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Gianfranco Murtas

Chiusa la mostra degli scritti ignoti di Giuseppe Dessì e delle lettere di padre Giuseppe Pittau. Festa bella per don Angelo Pittau

di Gianfranco Murtas

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Sabato scorso 18 gennaio si è chiusa, dopo un mese, la mostra che nei locali dell’antico seminario diocesano di Villacidro (palazzo Brondo) ha presentato, esposte in circa 150 buste trasparenti affisse ad una decina di grandi pannelli, altrettante pagine de L’Unione Sarda e de La Nuova Sardegna che, fra gli anni ’40 e gli anni ’70, hanno accolto numerosi racconti di Giuseppe Dessì mai poi raccolti in volume.

Accanto a questa prevalente parte dessiana era stata esposta anche una raccolta delle lettere inviate da padre Giuseppe Pittau – l’altro villacidrese “cittadino del mondo” (ma invero bisognerebbe aggiungerne altri tre, o quattro o cinque, di villacidresi cittadini del mondo, in quel continente o in quell’altro…) – al mensile Confronto, che dal 1977 don Angelo Pittau, fratello minore del gesuita storico rettore della università Sophia di Tokio, diresse promuovendo per tre lustri pieni ampio dibattito sui temi dello sviluppo socio-economico del medio Campidano e della Sardegna tutta, della democrazia politica e sindacale, della pace, della Chiesa postconciliare.


Alla mostra io avevo pensato come dono da offrire alla comunità cidrese nell’occasione dell’ottantesimo compleanno compiuto, fortunatamente in buona salute e mente sempre fertile, da don Angelo, uomo di straordinarie qualità sociali ed ecclesiali, nel misto di indipendenza e comunionalità: poeta e scaricatore di porto a Marsiglia ed operaio a Torino, già professore e missionario nel Vietnam in guerra e poi, nello stesso paese, inviato dall’ONU per stendere un rapporto sul genocidio incombente sulla minoranza etnica dei montagnard.

Parti d’Ispi – avrebbe detto Dessì – e i meridiani e paralleli tutti in gioco, teatro di vita e relazioni.

Così l’avevo presentata questa manifestazione d’affetto che insieme doveva unire sentimento e memoria storica, religione e spirito civico, cultura letteraria e passione politica, l’umanità dei cidresi quidam e l’esempio dei migliori. Tutto all’insegna di “Angelo Pittau, dimensione uomo… la sua isola sarda, il suo vasto mondo”. E specificando: “Nel paese delle radici familiari, formative e morale, Nella Chiesa delle fronde di fraternità vissuta e donata, Nelle fatiche civili e sociali, fra giornalismo e comunità, Nella poesia, specchio di coscienza e documento pubblico, Nel calendario in cui anche noi entriamo, 1939-2019”.

Ecco due le due sezioni documentarie: “Giuseppe Dessì nelle sue collaborazioni a La Nuova Sardegna e a L’Unione Sarda”, “Padre Giuseppe Pittau S.J. ospite onorevole di Confronto, dal 1981 al 1990”.

Centocinquanta buste

Queste le presentazioni introduttive ai rispettivi repertori: 

Nelle raccolte postume (e segnatamente in Un pezzo di luna e Come un tiepido vento) è rifluita soltanto una parte dei racconti che Giuseppe Dessì aveva pubblicato sulla stampa quotidiana sarda soprattutto negli anni fra il 1949 e il 1960. Pochi altri erano entrati, al loro tempo, in La ballerina di carta o in La sposa in città. Meritava perciò recuperarli, sperabilmente tutti, e presentarli ai suoi compaesani, nell’occasione dell’80° compleanno di don Angelo Pittau, che con Dessì aveva intrattenuto, al tempo della sua tesi di laurea alla romana Pro Deo, nel 1967, immediatamente prima della propria partenza per il Vietnam, un rapporto amicale perfino di una qualche intimità e sviluppatosi poi negli anni.

La tesi – merita ricordarlo – s’intitolava L’ambiente sociale nell’opera di Giuseppe Dessì, era articolata in cinque capitoli, una premessa ed una conclusione, una appendice bibliografica ed una ampia «nota bibliografico-cronologica della pubblicazione delle opere di Giuseppe Dessì». 

Lo scrittore iniziò le sue collaborazioni continuative con la stampa sarda nel 1949. Avvenne con La Nuova Sardegna (d’altra parte è noto che egli fu, fino al 1948, provveditore agli Studi della provincia di Sassari: allora, e più precisamente fra il 1944 ed il 1946, il suo nome comparve tra i fondatori e i collaboratori più assidui di Riscossa, il periodico antifascista di speciale vocazione ecumenica, fra socialisti, repubblicani ed azionisti, sardisti e democristiani, liberali e com(d’altra parte è noto che egli fu, fino al 1948, provveditore agli Studi della provincia di Sassari: allora, e più precisamente fra il 1944 ed il 1946, il suo nome comparve tra i fondatori e i collaboratori più assidui di Riscossa, il periodico antifascista di speciale vocazione ecumenica, fra socialisti, repubblicani ed azionisti, sardisti e democristiani, liberali e comunisti, diretto da Francesco Spanu Satta).

