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Gianfranco Murtas

Della memoria storica di Giovanni Bovio e della ritualità Emulation, alla problematica ricerca d’una nuova purezza oggi a palazzo Sanjust

di Gianfranco Murtas

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Sono forse soltanto rimbalzi di una storia minore quelli che possiamo osservare, anche nella nostra Cagliari, nei monumenti d’arte, ma essi acquistano senso e dimensioni se lo sguardo si allarga alla più vasta scena che li ha ispirati e prodotti nelle concrete fattezze conosciute. Per Giovanni Bovio e il suo busto modellato in gesso pesante, nel 1905, dal giovane scultore e Fratello cagliaritano Giuseppe Boero – lo stesso che aveva scolpito l’originale in marmo bianco di cui qualche rara fotografia ci rimanda l’austera solennità – può dirsi proprio questo. E beato è chi ha cuore – cuore più ancora che cultura – per saldare, attraverso quel manufatto, l’oggi corrente a quel passato che il nostro tempo e il nostro vivere liberi e agiati ha preparato.

Mi ha colpito (e sconcertato) – lo confesso francamente – la confidenza fattami davanti a un caffè fumante e con spirito leggero, direi con inconsapevolezza bambina, espressione però di ignoranza e grettezza interiore, da un massone, un cosiddetto Maestro Massone (tutte maiuscole) di questa nostra Cagliari che è la città di Ferdinando Ghersi, primo Sovr. Gran Commendatore del Rito Scozzese Antico e Accettato dopo l’unità d’Italia, la città di Guido Laj Gran Maestro della ricostruzione postfascista, la città di Armando Corona Gran Maestro della ricostruzione dopo le degenerazioni gelliane: Bovio chi è, perché tanto insistere su di lui? io non lo conosco e non mi interessa; io conosco Tizio, Caio e Sempronio, d’Alembert, Buzz Aldrin e Totò (e altri elencati da qualche parte) e mi basta. Ma basta davvero con Bovio, dopo due mesi e quindici articoli e centocinquanta pagine, basta con Bovio

Dovrei dire, fuori da ogni diplomatica gentilezza (ma con rispetto per la persona): come può un asino così essere diventato Maestro Massone? Maestro di cosa? Massone di quale Massoneria? Chi l’ha riconosciuto e promosso?

Il problema non è di non conoscere Bovio, è di non conoscere il dovere di conoscerlo, accostarsi alla sua figura storica, al suo magistero, al suo esempio… Se uno non ha il sentimento della storia, della Tradizione che è proprio il midollo della Massoneria, è indifferente alla nobiltà dei passaggi generazionali nell’Ordine dei Liberi Muratori, potrebbe adattarsi a fare altro che non a frequentare inutilmente una loggia; Bovio è la coscienza più alta del Grande Oriente d’Italia insieme con Lemmi, Nathan ed anche Ferrari nel lungo passaggio di secolo, il secolo del risorgimento patrio, quello della unità territoriale e giuridico-istituzionale dell’Italia nostra, quello degli ordinamenti liberali a presidio di ogni settore della vita nazionale (e della scuola in primo luogo), dell’Italia che oggi viviamo in democrazia e in repubblica grazie anche alla sua semina, e che semina! così in Parlamento per ventisette anni – tanti quanti furono quelli spesi anche da Giorgio Asproni fra Palazzo Carignano, Palazzo Vecchio e Montecitorio – come nelle associazioni e nelle piazze politiche, nelle logge e nelle assemblee costituenti, nelle tribune (anche a Campo de’ Fiori in quel certo 9 giugno 1889) e nella monumentale corrispondenza scritta… fino agli approdi al Novecento.

La dissacrazione d’ogni bene e il soddisfatto sorriso idiota

Più ancora di questa disinvolta ignoranza (di cui, come dicevo, è corollario l’ignoranza del… corollario) sconcerta immaginare in quale contesto il protagonista di tanta vacuità sia stato iniziato, fatto virtuoso! in una loggia del Grande Oriente d’Italia ed elevato alla maestria e anche ad altro. Sconcerta, o forse no: perché se fosse un caso così raro, singolare addirittura, non si spiegherebbe come possa essere stato eletto Caput Magister di una loggia, e sia stato “protetto” – si badi al verbo – con miopia incredibilmente stupida fino all’ultimo chi osa insultare pubblicamente e senza motivo il Capo dello Stato (che poi egli stesso è chiamato a salutare – e ipocritamente lo saluta davvero – ai brindisi rituali), il presidente emerito, il presidente della Camera dei deputati; chi osa rovesciare i valori di 




democrazia caricaturandoli in immondi fotomontaggi che giocano con i simboli tragici dei campi burgundi (e l’immagine della stessa Merkel ridotta a quella di un soldato del Reich) e del collaborazionismo mussoliniano; chi osa ridicolizzare la secolare ritualità latomistica (che è poi chiamato egli stesso a praticare e spiegare) proponendo una permuta fra la bara dell’architetto del Tempio di Re Salomone e una canna da pesca; chi osa trasformare la sala dei simboli storici del Grande Oriente d’Italia e della quadreria dei Gran Maestri, a Castello, in uno studio fotografico con la mente del set cinematografico e per pure pagliacciate. Con chiose falliche servite per sfida e senza ritegno. E sfida fino all’ultimo!



