Fra appartenenza e universalità. A Campu’e Luas quella volta, per l’uomo planetario
di Gianfranco Murtas
Tra i file sparsi e finalmente riuniti una volta in volume (Ricerche, Ricordi, Riflessioni Anno 2001) mi è particolarmente caro quello di un testo teatrale che, per insorti momenti di crisi, dovemmo poi abbandonare, dopo tante prove, in comunità, a Campu’e Luas, dove ancora per qualche anno – dopo la chiusura di San Mauro – resistevano le strutture di Mondo X Sardegna impiantate in quell’agro di Uta nel 1985.
A vent’anni dalla morte di Baingio Piras – cui il lavoro era dedicato – mi sembra bello proporlo, o riproporlo, quel testo che voleva essere una riflessione, forse vaga ma generosa nei suoi motivi ispiratori, sui termini della identità nel tempo della globalizzazione. E per Baingio: davvero nessuno muore mai finché una eco della sua testimonianza di vita rimane nella coscienza di chi è stato attento.
Per te, Baingio Piras
A Campu 'e Luas stiamo preparando, ora è da qualche settimana, uno "spettacolo" in onore del nostro amico Baingio. Avremmo voluto dedicarglielo - e già ci lavoravamo - due anni fa, quando egli era ancora con noi, per sostenerlo nel suo malessere con un apporto di stima e d'affetto.
Andremo in scena (per gli intimi, cioè per noi stessi) nei giorni fra Natale e l'Epifania 2002, o forse a San Mauro a gennaio. Questo è il copione...
Gianfranco Murtas. Questa nostra rappresentazione è in onore di Baingio Piras, che amiamo pensare sia qui presente con noi. Non è ricorrenza di compleanno, né di onomastico, né di altro. Si avvicina il secondo anniversario della sua morte. Lo spunto ci è stato fornito dalla dedica a lui di un mio libro, quasi alla vigilia della morte: «A Baingio Piras, ovvero la fertilità pedagogica della sofferenza». Glielo donai, al solito, un po' giocando: con un sotterfugio riuscii a lasciargli in volume sul letto, là a clinica Aresu dove era ricoverato, e lui lo trovò soltanto dopo che me ne fui andato. Sono immaginabili le sue reazioni. Fu quasi felicità, era un modesto risarcimento.
Il libro era la biografia di un avvocato e giornalista sassarese, mazziniano in tempi di monarchia, ed antifascista durante la dittatura (fu tre volte in carcere), che Baingio aveva conosciuto nella sua giovinezza: Michele Saba.
Noi come comunità vogliamo rinnovare oggi a Baingio, presente fra noi – ripeto - per grazia certa di Domineddio, affetto e stima. Sulla linea degli incontri impossibili, come è stato quello delle Palme 1998 - "Presso Gerusalemme, al civico 281 di Villanova" - abbiamo realizzato questo meeting virtuale che sarà condotto da Baingio stesso
(si alza Fabio a salutare il pubblico)
per cercare di affrontare un tema impegnativo - "L'uomo planetario, oltre I'identità" - che ci sembra di speciale attualità anche nella nostra isola: insomma, il rapporto fra l'identità, che ci richiama alla tradizione, al nostro passato di popolo, e la globalizzazione, che è portato inevitabile del tempo moderno, con quanto ne consegue in termini di omologazione, cioè di appiattimento di culture e modi di essere, ecc.
I fenomeni migratori in corso pongono all'ordine del giorno delle società e dei governi i nuovi problemi dell'inserimento, dell'organizzazione di una società multietnica che cerca un suo equilibrio...
Ma prima di cedere la parola a Baingio ed ai suoi ospiti - visto che fra loro ce n'è uno che entra giusto giusto nel discorso - a proposito di identità, vorrei leggere qualche riga di una vecchia cronaca del Giornale d'Italia, 30 novembre 1914, che ho ritrovato in biblioteca:
«... Parla quindi a nome dei goliardi sardi, il segretario dell'Associazione Universitaria sassarese: Michele Saba... Ricorda la commossa vibrante strofa elevata dopo la strage dei minatori di Buggerru, il canto delle genti dei Logudoro per l'alternos liberatore, l'ode alle madri di Sardegna ove invocava l'augusto regno della giustizia dopo un infinito gorgo di odio, di onte e di affanni, la consacrazione di Francesco Ciusa, il figlio glorioso, il saluto ai goliardi di Sardegna riuniti a Nuoro, il canto della Bontà per i maestri italiani, e conclude rivolgendosi al figlio del Poeta: "Vindice, non sarai solo a salire le vette del Gennargentu, fonte della tua baldanza, come sognava il padre tuo. Ad esaltare il poeta di nostra gente derelitta... sarà con te la gioventù di Sardegna. In un meriggio, nel fulgore dei sole, con la forza dei nostri anni, coll'entusiasmo della nostra gioventù, eleveremo al poeta, al padre nostro cantici di gloria, di gloria, di gloria... ».
