abbattere la fratellanza massonica. Non ci riuscirebbero! Non riuscirebbero soprattutto se, fedeli alla Costituzione Repubblicana, continueremo a perseguire, con immutata dedizione e in purezza ed onestà di intenti, il bene e il progresso dell’Umanità nel segno dei valori che si ispirano unicamente ai principi di libertà e di tolleranza propri della nostra Istituzione…».

Un altro ventennale: quello della Lando Conti n. 1056 

Giovedì 12 ottobre la loggia di Bruno Fadda festeggia, con una tornata speciale, il proprio ventennale. Accanto ai garanti d’Amicizia e ad altri dignitari delle diverse officine cagliaritane, egli affianca il Maestro Venerabile che era un giovane Apprendista quando egli assunse il Maglietto, in un tempo fattosi ormai già remoto.

Qualcuno si era assunto il compito di ripassare in velocità l’attività svolta dall’officina lungo i suoi primi due decenni di vita, la sua partecipazione a qualche pubblico convegno, il contributo offerto per il rialzo delle Colonne algheresi… Immancabile poi la parola del Gran Maestro onorario che, rivolgendosi infine agli Apprendisti presenti, li esortò «a fortificare i loro animi superando qualsiasi momento di sconforto, immancabile nel duro percorso iniziatico». Esortazione non banalmente retorica o addirittura paternalistica: nel suo eloquio Fadda trasferiva molto della cultura umanistica alla quale si era abbeverato da giovane, negli anni difficili e ultimi della dittatura e poi soprattutto in quelli del risveglio democratico dopo il lavacro bellico… Le esperienze professionali a contatto con le complessità nazionali e anche internazionali, oltre ai suoi passaggi politici ed istituzionali, ne avevano modellato lo stile dialogico, la capacità di stare e fare insieme con gli altri diversi da sé ma pure assunti in una coralità partecipativa della quale avvertiva la cifra etica…

Fu proprio in occasione del suo ventennale che la loggia dette alle stampe un volume raccoglitore di ben cinquanta contributi attribuibili ad una quindicina di Fratelli. Titolo indovinato: “Lavorando la pietra grezza…”, e copertina riproducente alcuni lavoranti i materiali lapidei, scalpellini di varia professionalità, in un cantiere da cui già affiorano parti del manufatto: mura e finestre bifore… e in primo piano gli strumenti dell’Arte, dal martello alla squadra, dalla livella alla perpendicolare allo scalpello…

Il libro è disponibile in libreria e sarebbe bello risfogliarlo. Articolate in otto sezioni tematiche (“Personaggi”, “Etica e morale”, “Sull’Istituzione”, “Riflessioni esoteriche”, “Sul comune sentire”, “Religioni e intolleranza”, “Ritualità e simbolismo”, “Fra storia e leggenda”) le Tavole sono introdotte da una nota che non ne rivendica «velleità letterarie» né dottrinali e neppure originalità assoluta. Esse «Rappresentano soltanto – si chiarisce – alcune espressioni dell’incessante lavoro di ricerca, di approfondimento e di scambio informativo e culturale compiuto da ciascuno dei Fratelli redattori nel corso delle Tornate rituali e fuori di esse, lavoro attraverso il quale hanno maturato personali riflessioni interpretative del simbolismo iniziatico in cui sono immersi e dei valori morali suggeriti alla propria coscienza ed alla propria mente da avvenimenti storici, da fatti di cronaca e dai personaggi ad essi legati.

«La “Conoscenza” è Una – si aggiunge –, ma i percorsi attraverso i quali si tenta di raggiungere questo comune obiettivo sono molteplici. Nella sua libertà di pensiero, ciascun Massone traccia a tal fin un proprio sentiero in un susseguirsi e concatenarsi di percezioni e di sensazioni che gli procurano una concettualità del tutto personale, ma è certo che le soggettività espressive vengono superate dal “comune sentire” maturato nella sacralità del Tempio, in virtù del quale i molteplici singoli percorsi confluiscono tutti nella strada maestra che conduce alla verità».

Siglati con le iniziali di nome e cognome – bieffe (Bruno Fadda) ed errenne, errerre ed erresse, gipiemme e gicierre, aeffe ed essemme, emmedigi ed api e pigi… – gli scritti raccontano lo studio, la passione partecipativa, l’intelligenza critica degli artieri all’opera e insieme rendono plasticamente l’abbraccio della comunità di loggia a coloro che sono andati avanti proponendo all’ensemble in ascolto ed interlocutore motivi e letture soggettive di eventi, fenomeni, protagonisti della storia che tutti inevitabilmente ci ingloba…

Eccoli i titoli, ripresi nell’ordine di esposizione e ricompresi nei capitoli tematici sopra richiamati: “Lando Conti: martire dell’Intolleranza”, “Giordano Bruno: simbolo di Libertà”, “Galileo”, “In ricordo di Giuseppe Garibaldi massone”, “Giuseppe Garibaldi e la Sardegna”, “Attualità dell’Etica Massonica”, “Amore”, “Perché”, “Alcune brevi riflessioni sulla Solidarietà tra Fratelli”, “Società Uomo e Massoneria”, “Solidarietà”, “Solidarietà Massonica”, “Rapporto Medico-Malato”, “Difficile intesa fra Etica e Scienza”, “Il sentiero della Fratellanza”, “La Loggia Madre del Punjab”, “La Massoneria”, “Massoneria: crisi della Società contemporanea”, “Concetto di lavoro iniziatico”, “Il lavoro massonico”, “Proselitismo”, “Dubbio amletico Essere o non Essere. Le potenzialità sconosciute”, “Escatologia e Trascendenza iniziatica”, “Il sogno”, “Il parlare e il tacere massonico”, “Il silenzio”, “La musica in Loggia”, “SE di Rudyard Kipling”, “Lo Gnosticismo”, “Note sul Vangelo di Giovanni”, “La religione naturale”, “Riflessioni sull’Intolleranza”, “La Loggia”, “Il Solstizio d’Estate nel simbolismo iniziatico”, “La Simbologia del Tempio e nel Tempio”, “Cerchiamo il Maestro fuori e dentro di noi”, “Pensiero Massonico”, “Linguaggio dei Simboli: via per l’Universalità”, “Il M.V.”, “L’Apprendista Libero Muratore”, “Per tutto questo e per tutto quello”, “I Cavalieri del Tempio”, “L’Ordine del Tempio”, “I Templari”, “Le Cattedrali Gotiche”, “Il Santo Graal”, “La Comunità Essenica”, “Gesù e gli Esseni”, “Gli Esseni”, “Addio ai Fratelli della Loggia di S. Giacomo”.