Il Maestro Venerabile di una importante loggia sarda non cagliaritana mi confidava, qualche giorno fa, di essere intervenuto in tempi remoti perché fossero tolti dalla rete tutta una serie di scatti in cui il suo collega (pro tempore) in capo alla onorevole Kilwinning e presidente (pro tempore) dei Venerabili cagliaritani si autoritraeva, con bizzarra fantasia, con la fidanzata e con Bovio fra i due, sotto lo sguardo del Gran Maestro Bisi fisso nella quadreria, a pochi metri dagli altri monumenti a rischio di coinvolgimento pagliaccesco anch’essi: Giuseppe Mazzini e il Gran Maestro Corona. Entrato poi nella difesa del colpevole, accennava alle… indubbie (?) prevalenti ma pur vaghe sue benemerenze, improvvisamente ammutolendo però quando, a mia volta, volli informarlo che un potentissimo ghigno fallico il suo cliente aveva postato, o fatto postare, in… giusta sostituzione, da sessanta giorni, e ancora resistente in bella mostra su una pagina fb sotto l’effigie di Giovanni Bovio quattro volte bendato nella bandiera sarda. Ciò avveniva la sera di giovedì 20 agosto, un mese dopo la grande assoluzione riservata al Venerabile di facebook dal presidente regionale dei giustinianei sardi e da altri, in scavalco di Tirreno per l’ufficio conquistato, che confermava e ribadiva e avvalorava, nel silenzio chissà se nicodemico o ignavo dei più. Finalmente quel ghigno, che già dal 31 luglio avevo segnalato alla polizia postale, è stato tolto anch’esso dalla circolazione e resta soltanto nelle… screenshottate diligenti e metodiche dei collezionisti. Quando si vuol difendere l’indifendibile (a rischio sempre di diventare più realisti del re) si finisce per esporsi al ridicolo e compromettere il proprio buon nome, la propria fama di equanimità e di amore al vero (dei fatti) e al giusto. 

Amici personali, in servizio nei giornali soprattutto, mi han ripetutamente formulato questa domanda: ma è possibile che il Grande Oriente d’Italia non disponga oggi di norme e funzioni di controllo che tempestivamente contrastino ogni possibile degenerazione? Esistono oppure no figure ispettive forti, oltre che di autorevolezza personale, anche di autonomia d’indagine? Non ho potuto né voluto rispondere, ho soltanto rinviato alla lettura della Costituzione e del Regolamento generale dell’Ordine che sono documenti pubblici, disponibili in libreria e anche in internet.

Io non posso e non voglio entrare in argomento, benché avverta abbastanza chiaramente come l’offesa al busto di Giovanni Bovio che con tanta difficoltà feci in modo che tornasse, nel 2008, nella casa massonica di Cagliari dopo tante avventure, relazioni direttamente con uno scadimento generale del costume e della mente-motore-dell’umano, del sentimento di missione un tempo sviluppatissimo, nei ranghi della Libera Muratoria (almeno di quella locale) che sembra andare per numeri più che per selezione. So che esistono organi con precise prerogative e altrettanti obblighi a livello di circoscrizione Sardegna, e se niente s’è mosso vuol dire che insultare il capo dello Stato la mattina e presiedere una tornata rituale la sera è cosa compatibile e buona, così come permutare la cassa delle spoglie di Hiram e celebrare più tardi, con la canna da pesca, l’elevazione alla maestria di un Compagno d’arte o di mestiere, così come onorare nel Tempio la donna (alla quale offrire la simbolica unitiva coppia di guanti candidi) e poi trattarla, nelle libere meditazioni in fb, da facchina del sesso … 

C’erano gli ispettori un tempo, e l’Oratore collegiato

Tornerò al mio Giovanni Bovio, alle sue e nostre ragioni, ai meriti ideali e storici della Comunione di Palazzo Giustiniani. Tanto più a quel cosiddetto o rovesciato Maestro Massone del basta Bovio! offrirò, proprio a lui personalmente dedicata, una bella sintesi biografica che del filosofo leader del repubblicanesimo post-Mazzini scrisse nientemeno che Raffaele Cotugno, a tanto chiamato dalla presidenza della Camera per introdurre il volume che nel 1905 si volle pubblicare di alcuni dei discorsi parlamentari del Nostro. E, in sapida ma anche impegnativa appendice, quel cosiddetto o rovesciato Maestro Massone del basta Bovio! troverà il resoconto stenografico di alcuni di quei discorsi su materie non leggere, come le relazioni fra Stato e Chiesa e il trattamento del clero povero, o la proposta limitativa (in chiave antimassonica) del diritto d’associazione avanzata da settori filogesuitici…

Se poi quel cosiddetto o rovesciato Maestro Massone non troverà così soddisfazione, troverà forse la dignità di lasciare tutto e di immergersi, lontano da piazza Indipendenza, in altre e più alte faccende. 