Sebastiano Satta. Ah, le ricordo bene quelle parole dei giovane Saba. Si celebravano i miei funerali a Nuoro, funerali di popolo, mi amavano. Allora, nei Balcani era già scoppiata la prima guerra mondiale, l'Italia sarebbe intervenuta cinque mesi dopo, nel maggio del '15. Avrebbe partecipato a quella guerra che qualcuno definì "quarta dell'indipendenza nazionale", sperando di poter finalmente strappare al nemico austriaco le terre che parlavano italiano - Trento, Trieste... - come alla fine si riuscì ad ottenere.
Baingio. Era la tragica guerra cui avrebbe partecipato anche la mitica Brigata Sassari, formata in gran parte da nostri corregionali, anche nell'ufficialità... Emilio Lussu era capitano della "Sassari", ne ha scritto in un libro bellissimo dal titolo Un anno sull'altipiano..., questo qui
(Baingio prende il libro dal tavolo, guarda la copertina, poi lo ripone).
Nella guerra "italiana" contro l'Austria morirono 13.602 sardi, e della sola Brigata Sassari morirono in 2.000, e furono feriti, mutilati o dispersi ben 12.000 uomini... la Brigata fu sfatta e rifatta dieci volte.
Sebastiano Satta. Esatto, in quelle trincee nacque anche l'idea dell'autonomia regionale della Sardegna. Tutto si giocò fra 1917 e 1918: dopo la disfatta di Caporetto, il governo cercò di dare una motivazione forte ai soldati scoraggiati, soldati giovani che, nella vita civile, altro non erano che gente delle campagne, pastori e contadini... Allora il mezzogiorno italiano era, ben più di adesso, a economia rurale. E la motivazione trovata fu quella della riforma agraria, quella di poter diventare padroni del proprio lavoro nelle campagne, insomma la piccola proprietà, le cooperative... E insieme a questo progetto prese ad affacciarsi l'idea dell'autogoverno, pur all'interno dello stato unitario come era uscito dal risorgimento. Sardi ma anche italiani, i sardi si sentivano italiani.
Baingio. Avvocato, i giovani amavano i suoi Canti - i Canti barbaricini e quelli del salto e della tanca, che erano intrisi di sardità...
(Baingio prende il libro dal tavolo, guarda la copertina, poi lo ripone)
Totò. Posso?
(ora prende lui lo stesso libro e legge lentamente i versi).
«Sardegna, o Madre... Se l'aurora arderà su' tuoi graniti / Tu lo dovrai, Sardegna, ai nuovi figli...». Scusate la pronuncia. Erano i versi dedicati alla "madre dell'ucciso" e dunque all'autore della "madre dell'ucciso", cioè lo scultore Francesco Ciusa, che era suo amico fraterno, mi pare, avvocato.
Sebastiano Satta. Grazie, principe. Non vorrei parlare di me, ma so che padre Morittu, qui presente, ha attinto da una delle mie poesie per formulare la sua dedica nella Bibbia che dona ai ragazzi che escono, al termine del cammino comunitario...
Baingio.
(prende dal tavolo ancora il libro e, cercata la pagina, legge con voce grave e lenta):
«... e l'astro / Nostro ti segua, e dovunque tu vada / Ti si muti in olivo l'olivastro...».
Sebastiano Satta. Sono alcuni versi dell' "Aquilastro", una composizione a cui sono molto legato, che fa parte della raccolta Canti del salto e della tanca.
Baingio. Bene, l'avvocato Sebastiano Satta, nuorese, sardo doc, ci ha introdotto al nostro dibattito. Noi sardi siamo, direi geneticamente, in quanto isolani, portatori di un sentimento della identità che forse altri non hanno, magari perché, vivendo in territori confinanti con altri, da loro è più semplice lo scambio, il mischiarsi, e quindi attenuare la propria specificità...