I contributi siglati da Bruno Fadda sono elencati nell’addenda.

Per il gemellaggio fra la Alberto Silicani cagliaritana e la Giovanni Mori carboniese

Fu Alberto Silicani – il rifondatore della Massoneria cagliaritana nel 1944 e carismatica personalità anche per i riconoscibili meriti cumulati nella lucida e permanente avversione alla dittatura – ad animare il cantiere, nel 1953, anche della Massoneria sulcitana. Questa circostanza finì per cementare nel tempo due logge fino a portarle a formalizzare un gemellaggio: l’ensemble cagliaritano intitolato proprio ad Alberto Silicani e quello carboniese intitolato a Giovanni Mori, il Sovrano Gran Commendatore del Rito Scozzese che a Silicani riconobbe il 33° grado della Piramide rituale, massone di fede mazziniana e repubblicana, antifascista anch’egli della più bell’acqua nei tempi cupi della patria in cattività.

Venerdì 27 ottobre 2006 i Fratelli delle due officine, e con loro numerosi altri nell’organico delle diverse logge del meridione isolano, si riunirono nel maggior Tempio di palazzo Sanjust per siglare il patto che rendeva onorari gli uni della loggia degli altri. Ed ecco così dal verbale immediatamente steso: «… Certi che l’edificio innalzato oggi AGDGADU rimanga in perpetuo intatto simbolo della Fraternità di tutti i Fratelli Massoni di qualsiasi origine, razza, religione o nazionalità… Fratelli, per la prima volta… per la seconda volta… per la terza volta… proclamo all’Oriente, a Mezzogiorno, all’Occidente ed a Settentrione, che sono stati instaurati nell’Oriente di Cagliari e nell’Oriente di Carbonia dei legami indissolubili di Fraternità attraverso l’unione delle RR. LL. G. Mori n. 533 e A. Silicani n. 936».

Abbracci e scambio di doni. Qualche notizia, infine. Come quella fornita dall’Oratore del Collegio circoscrizionale circa l’avvenuta apertura, in Sassari, della Casa della Fraterna Solidarietà che dal 2006, infatti, avrebbe provveduto alla quotidiana distribuzione di buste alimentari fino a un numero di 500, e così ad altre attività di soccorso sia medico-infermieristiche sia relative alla fornitura di vestiario.

A Bruno Fadda si offerse la presidenza dei lavori, ed egli, nonostante l’età che si faceva sempre più pesante, rispose anche quella volta alla chiamata. Sapeva che in Massoneria si vive di simboli e che le maggiori dignità non esprimono soltanto autorità ma esempio e raccordo. Spese le sue energie per questa missione che è faticosa non meno di quella politica che aveva abbracciato in età ancora relativamente giovane…

Così fu ancora presente al trentennale della già molte volte celebrata loggia Alberto Silicani, che nell’occasione offerse alla riflessione di tutti il racconto delle esperienze di medico volontario maturate nell’Africa nera equatoriale dal suo Oratore e donò ai presenti, in ricordo, un piccolo libro prodotto da Gianfranco Murtas con le biografie di massoni cagliaritani le cui spoglie riposano da cento anni nel camposanto di Bonaria.

Ancora non era mancato, Bruno Fadda, alle celebrazioni cagliaritane di Giorgio Asproni nel 130° della morte, articolate in diversi seminari, sabato 11 novembre 2006, sia nei locali della facoltà di Architettura dell’università sia a palazzo Sanjust, con la presenza di docenti del calibro di Tito Orrù, Maria Corona Corrias, Anna Maria Isastia ecc. (Il giorno prima una manifestazione aperta anche alle scolaresche si era svolta a Bitti).

Una serata tutta mazziniana

Sabato 10 marzo 2007, ancora nei locali di piazza Indipendenza, si tenne un affollato convegno pubblico all’insegna di “Una giornata mazziniana”, organizzato dalla loggia Lando Conti d’intesa con il Collegio circoscrizionale.

Moderati dal giornalista Andrea Frailis, i lavori si imperniarono su quattro relazioni: “Lando Conti nel solco mazziniano” dello storico Cosimo Ceccuti, presidente della Fondazione Spadolini-Nuova Antologia («In Conti prevaleva il rispetto degli altri e delle idee altrui, non lo muoveva un’ansia di sopraffazione, ma neppure soggiaceva a cedimenti o debolezze»), “Giuseppe Mazzini e la Sardegna” del saggista Marcello Tuveri, “Massoni mazziniani sardi in epoca risorgimentale” del giornalista Vindice Ribichesu, e “Il massone Lando Conti” del M.V. anfitrione Lello Sechi («Conti fu un massone che, non contento di vivere per sé, ha vissuto al servizio dell’uomo con l’intento di dare il proprio contributo alla società in una militanza che lo ha portato ad essere un simbolo di valori che il terrorismo rifiuta: ma i simboli spesso diventano bersagli»).