Ma prima, e sia pure per rapidi flash, vorrei portare la riflessione di chi legge su una contraddizione che, insuperata, io credo sia anche insuperabile. Come cioè possa, in capo alla stessa persona, darsi una doppia espressione, un doppio registro, un doppio magistero (per prendere una parola importante), uno la mattina per fb, l’altro la sera per il Tempio.

Arrivo a domandare a me stesso (e a chiunque altro ami interrogare ed interrogarsi) se le dinamiche psichiche del dr. Jekyll e di mr. Hyde possano avere effettiva manifestazione anche a palazzo Sanjust, in quel palazzo solenne e di tanta storia (sì guelfa e lontana, ma onorevole certamente) che il professor Vincenzo Racugno donò ad una Fratellanza massonica mai immaginandola così sconsiderata da sopportare esibizioni “controrituali”, di nessuna sostanza (neppure di divertimento invero), disonorevoli l’ufficio ricoperto ad interim. 

Non so se Stevenson, l’autore del personaggio sdoppiato negli spazi del bene e in quelli del male, sia stato massone. Originario di Edimburgo, scozzese quindi, potrebbe aver comunque respirato, in quella seconda metà del XIX secolo, aria di Libera Muratoria. Mi è occorso di trovare una volta, navigando nella rete, un articolo pubblicato da una rivista massonica svizzera, di Locarno per la precisione, in cui si cercava di focalizzare la «fondamentale asimmetria» del bene e del male rivelata da una lettura essoterica mentre con lo scandaglio esoterico si puntava a definire una sorta di specularità fra i due enti dell’esistenza. Materia complessa e intrigante, trattata con apprezzabile maestria dall’estensore della nota. 



La patologia del dr. Jekyll potrebbe applicarsi forse al nostro concittadino esperto di autoflash e trivio la mattina e anche il pomeriggio e riconvertito in austero abito scuro la sera, al teatrante che spupazza Giovanni Bovio e sbeffeggia le autorità della Repubblica, mentre la sera, indossati i paramenti del Caput Magister, invoca nientemeno che l’Altissimo ed inizia ai Misteri, fra la Colonna B e quella J, un bussante alla porta del Tempio… insomma, al dignitario libero muratore che adempie con scrupolo a quanto detta il rituale, solennizzando gesti e parole, dopo aver appena dismesso i panni del giovanotto che ad internet ha raccontato di sé e del suo caldo mondo interiore, fra sogni erotici ed una misoginia di fondo, fra il disprezzo per le diversità culturali e religiose ed un inquietante parafascismo tutto ignoranza. Venerabile di una loggia massonica che vive di missione: battere il vizio, il proprio vizio prima di quello altrui, donarsi alla causa di una società inclusiva nella propria terra e poi anche nei continenti, fra meridiani e paralleli?

Parola di Venerabile "venticinqueaprilestopardecojoni"

Quel che propongo al lettore e, ricompreso per una volta nella categoria, allo stesso Gran Maestro Stefano Bisi è di leggere le poche righe che seguono, immaginando che a pronunciare i testi virgolettati – quelli del rituale (si tratta dell’Emulation) e quelli del personalissimo florilegio sapienziale – sia la stessa voce, sempre la stessa voce in una alternanza di incipit (qui in alternanza grafica fra tondo e corsivo):  

«Padre Onnipotente e Supremo Governatore dell'Universo, illumina questi nostri lavori e dà, a questo Candidato per la Libera Muratoria, la grazia di consacrare la sua vita al Tuo servizio e possa egli diventare un Fratello giusto e leale fra noi. Fortificalo donandogli un soffio della Tua Divina Saggezza, affinché egli possa, con l'aiuto dei segreti della nostra Arte Muratoria, essere in grado di scoprire meglio la bellezza della vera pietà, ad onore e gloria del Tuo Santo Nome».

«Sono sempre stato un fervente sostenitore del fatto che la differenza tra te e una carriola di merda, la facesse la carriola… Eres un burro con pelaje blanco!!!

«Non è che ti manca il cervello. Quello è proporzionato a tutto il resto. E’ che ti mancano i femori! “Mens nana in corpore nano”!!! ».