Gesù di Nazaret. Non sono d'accordo, anzi per un certo verso concordo, ma per un altro la penso esattamente all'opposto. Vorrei dire di queste seconde ragioni. Io vengo da un paese, la Palestina, che è in rapporti strettissimi con tutta l'area circostante: Libano, Siria, Giordania, Iraq, Egitto, ecc.
Salvatore Morittu. La sua, Domine, è una terra di passaggio obbligato per i popoli, o magari soltanto per le persone, che da est vanno ad ovest, e da ovest vanno ad est. Parlo soprattutto del tempo in cui ancora non si volava ed il transito era proprio effettivo, c'erano e ci sono i porti...
Gesù di Nazaret. Ecco, la riflessione che vorrei fare è questa: ci siamo abituati a vedere la Terra, il nostro pianeta, dai satelliti mandati a girarci attorno nello spazio. Vista da lì, la Terra sembra un'isola nel grande mare del sistema solare, o nel mare della galassia - la Via Lattea -, e oltre ancora. Osservando questa realtà fisica, viene spontaneo pensare dunque alla Terra come ad una unità, ed all'umanità come ad un solo popolo con un comune destino. Le differenze fra razze, religioni, modi di essere... zero.
Salvatore Morittu. Insomma, l'idea che vien fuori da questa visione, anche secondo me, è un'idea di pace come cosa ovvia, scontata.
Totò. Il mio amico Alberto Einstein, ebreo tedesco negli anni delle persecuzioni naziste, a chi gli chiese a quale razza appartenesse, rispose: «alla razza umana».
Gesù di Nazaret. Appunto. Volevo dire questo: forse un isolano sa combinare meglio di qualunque altro il sentimento dell'identità, cioè dell'appartenenza ad un territorio e ad una tradizione, con quello dell'universalità, della sorte comune, e sa perciò farsi accogliente, ospitale, rispettoso delle altrui identità che egli vive come un arricchimento del suo essere...
Salvatore Morittu. ... quel "quasi un continente" può diventare proprio un "continente intero".
Totò. Posso azzardare un parallelo? Lo dico da laico: come i mistici che, nel loro assoluto isolamento, perdono il senso dell'individuo e anzi dell'individualismo, dell'essere separati, e scoprono invece nella propria natura un "essere sociale", un esistere insieme con tutti gli altri, nessuno escluso. Sì, direi con padre Balducci: proprio l'"uomo planetario".
Baingio. Ci sono due aspetti nel problema che stiamo affrontando, due aspetti opposti che, però, ad esplorarli bene, portano alla stessa conclusione. Da una parte si punta all'armonia planetaria guardando al fondo dell'umanità, a quello che ci fa uguali l'uno all'altro, prescindendo dalle radici che "caratterizzano": etnia, storia, tradizioni, lingua, religione, ecc.; dall'altra si giunge all'armonia planetaria valorizzando ciascuno la propria specificità, ma contemporaneamente "godendosi" - se posso dire così - l'altrui diversità, godendosela ed anche assumendosela, naturalmente in modo critico, selettivo, acquisendone i valori ritenuti positivi.
Sebastiano Satta. I sardi hanno sempre temuto quelli che venivano da fuori perché erano dei colonizzatori... Africani di Cartagine - 200 anni -; e dopo i punici sono venuti i romani - 700 anni -; e dopo, i vandali, che erano europei del nord che avevano conquistato l'Africa mediterranea, da dove infine arrivarono da noi - 100 anni —; e quelli dell'oriente, i bizantini cioè - 300 anni - ... E superato l'anno mille, ecco gli italiani delle repubbliche marinare - Genova, Pisa - con cui erano in buoni rapporti commerciali i nostri governanti dei giudicati e le nostre popolazioni, sì anche loro sono diventati padroni; e dopo ancora ecco gli spagnoli, anzi gli aragonesi e catalani della zona di Barcellona: si erano voluti prendere la Sardegna perché il papa Bonifacio VIII (quello che Dante nella Divina Commedia mette all'inferno: ma poi non c'è finito, perché s'è pentito), dicevo, perché Bonifacio VIII si era inventato l'esistenza di un regno di Sardegna e Corsica su cui poteva decidere lui, e appunto aveva deciso di regalarlo ai suoi fedeli aragonesi-spagnoli...