Presenti anche il sindaco di Cagliari Floris ed il presidente della sezione sarda dell’AMI Gian Giorgio Saba, oltreché ovviamente i maggiori dignitari isolani del GOI, intervenne lo stesso Gran Maestro Raffi che in Conti vide la perfetta rappresentazione dell’”uomo mazziniano”: «Esponente di una cultura repubblicana e liberale, è stato un interprete rigoroso della visione etica mazziniana dell’impegno politico, fondata su una difesa intransigente della libertà di pensiero e di critica, della tolleranza, della rivendicazione della coerenza intesa come rifiuto di ogni trasformismo. Costanti nei suoi interventi sono stati i riferimenti alla laicità dello Stato e alla centralità dei principi laici nella prassi istituzionale che gli derivavano dal suo essere un vero massone».

Toccante la pertinentissima collocazione di Lando Conti (che fu pure Gran Cappellano dell’Arco Reale, uno dei maggiori Riti internazionali in convenzione con il Grande Oriente d’Italia) nel solco dei più illustri sindaci massoni e mazziniani: da Nathan a Roma a Fabbri a Terni a Conti, appunto, a Firenze. 

Di speciale interesse anche un altro passaggio del discorso di Gustavo Raffi: «Ci chiediamo perché esista una sorta di equazione tra massoneria e mazzinianesimo, e io alcuni collegamenti li ho fatti: ad esempio Mazzini parla della Repubblica come un’idea, come di un programma di educazione da svolgersi, e lo stesso intendiamo noi con il cielo stellato della volta del Tempio, una elevazione spirituale che non ha mai fine».

Venne quindi scoperto il busto del Profeta dell’unità – opera dello scultore albanese Quezim Kertusha – donato alla Comunione massonica cagliaritana proprio da Bruno Fadda (il quale l’aveva, a sua volta, ricevuta in dono dalla propria figlia Silvia). L’opera fu presentata dal garante d’Amicizia Vincenzo Tuveri: «Nella storia del mondo e dell’umanità – egli ha detto – gli uomini che hanno lanciato un segno di sé sono sempre stati quelli che hanno saputo idealizzare una realtà che non esisteva e ad essa hanno dedicato tutte le loro energie».

Seguì il canto corale dell’inno di Mameli, e chiuse la serata il Fratello Lorenzo Conti, figlio di Lando, per ringraziare e donare al M.V. Sechi, la medaglia mazziniana che era stata consegnata dal presidente del Consiglio dei ministri, ed al Gran Maestro onorario Fadda il proprio gioiello di loggia (della Lando Conti già Abramo Lincoln, n. 884 all’Oriente di Firenze).

I compleanni di altre logge, i tributi alla memoria del Fr. Cusino 

Le ricorrenze giubilari non sono, né potrebbero esserlo, per le logge soltanto occasioni di festa. Esse invece soprattutto impegnano a una riflessione di verità, in logica perfino autocritica, circa quanto compiuto per trasformare i propositi in realtà concreta, così sui diversi fronti tanto interni (il “cor unum”, il miglior sentimento corporativo cioè) quanto esterni (umanitarismo, lavoro sociale, testimonianza civile).

E’ quanto lunedì 4 giugno – l’anno è sempre il 2007 – la loggia Hiram n. 657 compie, celebrando il suo quarantennale (ma ormai si sarebbe potuto dire il 41° compleanno). Fortemente voluta dal M.V. Francesco Puxeddu, tornato al Maglietto a quasi vent’anni di distanza dalla sua prima esperienza di Caput Magister, la circostanza venne pensata come “rimpatriata” dei moltissimi Fratelli che nel corso di tanti anni erano stati accolti fra le Colonne della loggia – fra essi lo stesso Gran Maestro emerito Armando Corona – per poi… disperdersi in altre compagini e talvolta, per ragioni di famiglia o di professione, in altri luoghi ora sardi o nazionali, ora perfino esteri. (Nel pieghevole d’invito una bella frase di Ghandi: «L’esperienza mi convince che un bene duraturo non può mai essere frutto della menzogna e della violenza. Anche se la mia convinzione è una pia illusione, si ammetterà che è un’illusione affascinante»).

Bruno Fadda, anche per la sua veste dignitaria, partecipò con un commosso intervento nel quale coinvolse anche il messaggio che, suo tramite, volle trasmettere lo stesso Gran Maestro Raffi. La loggia Hiram, fondata fra il 1965 ed il 1966 da un gruppo di Fratelli di prestigio anche nella società civile, fra i quali erano Franco d’Aspro, Sabino Jusco, Hoder Claro Grassi, Josto Biggio, Bartolo Cincotta, Giovanni Ciusa ecc. guidati da Mario Giglio, seppe affermarsi da subito come una formazione capace di “attualizzare” al meglio la tradizione secolare della Libera Muratoria e riuscì da conferire alla vita massonica isolana un impressionante dinamismo civile che “contagiò” presto anche le logge sorelle.  