«Onnipotente ed Eterno Dio, Architetto e Regolatore dell’Universo, al volere creativo del Quale ogni cosa fu, noi deboli creature della tua Divina Provvidenza, umilmente ti imploriamo di far piovere, su questa assemblea riunita nel Tuo Santo Nome, la rugiada benefica della tua benedizione. In particolare modo Ti preghiamo di dare la Tua Grazia a questo Tuo servo, che si offre ora quale Candidato per partecipare con noi ai misteriosi segreti di un Maestro Libero Muratore. Infondigli tale forza d’animo, che non venga meno nell’ora della prova, e sotto la Tua protezione possa attraversare, senza pericolo, la Valle delle tenebre della morte e possa infine sorgere dal sepolcro del peccato e brillare come le stelle, per sempre».

«Quando il cane, salvato dall’oblio del canile municipale, ti volta le spalle e ti abbandona, l’ultima immagine che ti rimane di lui, è il suo culo che si allontana!

«Carissimi amici vegani, … dimenticavo: è probabile che la mia cena abbia cagato sulla Vostra!! Con immutata stima».

[E di rinforzo, sempre in tema di dottrina iniziatica e spiritualità Emulation, coinvolgendo – dissenziente – Giovanni Bovio, ecco il 1° Sorvegliante coram populo: «Tre cose fanno diminuire le feci, aumentano la statura e portano luce agli occhi: il pane fatto di farina setacciata, la carne grassa e il vino vecchio»].



«La vostra ammissione tra i Liberi Muratori, in una condizione impotente di povertà, fu la rappresentazione simbolica dell'ingresso di ogni uomo in questa sua mortale esistenza. Essa intendeva inculcare le utili lezioni della naturale eguaglianza e della mutua interdipendenza; essa mirava ad istruirvi nella pratica dei principi della carità e beneficienza universale, a cercare consolazione alle vostre disgrazie porgendo aiuto e sollievo ai vostri simili nell'ora del loro travaglio. Ma soprattutto, tendeva ad insegnarvi, con umiltà e rassegnazione, ad inchinarvi alla volontà del Grande Architetto dell'Universo; e dedicare il vostro cuore, così purificato da ogni funesta e malvagia passione, pronto unicamente al ricevimento della verità e della sapienza, a Sua gloria e per il bene di ogni mortale, vostro simile».

«Et a seguito dello aver veduto et udito uno manipolo de giovani virgulti della italica patria, intonar canti inappropriati nello tener di “a ben riveder pulzella”, mentre aspiravan da fumanti trombe, sostanze che avean traversato lo globo terracqueo tra li sfinteri di quachedun mercante di la terra di Colombia… il tutto, nanti monumentali rocce poste at imperituro ricordo di coloro i quali donaron la propria vita medesima in cambio della calunnia et dello miserrimo dispregio, imponesi allo vergante, l’obbligo di perorar la causa dello Mastro Geppetto che, per evitar l’onta di siffatta prole, ebbe a risolver la singolar tenzone con la sega!!! »

«Avanzando ancora, guidando ulteriormente il vostro progresso mediante i principi della verità morale, foste condotto nel Secondo Grado, per ammirare la facoltà intellettuale e tracciarne il suo sviluppo, attraverso i sentieri della scienza celeste, fino al trono di Dio medesimo. I segreti della Natura e i principi della verità intellettuale vennero quindi svelati ai vostri occhi. Alla vostra mente, così plasmata dalla virtù e dalla scienza, la Natura, dunque, presenta una ulteriore, grande e utile lezione: mediante la meditazione, vi prepara per l'ultima ora della vostra esistenza; e quindi, grazie a tale meditazione, e dopo avervi condotto attraverso gli intricati sentieri di questa vita mortale, essa, infine, vi istruisce su come morire…».

«Sono del parere che, in lingua italiana, le parole “Fico” e “Mattarella” debbano essere declinate esclusivamente, al femminile l’una e, al maschile l’altra.

«Ci sono donne che, nella vita, conoscono continuamente alti e bassi. Ma, è obbligatorio farseli tutti?

«Continuo a chiedermi: ma… per essere all’altezza della situazione, quanto cazzo mi devo abbassare?».

«Questi, Fratello mio, sono gli scopi peculiari del Terzo Grado della Libera Muratoria. Essi vi invitano a riflettere su questo solenne problema e vi insegnano ad essere sicuro che, per l'uomo retto e virtuoso, la morte non è causa di terrore al confronto della menzogna e del disonore. Di questa grande verità, la storia della Libera Muratoria offre un glorioso esempio nella fedeltà incrollabile e nella morte nobile del nostro Maestro Hiram Abif. Egli venne trucidato poco prima che fosse completato il Tempio di Re Salomone, alla costruzione del quale, come senza dubbio voi già siete stato informato, egli fu il principale Architetto. La sua morte avvenne in questo modo…»

«[La bara della ritualità hiramitica] Acquistata di “seconda mano”; spaziosa, calda e accogliente (pari al nuovo), vendo o permuto con canna da pesca, causa inutilizzo. Astenersi perditempo».