Non furono numerosi, allora, i suoi contributi alla pagina culturale del quotidiano sassarese (inizialmente a quattro pagine soltanto, gli spazi da dedicare alla riflessione artistico/letteraria o storica o religiosa erano di necessità ridotti): una quindicina soltanto lungo un sessennio, fino cioè al 1955 quando cominciò la collaborazione con L’Unione Sarda protrattasi per un lustro circa.

Nell’arco complessivo dunque di quel decennio o poco più, e fino all’uscita de I passeri o poco dopo, sommando quelli usciti su La Nuova Sardegna e quelli de L’Unione Sarda, Dessì pubblicò circa cento racconti.

Naturalmente entrambe le testate, nello stesso periodo e negli anni anche immediatamente successivi – quando uscirono sia La ballerina di carta che Isola dell’Angelo e altri racconti, e poi Il disertore e Lei era l’acqua –, ospitarono ripetutamente anche recensioni delle sue maggiori opere e diverse notizie di cronaca riferite alle iniziative letterarie che lo avevano protagonista. 

E’ infine ben risaputo che nei primi ’60 Dessì collaborò intensamente con la Rai sia offrendo il soggetto per l’originale televisivo La trincea con cui il 4 novembre 1961 l’emittente di Stato avviò la programmazione del Secondo Canale, sia curando alcune trasmissioni per il Canale Nazionale, illustrative di una Sardegna ancora per larga parte agro-pastorale e mineraria e duramente salassata da correnti migratorie verso le città industriali del continente o addirittura l’estero (titolo della serie La Sardegna, un itinerario nel tempo, articolata in tre parti e messa in onda nell’agosto 1963).

Non mancarono mai i ritorni dei giornali alla sua produzione anche negli anni in cui lo scrittore pareva essersi ritratto dalla vita pubblica: era quello, in verità, il tempo in cui la malattia lo aveva gravemente costretto a prolungata degenza e, a casa, ad una autonomia soltanto parziale, ed il tempo anche in cui le sue migliori risorse egli le incanalava, oltreché in un paziente ma sempre creativo esercizio di pittura, nello sviluppo della trama del suo Paese d’ombre, vincitore del premio “Strega” nel 1972.  

Nel 1974 e per un anno circa Dessì riprese una intensa collaborazione con La Nuova Sardegna e pressoché nello stesso periodo anche L’Unione Sarda offerse larghi spazi all’autore e al suo mondo ideale, con articoli e speciali affidati ai migliori critici letterari isolani.

La morte dello scrittore, avvenuta nel luglio 1977, e il trasferimento delle sue spoglie nell’amata Villacidro, realizzato nel febbraio successivo, per una sepoltura onorata dalla “pietra” disegnata da Maria Lai nuovamente furono occasione per la stampa regionale di un ritorno sulla grande personalità e la produzione di Giuseppe Dessì. Datano da allora numerosi altri articoli di cui, nella presente rassegna, si presenta, in supplemento, soltanto una breve selezione.

Ecco di seguito i titoli (con eventuale occhiello) dei racconti pubblicati sia su La Nuova Sardegna che su L’Unione Sarda, riuniti per “stagione”: negli anni fra ’40 e ’50, negli anni ’60 e fino al successo dello “Strega”, dal 1974 alla morte e poi.

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Confronto – il mensile fondato a Villacidro da don Angelo Pittau insieme con un pugno di amici di varia collocazione ideale e politica – si presentò alla pubblica distribuzione, con il suo primo numero di serie nel maggio 1977.

La firma di padre Giuseppe Pittau S.J., o notizie riferibili alla sua attività accademica e religiosa di ormai consolidata espressione in Giappone, come successivamente anche a quella di assistente del delegato pontificio per la Compagnia di Gesù (secondo la volontà di papa Giovanni Paolo II), apparvero frequentemente sul giornale. Così fino al 1990.

Chiaramente ciò era merito del valore delle riflessioni e degli argomenti del Padre, ma era anche ideale evidenza della stima grande che don Angelo Pittau, direttore responsabile della testata, nutriva per il fratello maggiore.

Come è noto, egli fu poi (dal 1992 al 1998) rettore della Università Gregoriana e quindi arcivescovo titolare di Castro di Sardegna e, fino al 2003, segretario della Congregazione per l’educazione cattolica (dei seminari e degli istituti di studio). Allora, purtroppo, Confronto viveva la parte finale della sua esperienza, e non poté più farsi testimone delle generose fatiche di quel gesuita offerto da Villacidro alle missioni mondiali.