Presente e protagonista fu pure, Bruno Fadda, giovedì 8 novembre ed a cinque anni e qualche mese dal suo doloroso passaggio all’Oriente Eterno, alla cerimonia di conferimento al Fratello Gianfranco Cusino – protagonista di mille imprese nella Fratellanza sarda – della onorificenza della Giordano Bruno alla memoria. Si trattava di onorare una personalità straordinariamente generosa della Fratellanza sarda, cui si dovevano molti impianti latomistici destinati poi a produrre talenti e iniziative, a Cagliari stessa come ad Oristano, nel Sassarese e in Ogliastra…

Ma c’è, nell’elencazione possibile (invero qui di molto abbreviata) delle partecipazioni di Bruno Fadda, in quanto Gran Maestro onorario, alle iniziative le più varie promosse dalle logge, da includerne un’altra, una ulteriore che reca il suggello triste dell’ultimo tempo, perché anticipa soltanto di ventuno giorni il suo exit…

Mercoledì 30 settembre 2009 la cagliaritana Sigismondo Arquer n. 709 celebrò anch’essa il suo 40ennale. La loggia derivava dal gruppo P costituitosi a Cagliari fra il 1967 ed il 1968 e durato qualcosa più d’un anno, normalizzandosi poi per volontà concorde del Gran Maestro Gamberini e dei Venerabili di tutte le logge sarde che poco gradivano statuti speciali di compagini chiamate alla medesima missione.

A trattare sia della figura storica del martire di Toledo (nel 1571 s’accese il fuoco dell’Inquisizione spagnola che incenerì l’Arquer avvocato cagliaritano), sia della mitologia che attorno al suo nome crebbe nel XIX e XX secolo impegnando direttamente la Massoneria isolana, diversi relatori: Giulio Angioni, Sergio Bullegas, Giorgio Pellegrini, Gianfranco Murtas.

Ancora un mese ed a Cagliari un nuovo convegno, promosso dal Collegio regionale sardo della Massoneria giustinianea, avrebbe aggiunto iniziativa e pensiero al patrimonio morale condiviso con tutta la città: questo su “Costituzione e diritti dell’uomo”, con annessa tavola rotonda “Diritti umani: conquiste e prospettive”. Partecipanti vari docenti – storici, giuristi, politologi, sociologi – delle università di Pavia, Siena, Insubria e Luiss.

Dalla Lando Conti sarebbe venuto un giorno, ancora a Cagliari, un altro corposo meeting di taglio interconfessionale, allestito nel salone CIS di Cagliari – ne ho scritto altre volte – all’insegna di «La fede permette il dialogo?», partecipanti il rabbino capo della comunità ebraica di Roma Riccardo Di Segni, il teologo musulmano e docente islamista alla Gregoriana Adnane Mokani, il monaco del milanese Centro Buddha della Compassione Geshe Jangchub Gyaltsen Lama, il docente di meditazione buddista Enrico Dellacà, il direttore dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Cagliari Mario Farci, il docente di Antico Testamento presso la facoltà teologica valdese di Roma Daniele Garrone. Con il prof. Paolo Gastaldi, delegato del gran maestro del GOI, per le conclusioni. Bruno Fadda, però, allora lo avevamo già perduto.

Quando s’involò, egli fu celebrato dal Gran Maestro Raffi che in un messaggio alla Fratellanza cagliaritana ne sottolineò, fuori da ogni cliché, l’umanità straripante e «l’infaticabile impegno profuso per la affermazione degli ideali e dei principi massonici e mazziniani». Tutto vero.


Addenda

– Nel n. XXIX del 2014 degli annali della Fondazione Ugo La Malfa pubblicai diversi saggi sulle vicende del PRI sardo dal 1944 al 1994. In essi, per la parte prettamente politica (congressuale, elettorale, organizzativa, ecc.) e per quella istituzionale (riferita al Consiglio regionale e alle altre rappresentanze), Bruno Fadda ebbe evidentemente un ruolo non marginale. Naturalmente non l’intero mio elaborato (che superava le 500 pagine) poté essere pubblicato, ma di esso soltanto un estratto vide, nel concreto, la luce. Esso rimane integro “nel cassetto”. E’ ivi compresa la scheda dell’attività consiliare svolta da Fadda nel corso della VII legislatura autonomistica, negli anni cioè in cui egli collaborò con il consigliere repubblicano Corona affiancandolo poi quando passò a formalizzare il suo ingresso nel PRI.

Ecco, di quello studio, il resoconto dettagliato delle proposte di legge nonché di mozioni, ordini del giorno, interpellanze ed interrogazioni, ecc. portanti la sua firma. 

Proposte di legge rubricate ai nn. 337, 347 (prima firma), 410 (a firma esclusiva), 467, 469 relative a: costituzione presso l’ETFAS di un fondo di rotazione per l’esercizio del diritto di prelazione di cui all’art. 4 della legge 29 maggio 1967 n. 379 (27 settembre 1977); contributo straordinario all’ARST per il biennio 1976-1977 anche ad integrazione degli interventi previsti dalla l.r. 26 ottobre 1977 per l’acquisto di autobus al fine di assicurare i servizi pendolari a favore di lavoratori e studenti (3 novembre 1977, approvata il 28 luglio 1978); contributo straordinario in conto capitale all’ARST per il biennio 1978-1979 (1° agosto 1978); contributi per favorire l’attività della consulta femminile regionale (27 marzo 1979, approvata il 17 maggio 1979); finanziamento dell’attività del Comitato per il servizio radiotelevisivo (28 marzo 1979).

Mozioni rubricate ai nn. 54, 58, 65, 66 riguardanti rispettivamente le elezioni per il Parlamento europeo, la celebrazione del trentesimo anniversario dello Statuto speciale e l’elezione del primo Consiglio regionale sardo, la tutela del pluralismo e della libertà di informazione nell’Isola, la Consulta regionale femminile.