L’esperienza Emulation

Ho appena accennato alla spiritualità Emulation, che costituisce un filone di ricerca chiamala pure iniziatica, di meditazione sulla vita, cosmo e microcosmo, storia ed eternità, interno alla Libera Muratoria e in grande sviluppo anche nel Grande Oriente d’Italia negli ultimi decenni. La Sardegna è inclusa in questo movimento, offrendo essa al panorama nazionale che comprende oggi una cinquantina di logge, quattro formazioni di cui tre a Cagliari ed una a Sassari. Di una delle tre cagliaritane, l’uomo degli autoflash, delle comparsate con Bovio mascherato e delle espressioni sapienziali di cui sopra sarebbe – anzi è ormai accertato essere – il legittimo dignitario leader, il Maestro da ascoltare, l’esempio da imitare. Proprio per questo è stato democraticamente eletto ed è oggi protetto nel suo scranno da chi ne ha tutto il diritto ed a lui ha perfino legato, con parola d’onore, il proprio destino: se si deve cadere si cadrà insieme.  

Per dare una idea di cosa sia, sul piano ordinamentale, l’Emulation Ritual all’interno del Grande Oriente d’Italia ci si potrebbe riferire – a beneficio di un pubblico di lettori non addentro alle questioni latomistiche – a quel che sono talune comunità cattoliche calabresi che, derivando dall’Albania, praticano nelle loro liturgie la ritualità bizantina (che infine è quella stessa dei patriarcati ortodossi dell’est continentale); obbediscono al papa di Roma, hanno però i loro vescovi (gli eparchi) e sviluppano una spiritualità secondo le linee della tradizione antica della Chiesa d’Oriente.

Così le logge simboliche del Grande Oriente d’Italia hanno accolto nel tempo il rito Emulation che rimanda a una storia antica di stampo tutto britannico ed arricchisce di valori ulteriori – si badi, ulteriori non sostitutivi – il comune patrimonio. 

Sono una cinquantina in tutt’Italia, ho detto, le logge Emulation – la più antica è proprio una loggia Bovio, la Bovio Caracciolo che porta il numero d’ordine 199 –, e recano più spesso denominazioni suggestive: Tradizione, Evolution, e anche però Logos (Firenze), Akhenaton (Pavia), Jerusalem (Roma), Rosa Comacina (Cernobbio), San Giovanni (Milano), De Hominis Dignitate (Senigallia), Sectio Aurea (Venezia), Armonia Esoterica (Novara), San Giacomo (Palermo), Templum Salomonis Modoetiae (Monza), Melchisedec (Catania), Acacia (Bassano del Grappa), Elohim (Pavia)… ma anche George Washington (Vincenza), Benjamin Frankin (Pisa), Harry Truman (Napoli), Angelo Brofferio (Torino), Lando Conti (Sanremo), Enrico Cairoli (Rovigo)… 

In Sardegna: Heredom, Kilwinning, Temple e (a Sassari) Fratellanza Universale.



Dell’Emulation nell’Isola si cominciò a parlare nel 2000, quattro anni prima che nel concreto si realizzasse il piano. L’allora Gran Maestro Gustavo Raffi si era insediato da appena un anno, succedendo all’ultimo rappresentante di una generazione di alti dignitari massonici – com’era Virgilio Gaito – più legati alla Tradizione storica del risorgimento coesa alla testimonianza dell’antifascismo liberale e democratico. Lo stesso Raffi, legatissimo a una figura carismatica come Randolfo Pacciardi – ex segretario nazionale e ministro repubblicano (prima dell’era La Malfa) e comandante combattente in Spagna contro i falangisti di Francisco Franco, riassumeva in sé una certa storia radicatissima nella Romagna che in uno stesso abbraccio riuniva repubblicani e socialisti, Garibaldi e Mazzini.

Nella giunta esecutiva del Grande Oriente d’Italia sedeva allora un sardo, Fernando Ferrari, che degnamente continuava quella prestigiosa partecipazione assicurata nel tempo da uomini come il carboniese Flavio Multineddu (area Rito dell’Arco Reale) e il sassarese Mario Giglio (area Rito Scozzese).

Varie circostanze indussero a rinviare nel tempo la pratica attuazione del progetto Emulation che doveva passare anche per la regolarizzazione nel GOI di diversi elementi già appartenenti ad una loggia incardinata in altra Obbedienza.