Totò. Un po' la so anch'io la vostra storia, perché in quel periodo gli spagnoli stavano non soltanto da voi, ma anche da noi, nella bella Napoli... Sapete che le zone antiche centrali di Napoli si chiamano ancora "quartieri spagnoli"?
Sebastiano Satta. Insomma, era per dire che dal mare sono venuti... furat chi benit da 'e su mare... e questa idea è rimasta e fa a pugni con l'altra idea che vuole la Sardegna essere aperta a 360 gradi.
Gesù di Nazaret. Lo capisco, è stata una storia di oltre duemila anni, cominciata prima ancora che in Cielo Domineddio decidesse definitivamente di mandarmi sulla Terra per riproporre il modello originario della creazione...
Salvatore Morittu. ... la felicità dell'uomo è nella lealtà con Dio e nel servizio alla giustizia, nella condivisione con gli esclusi...
Gesù di Nazaret. Comprendo la sofferenza della vostra storia, però capita che chi viene da fuori può voler rubare, depredare le ricchezze costate la fatica delle generazioni...
Baingio. Pensavo a un secolo fa, ai carbonai toscani che distruggevano i nostri boschi, come racconta Giuseppe Dessì in Paese d'ombre, cioè Villacidro, la Villacidro del nostro amico Piero Serra…
(prende il libro dal tavolo, guarda la copertina, poi lo ripone). L'ha letto, Santità-Eminenza-Eccellenza?
Gesù di Nazaret. Lasci stare i titoli, fratello. Quelli sono fatti per chi ne ha bisogno, a me piacciono semmai di dom-don alla Helder Camara o alla Tonino Bello. Anche "monsignore" lo accetto, soltanto però quando gli si dà il significato che il popolo di San Salvador dava al mio amico carissimo Oscar Arnulfo Romero...
Salvatore Morittu. ... protettore dei poveri, difensore di una causa per la quale si è pronti anche al sacrificio della vita...
Baingio. Mi scusi l'interruzione, dom Gesù. Diceva?
Gesù di Nazaret. Dicevo, uno sì può venire a rubare, ma può anche venire a dare, ad arricchire moralmente e materialmente chi lo accoglie, a offrire il proprio ingegno e il proprio lavoro...
Totò. Sono d'accordissimo con Nostro Signore. Pensate, per esempio, alla ricchezza umana che può avervi dato, a voi isolani (e isolati), la presenza nelle vostre scuole, soprattutto nel secolo scorso, o all'inizio di questo, di professori d'oltre Tirreno, che portavano altre esperienze, altri orizzonti culturali. Come, d'altra parte, i giovani sardi che, nel tempo in cui viaggiare era cosa rara, sono sicuramente cresciuti umanamente, sul piano delle esperienze, frequentando da militari le grandi città del continente, compresa la mia bellissima Napoli.
Baingio. Non c'è dubbio che l'arricchimento di una personalità avviene nel confronto. Anche perché uno finisce così per prendere maggiore consapevolezza di se stesso... Uno, per dirla in una battuta, può convincersi di essere alto per il fatto che si è sempre misurato con i nani, ma quando cambia metro... allora scopre magari di essere bassottino.
Gesù di Nazaret. Io non ho inventato niente, lo sapete: né religioni né chiese, come dice il mio amico Ettore Cannavera. Ho inventato l'amore, semmai, - cioè il senso di responsabilità dell'uno nei confronti dell'altro - perché il Padre che ho nei cieli mi ha educato così; e poi l'ho esportato questo programma di vita...
Salvatore Morittu. ... attorno ad esso si è riunito dapprima un gruppetto di amici, un po' incantati e un po' impauriti, e poi altri amici degli amici, e ancora i loro figli e i nipoti e i bisnipoti per molte generazioni, dilagando dall'asse Gerusalemme-Roma a tutta l'area mediterranea e agli altri continenti. Insomma, è venuta fuori la Chiesa nel senso della comunità, della condivisione degli stessi ideali nella pratica quotidiana di vita (questa condivisione la chiamiamo "comunione")...
Gesù di Nazaret. ... e anche se molte cose non mi piacciono nella Chiesa d'oggi.
Sebastiano Satta. Anche a me, che pure sono avvocato: troppi codici e troppi tribunali...