In questo pannello sono dunque accolti gli articoli che fanno riferimento a padre Giuseppe e gli spazi riservati ai suoi scritti.

Cronaca dei saluti

In un precedente articolo – quello del 16 dicembre – ho dato conto della manifestazione di apertura dell’evento, ora vorrei lasciare una traccia di quella di chiusura.

La serata è stata organizzata combinando momenti di lettura (in specie di pagine di Giuseppe Dessì e di padre Pittau) e proiezioni video e fotografiche, esecuzioni musicali e interventi a braccio, spontanei e fraterni, dei presenti.

Ho aperto io con la lettura di tre brevi brani poetici rivelatori della tensione mondialista – così era stato fin dalla sua adolescenza! – di don Angelo: “A Giuseppe Dessì” (Confronto, luglio-agosto 1977, nell’occasione della morte dello scrittore); “Sakura” (dalla raccolta Leggére: “Giuseppe / i tuoi occhi / sono stanchi di contemplare…”) e “Kamakura” (idem, “… nell’infanzia la sera guardavo / monte Omu / e le stelle alte ad indicarlo / nel mio andare a Torino / guardavo le Alpi innevate / in Vietnam a Dalat / negli altopiani annamiti / guardavo il Long Bian / abitato da uomini venuti dal mare…”). 

Ho poi letto alcuni passaggi del dessiano “La donna sarda”, uscito su La Nuova Sardegna del 23 gennaio 1949 mentre Stefania Pusceddu ha proposto altri stralci da “Paese d’ombre” e da “Resurrezione e morte del figlio disertore” (rispettivamente da L’Unione Sarda del 28 agosto 1955 e da La Nuova Sardegna del 7 giugno 1975). Andrea Giulio Pirastu ha dato lettura del messaggio di padre Pittau che fa riferimento all’eccidio dei gesuiti di San Salvador, assassinati dagli stessi assassini barbarissimi di monsignor Romero, San Romero d’America (Confronto, febbraio 1990), ed io un estratto della lettera “Lascio la Sophia” (idem, gennaio 1981) e una pagina autobiografica in cui lo stesso religioso ricorda come il genitore nella Villacidro degli anni ’30 abilmente dribblava i gerarchetti fascisti evitando che i figli disertassero le lezioni di catechismo per andarsene a marciare come soldati scemi del regime (così dal libro Testimone di un’epoca: l’educazione e la fede, recentemente tradotto in italiano dal giapponese: in esso sono raccolte le 23 puntate autobiografiche dettate al quotidiano Yomiuri di Tokio – 5 milioni di copie la sua tiratura).

Le proiezioni sono state un momento particolarmente gradito della serata: per un quarto d’ora il pubblico ha potuto assistere a un video registrato e montato da Andrea Giulio Pirastu in occasione della raccolta dei materiali per il libro intervista Viaggiando Chiesa, pubblicato alla fine del 2018: in particolare si era scelta la parte in cui don Angelo raccontava della famiglia Pittau com’era negli anni della propria infanzia e poi della sua esperienza di studio al seminario diocesano di Seddanus, prima di partire per il liceo e la teologia a Cuglieri. Un racconto spumeggiante…

Successivamente abbiamo proiettato una gustosissima sequenza di fotografie che, inserite in Viaggiando Chiesa, costituiscono come il racconto per immagini della biografia del protagonista, compresi appunto gli otto anni trascorsi a Cuglieri, compresa l’ordinazione presbiterale nel 1965 nella chiesa madre di Santa Barbara e la prima messa nella parrocchiale di Sant’Antonio, compresa l’esperienza vietnamita e quella operaia torinese, comprese le fatiche del ritorno a Villacidro e della fondazione della parrocchia alle casermette e poi dei “sistema” sociale, fra comunità e case-alloggio, nel quadro delle iniziative della Caritas e anche oltre la Caritas…

Appassionato l’intervento del vicesindaco Giovanni Spano, figlio dell’indimenticato onorevole SalvatorAngelo Spano, già presidente della Regione ed esponente di punta, fin dalla gioventù, del laicato cattolico della diocesi di Ales: fu lui a portare, nel seminario di palazzo Brondo, in un dopocena del 1955 e del 1956, Carlo Carretto, esponente di punta dell’Azione Cattolica poi infilzato, lui come Arturo Paoli e quanti altri, dai reazionari alla testa delle gerarchie ecclesiali italiane, e rinato – appunto con Arturo Paoli e quanti altri – nelle dinamiche spirituali e operaie dei Piccoli Fratelli…

Bravo Gianni Deidda, che, accompagnandosi alla chitarra, ha dedicato a don Pittau due classici napoletani: “Anema e core”, “Resta cu’ me” e la dolce melodia di “E se domani”.