Otto o nove anni fa rifeci la storia dell’insediamento Emulation in campo GOI, all’interno del libro di… 791 pagine che fu poi donato agli allora novecento e passa Maestri di tutte le logge isolane.



Portando oggi il pensiero alle schifezze scaricate nella rete internet da uno degli esponenti di quel fronte che venne accolto con tanto entusiasmo da tutti, salgono in cuore sentimenti contrastanti e sarebbe bello, sarebbe utile, sarebbe forse necessario e anche urgente, che proprio dal campo sia circoscrizionale sardo che nazionale italiano dell’Emulation venisse a tutti – a tutti, tesserati e no al Grande Oriente d’Italia che è una corporazione civile costituitasi come “patrimonio morale” della nazione – un giudizio sereno e chiaro su quanto accaduto.

Ricostruendo i primi passi di una storia

Credo forse opportuno richiamare i “bei tempi”, anche se forse tanto dettaglio potrà sembrare ultroneo a diversi, sfuggire cioè allo stretto interesse di un pubblico che al sito di Giornalia sta dedicando una quotidiana attenzione. Però valga, il testo che segue, anche come documento di storia.

Ecco alcuni stralci di quanto scrissi nel 2011:    

Dopo la sassarese Goffredo Mameli n. 1192 e la maddalenina Giuseppe Garibaldi n. 1205, soltanto un mese dopo la Giordano Bruno n. 1217, mentre fra poche settimane spetterà alla oristanese Raffaele Fadda n. 1235, ecco che mercoledì 1° dicembre 2004 tocca alla Heredom n. 1224 innalzare le sue Colonne e presentarsi alla scena liberomuratoria giustinianea con tutta la sua originalità e il… pregresso maturato per qualche anno in seno alla Rudyard Kipling all’obbedienza della Gran Loggia Regolare d’Italia Circoscrizione sarda.

Tenendo conto proprio di quella trascorsa esperienza essa è stata autorizzata a praticare l’Emulation, un rituale che rimanda alla relazione fra templarismo scozzese e Massoneria.

La Heredom è la 16.a delle officine attive nell’Oriente di Cagliari e reca il motto «Nisi Dominus, Frustra / Se Dio non è con noi, tutto è inutile».

La cerimonia di installazione è aperta dal vice presidente del Collegio circoscrizionale.

Ricevuti nel Tempio i 15 fondatori ed i Dignitari che prendono posto all’Oriente, egli insedia gli Ufficiali consacratori: fra essi i Fratelli Gherardo De Col, Alberto Allodoli, Paolo Perini, Demetrio Polimeni, Massimo di Domenica in organico il primo e il terzo alla 438 L’Union all’Or. di Venezia e gli altri rispettivamente alla Quatuor Coronati Emulation all’Or. di Firenze, alla Missori-Risorgimento all’Or. di Milano ed alla Jerusalem all’Or. di Roma, con le funzioni rispettivamente di M.V., Sorveglianti, Cappellano e Segretario.

Tutto si svolge secondo la secolare tradizione Emulation. Sul trono di Re Salomone, quale primo M.V. della loggia viene installato il Fratello… che poi raccoglie il giuramento degli altri Dignitari: … i Sorveglianti, il Cappellano, il Segretario e il Tesoriere.

Con loro firmano il documento di fondazione anche i Fratelli...

Sono circa 120 i presenti in rappresentanza delle 25 officine della Circoscrizione sarda e di altre; siedono all’Oriente il Gran Maestro onorario Bruno Fadda, il consigliere dell’Ordine…, l’Oratore del Collegio…, il presidente del Tribunale Circoscrizionale…, l’ex presidente del Collegio… e l’Ispettore circoscrizionale...

Numerosi i messaggi d’augurio pervenuti, fra cui quelli del Gran Maestro Raffi, dell’Aggiunto Bianchi, dell’Onorario e presidente della Corte Centrale Ghezzi, dell’ex Gran Maestro Gaito, di alti Dignitari della G.L. d’Ungheria e della G.L. of District of Columbia, dell’ex M.V. della Italia Lodge di Washington, e del presidente del Collegio Circoscrizionale dei MM. VV. della Sardegna Andrea Allieri…

In un documento – titolo “Le ragioni di una scelta” – il Fratello promotore illustra premesse ed obiettivi del percorso etico-iniziatico, culturale ed obbedienziale datosi dall’ensemble. Eccone il testo:

«La principale prerogativa, nonché caratteristica autentica, che i Fratelli fondatori nel 2004 intesero attribuire alla Loggia Heredom fu l’utilizzo, all’interno dei Lavori di Loggia, del tradizionale ed universale Rituale Emulation, che rivendica una filiazione ai più antichi rituali della Massoneria operativa, così come pedissequamente riportato, in maniera inalterata sin dal 1823, dalla Emulation Lodge of Improvement di Londra.