Gesù di Nazaret. ... il bello di questa Chiesa è l'universalità, la presenza insieme di culture e storie millenarie molto diverse fra di loro, asiatiche ed americane, europee ed africane, latine e slave, indie, ecc. A me mi hanno fatto cinese ed esquimese, congolese ecc., mi piace molto questo.
Sebastiano Satta. Intervengo un po' da mangiapreti, ma in Paradiso mi pare che siamo la maggioranza noi. So che c'è un certo sforzo di "inculturazione", come si dice, cioè di tradurre i valori del Vangelo nei linguaggi culturali e simbolici dei vari popoli. Si cerca di rispettare certe forme e anche certi contenuti di civiltà ritenuti compatibili col Vangelo, benché certi cardinali abbiano la puzza sotto il naso... In certe tribù africane che per millenni hanno celebrato il rito di cibarsi delle ceneri degli antenati, forse si capisce il mistero dell'eucarestia più che in Vaticano.
Gesù di Nazaret. Sì, questa universalità è come un mosaico...
Salvatore Morittu. ... ogni tessera deve rimanere se stessa, sennò non serve; essa offre la propria originalità, la propria sagoma e il proprio colore al grande quadro, che in questo caso è la comunità dei battezzati che però non si basa sui certificati di battesimo che rilasciano i parroci...
Gesù di Nazaret. ... Nel quadro-Chiesa ogni tessera sa di partecipare ad un'impresa comune, sa di essere importante, ed è felice di partecipare.
Totò. Insomma, niente conformismo, niente appiattimento. Bisogna essere orgogliosi di sé, del buono che c'è dentro di sé naturalmente, non del peggio; quello bisogna cambiarlo, non conservarlo. Ma il meglio bisogna donarlo.
(Gianfranco porge un foglio a Baingio)
Baingio. Mi consegnano un fax. E' firmato da padre Ernesto Balducci, teologo, un toscano amico di don Milani e padre Turoldo con cui ha rifatto compagnia in Paradiso da poco. Un'altra caratteristica sua, che tutti sanno, è che non era molto amato in Vaticano...
(scorre velocemente il testo, poi dice):
Dunque, ah ecco, l'uomo planetario. Interessante. Posso chiedere a uno di voi, in platea, di dame lettura? Annibale, fai tu?
Annibale (prende il foglio e legge):
«Il 3 febbraio 1943, nelle acque della Groenlandia, la Dorchester, colpita da un siluro tedesco, stava per affondare. Chi non aveva un salvagente era perduto. "Nella lotta selvaggia per la vita", racconta un testimone, "quattro uomini rimasero calmi e consapevoli, quattro cappellani militari: un rabbino, un sacerdote cattolico e due pastori evangelici. Si erano legati l'uno all'altro per non cadere dalla coperta viscida e già fortemente inclinata. Tutti e quattro avevano avuto la loro cintura di salvataggio, ma ciascuno aveva offerto la propria ad un uomo dell'equipaggio. Allorché la Dorchester s'impennò, prima di calare definitivamente a picco tra i flutti, si videro i quattro per l'ultima volta. Stavano ritti e immobili tenendosi per mano, addossati contro il parapetto: pregavano”.
«Da quando ebbi notizia del fatto, la catena dei quattro uomini di Dio è entrata a far parte del mio mondo interiore: è come l'orizzonte simbolico in cui mi imbatto quando mi volgo indietro per fissare il momento in cui cominciò ad inabissarsi il passato di cui sono figlio e a prender forma quel futuro a cui non riesco ancora a dare un volto. Nel gesto dei quattro eroi non c'è solo l'atto individuale che più d'ogni altro avvicina l'uomo a Dio, c'è la fine dell'età delle molte religioni, la fine volontaria che ha partorito l'unica religione all'altezza della nuova età della nostra specie: la religione che assume come valore sommo la salvezza dell'uomo anche mediante il dono della propria vita. La novità della situazione storica è che ormai l'umanità si trova raggruppata in un breve spazio nel quale si stanno consumando le pareti di separazione tra le molte etnie...
«L'uomo planetario è l'uomo postcristiano.
«La qualifica di cristiano mi pesa. Mi dà soddisfazione sapere che i primi credenti in Cristo la ignoravano. Il termine fu inventato ad Antiochia, nel 43, dai burocrati e dai militari romani che, per ragioni di ordine pubblico, avevano bisogno di identificare in qualche molto certe comunità poco conformi alle regole della società. Dunque, un'invenzione del potere, che distingue per meglio dominare… Chi ancora si professa ateo, o marxista, o laico e ha bisogno di un cristiano per completare la serie delle rappresentanze sul proscenio della cultura, non mi cerchi. Io non sono che un uomo».