Assolutamente magnifico Sergio Erbì, liceale maturando del Piga ed allievo del maestro Marco Fonnesu nell’associazione musicale Santa Cecilia: da lui, applauditissimo al piano, “Le regole della casa del sidro” e “Le onde di Einaudi”. 

Prima della conclusione ho dovuto, interprete di tutti, ritagliarmi altri due momenti espressivi di un confermato fraterno consentimento con don Angelo Pittau e dell’ammirazione che le sue fatiche mi hanno sempre spontaneamente suscitato: ho presentato in rapida sequenza le puntate del suo libro sulla guerra del Vietnam e le critiche prospettive di pace (furono gli argomenti che determinarono la sua cacciata dal paese per volontà del governo militare alleato degli americani), puntate portate in internet attraverso proprio il sito di Giornalia fondato da Andrea Giulio Pirastu. Ora il libro (Vietnam: una pace difficile) è stato ristampato e don Pittau ha voluto donarne una copia a ciascuno dei presenti, insieme con un altro gioiellino dal titolo Un diario ritrovato: prete operaio in Francia. Cento pagine di formato piccolo in cui il presbitero (mille volte presbitero più che sacerdote) allora trentenne recuperava gradualmente le sue forze dallo strazio della cacciata, in replay della cacciata di padre Giorgio Melis, altro gesuita inquieto, e rielaborava tutto della sua vita per i nuovi avanzamenti: per diventare prete bisogna prima di tutto essere uomini davvero, l’umanità prima della teologia o della liturgia, l’umanità… ecco la grande conquista! l’umanità stessa dei suoi fratelli ai quali avrebbe voluto baciare le mani perché dal loro duro lavoro in campagna, fra orti e animali, erano anche venute le risorse che gli avevano consentito di studiare…  

Il giorno del prete

Ho quindi dato lettura dei versi, per me particolarmente significativi, consegnati all’ultima sua silloge dal prete-poeta che, in tuta una volta, in tuta mentalmente sempre, veste la cravatta più spesso che il collarino romano, conosce le parolacce e sa leggere i bilanci, offre opportunità a tutti ma esige impegno e lealtà, si fa abbracciare dai malati psichici e dai ragazzi di piazza cui ha donato una casa e, con le cooperative o i corsi professionali, un futuro possibile…. Questi versi: 

La mattina / quando si è fatto silenzio / prima o assieme al mondo che comincia / a correre, a lavorare /

ti incontro Signore / in lungo ascolto / di pace / le onde del fare non si sono ancora / svegliate

all'alba / donne e uomini / s'affrettano / per l'ascolto della Parola / per lo spezzare il Pane / per la pace nell'andare / ed io sono lì o Signore / a dare la Parola, il Pane, la Pace / 

nel giorno / è un incontrare i volti / anziani, nonne, mamme, padri / giovani / un calice di sofferenze d'ansie di paure/ di poche speranze / Signore

giovani senza lavoro / famiglie infrante / figli soli / donne violentate / bambini violati / uomini con lo spirito incatenato / larve bruciate dalle droghe / scampati da regioni inumane / da deserti di fame / anziani affaticati dalla vita / una solitudine infinita / Signore

Le ore passano / fra il correre delle macchine / questo film di terre incolte / di lavori falliti / di speranze infrante / Signore 

E la sera / la sera salgo lento le scale / della casa / grande, vuota, fredda / affranto e stanco Signore / dal peso delle ore / mi ritiro nel deserto / e nella notte vigile aspetto l'alba / e la Tua venuta / Sentinella / a che punto è la notte? / Vieni Signore Gesù.

In ultimo a parlare è lui, don Angelo generale di Villacidro, prete diocesano entrato, prima che nella storia scritta dei libri per le conoscenze delle future generazioni, nel sentimento di tutti. Il suo tema forte, assillante è la “parresia”, la franchezza evangelica, il parlare chiaro, il denunciare una fragilità dei comportamenti che fa, farà male a tutti. La Chiesa è la prima imputata, perché quella che doveva, deve, per prima dare l’esempio, la testimonianza. 

Le chiese vuote, la diserzione dai sacramenti, i preti come impiegati consumatori dell’8 per mille, la casa garantita… una casta… troppi giovani e giovanissimi in maschera, con il restyling di saturni e berrette, fasce e pizzi, latinorum e diffidenza antigiudea, trentenni reduci di Lepanto che vestono tutto nero, come don Abbondio e i preti del papa-re fatto beato nonostante la ghigliottina azionata alla grande sotto il suo pontificato anti-italiano… ma in ogni diocesi, dieci preti santi e lavoratori, esemplari, riferimento segreto agli scoraggiati. 


Fonte: Gianfranco Murtas
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