«Questa universale Ritualità, sebbene praticata in numerosi Orienti e Circoscrizioni del Grande Oriente d’Italia, non era presente, né lo era mai stata, sia nelle Logge dell’Oriente Cagliaritano, che nell’intera Circoscrizione della Sardegna.

«Il medesimo progetto di costituire una Loggia di ritualità Emulation fu predisposto, già 7 anni prima, da alcuni Fratelli dell’Oriente Cagliaritano. Ma allora, purtroppo, l’idea fu quasi subito messa in disparte per la carenza di adesioni da parte dei Fratelli che, invero, quasi nulla conoscevano di tale Ritualità. Il sogno di questi Fratelli non fu perso, ma solo momentaneamente sospeso, in attesa di condizioni migliori e, forse, di tempi più maturi.

«Questi tempi dunque giunsero! Intorno ad essi, infatti, in quegli anni, si riunì spontaneamente un gruppo di Fratelli, già incontratisi per naturali affinità e trascorse esperienze massoniche nella Gran Loggia Regolare d’Italia, che cementarono tra di loro un forte spirito di fratellanza, unito agli intenti condivisi riguardo lo studio della ritualità Emulation, la ricerca simbolica ed esoterica e l’approfondimento della storia e delle origini della Libera Muratoria Universale. Questi Fratelli, tutti fermamente convinti che la forza ed il significato profondo ed immutabile della Libera Muratoria risieda nel Lavoro Rituale, desiderosi di praticare la ritualità Emulation nei gradi simbolici, aderirono, con entusiasmo e passione, al progetto di costituire una nuova Loggia di ritualità Emulation. Essi non trascurarono di cooptare coloro che, sullo stesso sentiero, gradivano lavorare in Emulation […], in un forte senso di Unione e Fratellanza. In questa direzione vanno intesi anche i frequenti e proficui contatti fraterni intrattenuti con alcune Logge Emulation del Grande Oriente d’Italia, appartenenti ad altri Orienti e la partecipazione ai loro Lavori Rituali […]».

Così il documento programmatico. Si sa che erano stati forse una trentina in tutta l’Isola, e una ventina soltanto nell’Oriente di Cagliari coloro che, già all’obbedienza della GLRI (ma anche di altre Famiglie massoniche), fra il 2000 e l’anno successivo, avevano indirizzato alla Gran Segreteria del GOI domanda di regolarizzazione.

Nel maggior numero, il nucleo della loggia Kipling n. 88 della GLRI destinato in parte ad alimentare l’esperienza giustinianea della Heredom prese i suoi primi contatti con il presidente del Collegio Avignoni e quindi con il suo successore, ed inviò materialmente la propria istanza alla Gran Segreteria per le delibere della Giunta Esecutiva. Per accordi forse intervenuti fra gli uffici romani e quelli circoscrizionali, i singoli fascicoli vennero attribuiti a pressoché tutte le logge dell’Oriente (relativamente a Cagliari), vale a dire la Nuova Cavour, la Hiram, la Sigismondo Arquer, la Alberto Silicani, la Sardegna, la Concordia e la Wolfang A. Mozart.

Diverse domande, non tutte, sottoposte a regolari istruttorie e votazioni furono quindi accolte e si procedette poi, secondo le modalità previste, alla regolarizzazione, con il riconoscimento dei gradi maturati (secondo il brevetto esibito). 

Certo, potrebbe anche pensarsi che l’innesto degli iperritualisti in contesti meno rigorosi sotto il profilo della pratica possa aver destato qualche difficoltà ma certamente positivo fu l’approdo. Perché, dopo quattro anni di fruttuosa e leale militanza, alcuni dei Fratelli ex GLRI decisero di recuperare l’antico patrimonio e proporlo in contesto giustinianeo, previa autorizzazione del Gran Maestro.

Furono i Fratelli… i primi a condividere il progetto rendendone edotte tutte quante le officine simboliche attive nell’Oriente. Vennero così diverse adesioni personali, fino ad arrivare al numero minimo di 15 unità previsto per la costituzione di una loggia in un Oriente già attivo. Nessuna forzatura, tutto avvenne in trasparenza, con chiarezza piena di obiettivi e di impegni conseguenti: primo fra tutti l’obbligo di frequenza.

Negli corso dei suoi primi sei-sette anni la loggia triplicò il proprio organico: non soltanto con iniziazioni ma anche con affiliazioni da altre logge giustinianee e/o regolarizzazioni da altre Obbedienze, e segnatamente dalla GLRI più o meno in crisi […].