Ordini del giorno rubricati ai nn. 129, 130, 133, 162, 163, da 165 a 170, 173, 175, 176, 180, 185, 186, da 209 a 223, 226, 229, 231, da 241 a 243, da 245 a 247, da 251 a 253 da 256 a 258, da 269 a 271, 274, 275, 280, 283, da 289 a 298, 303, 306, 307, 319, 322, 323, sui seguenti oggetti: minacciata cessazione del servizio marittimo da/per la penisola gestito dalla Società Linee Canguro (30 settembre 1976); rivendicazione di un adeguato sistema di trasporti interni ed esterni per la Sardegna (idem); interventi per la riconversione e ristrutturazione industriale (4 novembre 1976); approvazione delle dichiarazioni politiche e nomina dei componenti della giunta regionale (21 gennaio 1977); attribuzione dell’esame dei regolamenti agli organismi comprensoriali alla commissione speciale per la revisione dello Statuto (24 febbraio 1977); costituzione di due commissioni speciali consiliari (24 febbraio 1977); priorità nell’attuazione del programma della giunta regionale (idem); approvazione delle dichiarazioni del presidente della giunta regionale sul programma della stessa (idem); stato di sviluppo in Sardegna con particolare riguardo alla situazione delle industrie di Ottana e del settore minerario (idem); situazione delle università e condizione giovanile (idem); schema di DPR in attuazione della delega legislativa di cui alla legge 22 luglio 1975 n. 382 (idem); restauro della chiesa parrocchiale di Guasila (10 maggio 1977); piano pluriennale per lo sviluppo del Mezzogiorno (18 maggio 1977); iniziative necessarie per dotare gli organismi comprensoriali di strutture tecniche ed operative (5 giugno 1977); problema dei locali scolastici di Villasor (21 luglio 1977); problema minerario sardo in relazione al programma ENI per le aziende ex EGAM (15 settembre 1977); dichiarazioni del presidente della giunta regionale relative allo stato di attuazione del programma della giunta e alla situazione occupativa nel settore industriale (idem); situazione delle industrie di Ottana e del settore minerario (1° dicembre 1977); istituzione di corsi di educazione fisica differenziata nelle scuole dell’obbligo (29 dicembre 1977); enti regionali (idem); compagnie barracellari e polizia rurale (30 dicembre 1977); riordino della gestione del patrimonio immobiliare della Regione (idem); funzionamento degli uffici tecnici degli enti locali (idem); contributi all’attività peschereccia (idem); necessità di una normativa regionale che regoli il rapporto tra Regione ed enti operanti nel campo degli studi intesi a favorire il progresso scientifico e a promuovere le conoscenze scientifiche (idem); modifica del fondo di rotazione per i prestiti alle piccole e medie industrie (idem); attuazione dei programmi degli asili nido (idem); fondo sociale (idem); problemi della scuola materna dell’ESMAS (idem); contributi alle Università e agli Istituti di cultura artistica di ogni ordine e grado (idem); materia di medicina scolastica e medicina sportiva (idem); Consorzio regionale sanitario per la lotta contro i tumori (idem); presentazione di proposte alternative di bilancio pluriennale (idem); situazione occupativa nelle aziende industriali della regione (8 febbraio 1978); gestione immobiliare e utilizzazione dei beni patrimoniali dell’ETFAS e della SBS (9 marzo 1978); definitivo inquadramento del personale proveniente dagli enti di formazione professionale ENALC, INAPLI, INIASA (19 aprile 1978); personale del CRAAI (idem); inquadramento nel ruolo regionale del personale amministrativo e sanitario dipendente dagli enti mutualistici in posizione di comandato presso l’Amministrazione regionale (idem); tutela del pluralismo dell’informazione in Sardegna (26 aprile 1978); attività del giornale Tuttoquotidiano (idem); autonomia regionale e prospettive delle autonomie locali (27 aprile 1978); Consulta regionale femminile e convocazione di una conferenza per l’occupazione femminile (28 luglio 1978); attuazione di piani di settore previsti dalla legge 12 agosto 1977 n. 675 (idem); interventi necessari per la prevenzione cura e ricerca sulla talassemia (27 settembre 1978); autorizzazione alla erogazione agli enti regionali del contributo previsto per l’anno 1978 e alla proroga dell’esercizio provvisorio (5 ottobre 1978); approvazione delle dichiarazioni programmatiche e nomina dei componenti della giunta regionale (7 dicembre 1978); situazione del settore petrolchimico (idem); autorizzazione all’esercizio provvisorio del bilancio degli enti regionali per l’anno 1979 (20 dicembre 1978); destinazione del titolo di spesa 5.2.01 del quinto programma esecutivo (21 dicembre 1978); crisi del settore petrolchimico e conseguenti iniziative politiche (11 gennaio 1979); comportamenti delle pubbliche amministrazioni e delle forze politiche in campagna elettorale (8 febbraio 1979); iniziative politiche necessarie per far fronte all’attuale stato della società sarda e in particolare alla recrudescenza dei fenomeni di criminalità (14 marzo 1979); contributo in conto capitale da parte della Regione per il completamento del teatro civico di Cagliari (27 marzo 1979); condizione dell’infanzia in Sardegna in rapporto alle iniziative della Regione per la celebrazione dell’anno internazionale del fanciullo (28 marzo 1979); approvazione del bilancio di previsione dell’Istituto superiore etnografico ISRE per l’anno finanziario 1979 (idem); id. ISOLA (idem); id. ESIT (idem); id. ESAF (idem) ; id. IZoo e Cas.(idem); id. CRAS (idem); id. SSS (idem); id. III (idem); approvazione della relazione sui criteri di impostazione del programma di attività per il 1979 dell’EMSA (idem); approvazione del bilancio di previsione dell’ARST per l’esercizio finanzio 1979 (idem); acquisto di autotrasfusori ad iniezione regolabile per microcitemici (idem); nomina degli assessori all’Industria e all’Agricoltura e riforma agro pastorale (18 aprile 1979); situazione del settore petrolchimico delle fibre in Sardegna (idem); stanziamenti necessari per il fabbisogno dell’ETFAS in conseguenza del trasferimento alla Regione delle funzioni amministrative in ordine allo stesso ente (17 maggio 1979); schema di DPR di norme di attuazione dello Statuto speciale in riferimento alla legge n. 382 del 1975 e al DPR n. 616 del 1977 (18 maggio 1979); facoltà d’opzione per gli insegnanti elementari addetti all’assistenza scolastica e per il personale dell’ufficio distrettuale del servizio sociale per minorenni (idem).