Baingio. Grazie. Dobbiamo andare verso la conclusione di questo nostro dibattito. All'ordine del giorno è la società multietnica.
Sebastiano Satta. Credo che per la società civile valga quello che Nostro Signore ha detto prima riferendosi alla sua Chiesa. Vedo che le migrazioni incrociate fra est ed ovest, fra nord e sud, pur essendo determinate da ragioni quasi sempre di bisogno materiale, portano a questa situazione: a un dover accogliere da una parte, e accogliere rispettando le diversità che arrivano (esempio: i musulmani in Italia con la loro religione e le loro abitudini di vita), e dall'altra a un doversi inserire rispettando la cultura del luogo in cui si approda, l'organizzazione sociale che si trova davanti, e non solo le leggi.
Baingio. Un equilibrio difficile fra due esigenze opposte...
Gesù di Nazaret. Fra due opportunità...
Salvatore Morittu. ... fra due reciproche aperture, entrambe necessarie se si vuole realizzare buon vicinato ed integrazione nella libertà, cioè una pace quotidiana che arricchisca tutti quanti.
Totò. Io ho militato a lungo in massoneria, ed in loggia ho scritto quella poesia che tutti conoscono - "A livella", - che Fabio e Gianluigi hanno letto recentemente, a una cena di comunità...e m'ero ispirato a uno strumento simbolico dell'arte
(prende il suo libro e legge lentamente):
«A morte 'o ssaje chd' è?... è una livella. / Nu rre, 'nu maggistrato, 'nu grand' ommo / trasenno stu cancello ha fttt' o punto / c'ha perzo tutto, 'a vita e pure 'o nomme...». Insomma, una poesia, direi, non tanto sulla morte, quanto sul valore dell'uguaglianza fra gli uomini: libertà, uguaglianza, fratellanza.
Salvatore Morittu. Ah, fratellanza. Lo sapete che Kipling, l'autore di Kim, di questo libro
(prende il libro e lo mostra agli altri)
ha raccontato di essere stato, lui cristiano protestante, avvicinato da un massone ebreo, iniziato da un massone indù e poi promosso nei vari gradi da un massone maomettano?
Baingio. Mi pare di capire che ciascuno, orgoglioso della propria identità, debba cogliere nel suo fondo ideale questo interesse al dialogo e al confronto. Anche l'ecumenismo è un'applicazione di questa idea. Parlarsi e lavorare insieme, anche pregare insieme, dopo secoli di reciproche scomuniche... Il principe prima ha citato Einstein, che forse è stato l'uomo più intelligente che la natura abbia regalato all'umanità. Lui una volta ha scritto
(prende il libro e legge a pagina 89):
«Se i fedeli delle attuali religioni volessero davvero pensare e agire nello spirito dei fondatori di queste religioni, allora non esisterebbe alcuna ostilità causata dalla religione tra i seguaci delle altre religioni». E un'altra volta, riferendosi a «come comportarsi nella vita» - leggo sempre in questo libro -
(tenendolo sempre in mano, legge lentamente pagina 26) -
ha detto: «Soddisfare per quanto è possibile le aspirazioni e i bisogni di tutti, raggiungendo l'armonia e la bellezza nei rapporti umani. Ciò presuppone molta consapevole riflessione e molta autodisciplina».
Totò. Voltaire - così, citandolo, rendo onore a Paolo Piras, che tanto lavoro ha messo in questa comunità di Campu e Luas e in questo teatro - il massone Voltaire ha scritto nel suo Trattato sulla tolleranza
(prende il libro e legge, cadenzando i versetti, a pag. 129):
«Dio di tutti gli esseri, di tutti i mondi e di tutti i tempi... fa che ci aiutiamo l'un l'altro... che le piccole diversità.., tra tutte le nostre condizioni... così uguali davanti a te, che tutte le piccole sfumature che distinguono questi atomi chiamati uomini, non siano segnale di odio e di persecuzione...».
Baingio. Abbiamo finito il nostro tempo. Grazie dell'attenzione.
Gianfranco. Concludiamo. Sarebbe bello che qualcuno dei nostri comunitari, protagonisti, non ospiti, della comunità, ci offrisse una propria riflessione...
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