In abbinata con Corona queste sono le risultanze: ordini del giorno (a firma estesa ad altri colleghi) depositati tutti, con l’eccezione del n. 119, nel mese di dicembre 1976 e rubricati ai nn. 142 e da 144 a 158. Ed eccone in successione gli oggetti: trasferimento alla Regione delle funzioni amministrative comprese quelle di vigilanza e tutela esercitate dagli organi centrali dello Stato in ordine all’ETFAS e nomina di un commissario straordinario in sostituzione del presidente e del CdA dello stesso ente (9 luglio 1978); indagine conoscitiva nel settore degli operatori sanitari (9 dicembre 1976); interventi per il diritto allo studio (16 dicembre 1976); interventi a favore delle scuole materne (idem); necessità di un nuovo rapporto Regione-Università ed enti operanti nel campo della ricerca scientifica e applicata (idem); formazione professionale (idem); interventi per la promozione organica della politica culturale (idem); risanamento igienico urbanistico e trasferimento dell’abitato di Tratalias (idem); enti regionali (idem); finanze degli enti locali (idem); necessità ed urgenza delle opere di contenimento, smaltimento e deflusso delle acque reflue del fiume Temo di Bosa (idem); necessità di disciplinare la concessione delle provvidenze del settore della meccanizzazione agricola (idem); acquisto da parte dell’ARST di automezzi costruiti in Sardegna (idem); salvaguardia delle opere già realizzate nel porto di Buggerru (idem); organizzazione in Cagliari di un convegno sull’aggiornamento della terapia e della diagnosi del cancro (17 dicembre 1976); modifica del sistema degli incentivi (idem); autorizzazione all’esercizio provvisorio del bilancio degli enti regionali per l’anno 1977 fino al 30 aprile 1977 (idem).  


– Circa i contributi recati da Bruno Fadda al libro “Lavorando la pietra grezza…”, con sottotitolo “Tavole architettoniche”, edito dalla loggia Lando Conti nel 2005, eccone l’elenco:

“Lando Conti: martire dell’Intolleranza”, “Giordano Bruno: simbolo di Libertà”, “In ricordo di Giuseppe Garibaldi Masone”, “Attualità dell’Etica Massonica”, “Alcune brevi riflessioni sulla Solidarietà tra Fratelli”, “Il sentiero della Fratellanza”, “Escatologia e Trascendenza iniziatica”, “Il parlare e il tacere massonico”, “La musica in Loggia”, “Riflessioni sull’Intolleranza”, “Il Solstizio d’Estate nel simbolismo iniziatico”, “Cerchiamo il Maestro fuori e dentro di noi”.

A seguire sono gli estratti di due di tali lavori, precisamente e rispettivamente quelli titolati “Attualità dell’Etica Massonica” e “Il parlare e il tacere massonico”:


Attualità dell’Etica Massonica. «…Tollerate, quindi, che io vi parli di "etica", che noi tutti sappiamo essere scienza del dovere, ma che ve ne parli senza concedermi ad astrazioni filosofiche, bensì limitandomi a riferirla alla condotta umana.

«Per molti l'etica è sinonimo di morale, in effetti l'etimologia è comune con significato di "costume", ma "etica" indicherebbe di preferenza la teoria mentre "morale" rappresenterebbe la pratica.

«L'etica è stata sempre parte integrante della teorie filosofiche come è stata costante fondamento delle religioni e le sue varie dottrine si sono sviluppate in relazione alla natura ed al fine attribuiti alla vita umana: l'edonistica, che pone per fine della vita il piacere (Cirenaici ed Epicurei); l'eudaimonistica, che pone per fine la felicità (Aristotele); la mistica (Neoplatonici); la stoica (Zenone, Seneca), fatta di razionale fermezza; la cristiana, fondata sul triplice principio di Dio padre, degli uomini fratelli, e della sanzione ultraterrena; l'intuizionistica, affine alla sentimentale, ambedue basate sul senso morale innato; la razionale, autonoma, autolegislatrice come quella sostenuta da Kant; l'utilitaristica, propugnata da Hobbes e da Bentham, fondata sul principio della massima felicità secondo il criterio del massimo benessere per il maggior numero di persone, affine all'etica sociale, professata dal positivismo, assai diffusa nella coscienza moderna e non molto lontana dall'etica deterministica, che trascura i due noti postulati morali, "senso di libertà" e "idea del dovere" pur nell'esigenza, anch'essa morale, di una sanzione di carattere non fisico, né giuridico, ma spirituale.

«Ho solo citato alcune delle più note correnti filosofiche che sul tema dell'etica si sono sviluppate nell'arco di alcuni millenni, senza osare di illustrarne, se non in modo del tutto generico, i principi.

«Certo è che alcune di esse hanno fortemente inciso sotto il profilo ideologico e politico su ampie schiere di umanità determinando l'evolversi di società culturalmente diverse.

«Ora mi sembra di poter dire che, come la intendiamo noi massoni, l'etica è, rispetto all'agire umano, conoscenza di ciò che è meritevole di approvazione incondizionata o di riprovazione biasimevole, svincolata da pregiudizi ideologici, rigorosamente ed esclusivamente rivolta alla ricerca della verità morale, libera rispetto alle opinioni personali o di gruppo, non necessariamente rapportata all'ordine morale di una società o di un'epoca, né assoggettabile a indicazioni di tipo referendario e perciò riferita ad una moralità imparziale, sottolineo questo aspetto, legata a principi universali basati sulla centralità del valore dell'uomo.

«L'etica massonica è etica umana, nel senso che è riferita all'uomo, configurato come personalità etica. E tale è l'uomo che coordina la ragione, i suoi sentimenti e il proprio agire in funzione di una progettualità morale, rivolta in via prioritaria al rispetto di tutto ciò che c'è al di là della sua persona, di tutto ciò che è l'altro, sia esso altro uomo, animale o natura.

«La centralità del suo valore, in buona sostanza la sua centralità operativa rispetto a ciò che è altro, significa la sua proiezione come fine nella ricerca e nel perseguimento rigoroso della verità morale, della conoscenza priva di pregiudizi ideologici, quindi libera. 

«Senza questo riferimento l'uomo, piuttosto che un fine, rappresenta un mezzo, esclusivamente rivolto al proprio compiacimento, all'ottenimento del più piuttosto che alla realizzazione del bene.

«Usando un paragone, dirò che l'uomo che utilizza il suo modo di essere come mezzo utile a realizzare il più che lo riguardi, è paragonabile ad una composizione rapsodica frammentaria, non unitaria nelle sue espressioni musicali; chi invece realizza se stesso come fine rivolto al bene inteso come verità morale è paragonabile al componimento sinfonico, il cui tema centrale è fuso nel complesso armonico del tutto.

«Indipendentemente dal fatto che ciascun uomo ha in sé, che lo ammetta o meno, una dimensione religiosa, l'etica massonica è laica in quanto non vincolata a riferimenti religiosi e chi la persegue è un uomo che ha personalità etica, un uomo cioè impegnato a vivere il bene nella libertà, nella fratellanza e nella solidarietà.

«Dicevo prima della società umana: essa cresce disordinatamente in misura esponenziale e procede come un torrente in piena senza argini, travolgendo tutto ciò che sembrava consolidato, sgretolando i valori del vivere comunitario.

«Il ventunesimo secolo, i cui inizi viviamo giorno per giorno con legittima apprensione davanti ai tragici accadimenti che quotidianamente colpiscono l'umanità, ha nella cosiddetta "Globalizzazione" il movens di un futuro nuovo assetto mondiale, prodotto da un inarrestabile sviluppo dell'industria tecnologica e informatica, i cui effetti si sono fatti sentire in primo luogo sui mezzi di comunicazione, rendendo praticamente nulle le distanze fra le varie aree del pianeta, e sono conseguentemente ricaduti sull'economia.

«Il processo di globalizzazione, inarrestabile, ha peraltro difficoltà a mantenere ordine in seno all'umanità socialmente intesa, perché le relazioni economiche e sociali legate a questa nuova realtà non trovano accoglimento uniforme negli attuali vari sistemi giuridico-istituzionali.

«In questo quadro emergono in tutta la loro drammaticità le profonde differenze e gli squilibri sociali, economici e politici che scaturiscono dal confronto tra società di tradizioni e culture diverse, indotte a confrontarsi in modo violentemente conflittuale.

«La stabilità, ritenuta fattore indispensabile perché il processo di globalizzazione si sviluppi, viene ricercata mediante strategie di riduzione, di semplificazione o di cancellazione della complessità e ciò sbarra o restringe le porte all'etica, non essendo pensabile che anch'essa si globalizzi, se non in termini minimali e con valori censurati.

«Il rischio è che questo disordine possa portare alla negazione dell'uomo, inteso come entità individuale centrale, ne conculchi l'identità morale e ne inibisca la libertà.

«E che male sarebbe per l'Umanità la scomparsa dell'identità individuale dell'uomo, della sua centralità quale portatore dei valori della libertà!

«Il massone mal si adatta a questa involuzione e, forte della morale cui è indissolubilmente legato e in mancanza della quale non esisterebbe la Massoneria Universale, la rifiuta e si oppone con la costanza del suo lavoro edificatorio dentro e fuori la Loggia alle "non verità" emergenti, per rapportarsi, coraggiosamente consolidandola, all'incancellabile etica che l'iniziazione gli ha infuso.

«Ritengo quindi non superfluo il richiamo al momento dell'iniziazione in cui abbiamo appreso che "la morale è, per noi, la legge naturale, universale ed eterna che guida ogni uomo intelligente e libero. Essa ci fa apprendere i nostri doveri e l'uso ragionato dei nostri diritti e si rivolge ai più puri sentimenti del cuore per assicurare il trionfo della Ragione e della Virtù ".

«Restare fedeli a quest'etica anche nell'attuale turbato contesto storico significa per ciascun di noi perseguire responsabilmente tutto il possibile perfezionamento individuale, che non è da considerare un obiettivo in quanto la perfezione è una condizione umanamente irraggiungibile, ma solo una strada da percorrere con impegno costante, al fine di garantire la affidabilità propria e dell'Istituzione come punto di riferimento per gli uomini liberi.

«Significa, in buona sostanza, lavorare incessantemente e produttivamente per il bene ed il progresso dell'Umanità».


Il parlare e il tacere massonico. «Parola e silenzio sono entrambi espressioni della psiche umana intimamente collegate fra loro.

«Platone, a chi gli chiedeva quale fosse il modo di conoscere gli uomini, rispondeva che ciò era rilevabile facilmente dal loro parlare, come avviene provando i vasi di terracotta che, leggermente percossi, rispondono con suoni diversi a seconda della loro qualità.

«In effetti la parola identifica l'uomo, sia in rapporto a tutto ciò che di materiale è nel mondo in cui vive e di cui egli rappresenta la sintesi, sia in rapporto alla spiritualità che in modo esclusivo possiede dentro di sé.

«Forse non si riflette mai abbastanza quanto la parola, detta o scritta, sia in grado di esprimere l'energia e la forza interiore, la potenza del pensiero, rappresentando essa il più complesso mezzo di trasmissione delle idee, della volontà e dei sentimenti umani.

«Ma nel mondo profano in cui ordinariamente viviamo, le parole, dette o scritte, si consumano il più delle volte inutilmente, addirittura si sprecano.

«A voler essere assolutamente obiettivi e distaccati, è comune convinzione che nella vita sociale si dovrebbe parlare di meno e operare di più per ottenere un rapporto comunitario più civile ed evoluto.

«E questo perché l'uso delle parole nel mondo profano è prevalentemente esteriore o speculativo, nel bene e nel male, e le loro articolazione e connessioni, badandosi più al modo che al contenuto, finiscono per assumere le caratteristiche del linguaggio tecnico, che ha come fine preminente la realizzazione del convincimento per averne in cambio il consenso.

«Nel mondo profano agiscono poi innumerevoli componenti, quali l'orgoglio, l'invidia, la calunnia, l'ira, la maldicenza, l'egoismo, un insieme di emotività scomposte, quando non di insane passioni, spesso molto bene dissimulate.

«Ed è per questo che la parola, una volta perduto il dominio di se stessi, può diventare terribile strumento di distruzione.

«Ma se è vero che la parola è rivelatrice di ciò che è dentro, più di quanto possa ottenersi con qualsiasi altra manifestazione motoria, nel momento in cui, da iniziati, cerchiamo di scrollarci di dosso, attraverso il duro e impegnativo lavoro massonico, le scorie profane che ci ricoprono, ebbene è nella sua sacralità, nella sacralità della parola che cerchiamo di trovare il nostro equilibrio interiore.

«La parola, qui fra noi, nel corso dei nostri lavori, diventa dunque mezzo espressivo di pensieri e sentimenti dosati e moderati, che puntano non al riscontro formale né al consenso strumentale, ma piuttosto alla liberazione da tutto ciò che è rappresentato dalla negatività delle passioni esterne, dall'odio sociale, dai contrasti politici.

«È questa la ragione per la quale nel Tempio Massonico il Fratello che parla tiene sempre lo sguardo rivolto verso il Maestro Venerabile, in quanto simbolo della Sapienza e da cui promana la Luce.

«Quella del Maestro Venerabile è infatti una posizione illuminante e ciò libera il Fratello da qualsiasi forma di contesa che ispiri il suo dire; lo libera da ogni forma di attrito, dall'interesse indotto dai metalli; ne permette l'immissione in un circuito esclusivamente costruttivo.

«"Tutto è giusto e perfetto" riferirà il Primo Sorvegliante al Maestro Venerabile e in questa espressione è raccolto il più profondo significato del contributo dato ai lavori sia dalle parole pronunciate dagli intervenuti, esse stesse "giuste e perfette" in quanto libere, quanto dal silenzio di chi non è intervenuto verbalmente, ma ha ugualmente, immancabilmente partecipato con il suo silenzio altrettanto "giusto e perfetto".

«Il silenzio, dunque.

«In Massoneria il silenzio è forse contrapposto alla parola?

«È vero che la parola ha in sé la capacità di esprimere quanto di più alto l'Umanità è in grado di rappresentare nelle sue componenti fisiche, mentali, affettive e spirituali, ma anche il solo pensiero è da considerare presupposto dell'azione.

«Ecco perché la costruzione del proprio Tempio Interiore e il contributo alla costruzione del Tempio Universale si realizzano anche con il silenzio, inteso appunto come pensiero taciuto, sì, ma elemento anch'esso dinamico e quindi azione.

«Il silenzio massonico pertanto non è assenza, ma è partecipazione attiva al comune lavoro rituale.

«Da ciò deriva che il silenzio in tal modo attuato è, nel lavoro di loggia, precetto fondamentale propedeutico al precetto che riguarda il parlare.

«Ed è per questo che, come prescrivono gli Antichi Doveri e il Rituale, all'Apprendista è riservato il silenzio, inteso appunto come pensiero taciuto, dal grande significato esoterico e spirituale, perché lavoro di autodisciplina, di controllo interiore, di conquista della conoscenza.

«Certamente quella a cui si sottopone il Neofita è una prova sofferta, in certi casi un vero e proprio sacrificio in relazione al proprio carattere: ascoltare, senza poter parlare, senza poter esprimere ciò che istintivamente avverte prorompergli dal profondo dell'animo.

«Ma è proprio questa condizione che lo porta verso la Virtù: perché realizzare la forza del silenzio, conquistare la capacità di tacere fa parte del suo lavoro, attraverso il quale conoscerà vieppiù se stesso, apprenderà l'Arte e con il duro lavoro rituale renderà infine levigata la propria pietra, elemento basilare sul quale potrà nel proseguo innalzare il suo Tempio.

«È così che "parola" e "silenzio" assumono nel Rituale identico significato, perché identica ne è la finalità.

«C'è un momento unificante delle due espressioni e questo momento è rappresentato dalla "Batteria".

«La "Batteria" non ha nulla a che vedere con l'applauso profano, con quella calorosa approvazione che si esterna in battimani e in esclamazioni di lode e di incitamento: è evidente la differenza fra siffatto consenso e quello iniziatico che si esprime con la "Batteria".

«Il consenso che deriva dalla "Batteria" è rivolto a tutte le parole realizzate ed anche ai silenzi manifestati nel corso della Tornata, in una sintesi unitaria delle due espressioni che, al di fuori delle passioni, rappresentano quel lavoro di concatenazione fraterna e di trasmissione del messaggio massonico teso al bene ed al progresso dell'Umanità».


Fonte: Gianfranco Murtas
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