Mercoledì 24 settembre 2008 un nuovo evento di speciale rilievo si svolse nella casa massonica di Cagliari: si trattò di una tornata internazionale promossa dalla Heredom ospitante una delegazione della Niederrhein n. 892 di Dusseldorf in forza aella Gran Lodge of British Freemason of Germany, Comunione federata delle Grandi Logge unite di Germania. I Fratelli tedeschi, interni anch’essi all’area dell’Emulation ritual, erano guidati dal M.V. Ronaldo Bruning e dal Grande Ufficiale della British Freemason Cedric James.

Fra i partecipanti, il presidente del Collegio Andrea Allieri con l’Oratore…, l’Ispettore circoscrizionale, i Maestri Venerabili della Hiram e della nuorese Giuseppe Garibaldi, con una rappresentanza delle stesse logge. Ed inoltre diversi membri della Ovidio Addis, della Giovanni Mori, e delle cagliaritane Sigismondo Arquer, Alberto Silicani, Sardegna e Giorgio Asproni.

Al centro della tornata, presieduta dal M.V. … (che a maggio era stato in visita alla città renana ed ospite della loggia locale) con i Sorveglianti…, fu la elevazione al terzo grado di un Fratello Compagno.

A conclusione, il presidente Allieri porse ai Fratelli tedeschi il caldo saluto di tutta la Circoscrizione sarda, richiamando l’humus universalistico della Libera Muratoria e l’importanza di occasioni di conoscenza e scambio come la presente.

Un’agape fraterna nel ristorante del castello di San Michele concluse la serata […].

Dal dicembre dello stesso 2008 avrebbe operato nella Valle del Mannu e del Flumendosa anche il Rito Scozzese Rettificato, inizialmente sotto l’obbedienza del Gran Priorato Indipendente d’Helvetia (Gran Loggia Svizzera Alpina), quindi – dal febbraio 2011 – sotto quella del Gran Priorato d’Italia. A dar uomini alla loggia scozzese (undici quelli della prim’ora) sarebbe stata proprio la Heredom su iniziativa del Fratello…, destinato ad essere il primo Deputato Maestro ed anche il Delegato Magistrale della Sardegna.

Da dirsi è anche che nell’ottobre 2011 il Rito Scozzese Rettificato, per gemmazione della compagine cagliaritana, avrebbe impiantato una sua loggia dei Maestri Scozzesi di Sant’Andrea in Oristano.

Ordine cristiano che pone le sue fondamenta di fede nella potenza suprema del Grande Architetto Dell’Universo, il Rito Scozzese Rettificato – massonico nei primi quattro gradi e cavalleresco negli ultimi due – esso deriva dalla Stretta Osservanza tanto nel simbolismo quanto nei principi e rimonta al convento di Lione del 1778. Una storia antica che si sarebbe voluto non soltanto onorare ma inverare […].

Tornerò presto in argomento, dando conto di quanto la Heredom come loggia madre abbia offerto al cuore e alla mente della platea massonica cagliaritana anche con attività convegnistiche di largo spessore e… figliando. Delle attività della stessa prima loggia figlia – la Kilwinning – è traccia anche graficamente rilevante nella stessa sala delle memorie storiche e dei monumenti vilipesi, paradossalmente, da chi più e meglio – lui detentore di chiavi – avrebbe dovuto custodirli e curarli: proprio il Maestro Venerabile della Kilwinning! Bisognerà parlarne per rilanciare, purtroppo con mesta drammaticità, la domanda di base: come è possibile che da tante premesse d’alto o altissimo profilo, si sia scesi tanto in basso, perfino nell’acqua sporca della pozzanghera? L’area dell’Emulation avrà risposte convincenti?

Giovanni Bovio: una biografia

Come già anticipato, qui di seguito riporto la prefazione dell’avv. on. Raffaele Cotugno al libro stampato nel 1905 dalla Camera dei deputati e riportante una selezione dei discorsi tenuti in Aula da Giovanni Bovio.



Intorno agli uomini di altissimo valore sorge spesso, e fiorisce la leggenda. Così è avvenuto per Giovanni Bovio. A pochi anni dalla sua morte si raccontano di lui episodi e novelle che, se testimoniano dell'influenza ch'egli spiegò quanto mai efficacissima nei campi del pensiero e dell'azione durante la sua nobile vita, ne alterano la figura e si risolvono in una offesa patente ai diritti della storia che si alimenta di verità.

Egli nacque a Trani a sei di febbraio 1837, alle ore diciassette, da Nicola e Chiara Pasquini. Il padre, prima di diventare un modesto impiegato di cancelleria, aveva militato sotto gli ordini di Paolo Corsi, nelle fila dell'esercito cisalpino, partecipando alla campagna di Russia dalla quale si ritrasse con paresi delle mani e dei piedi a causa del freddo. Fu uomo probo, sinceramente liberale e stimato da tutti i partiti. Giovanni fu il quinto di sei figli: Francesco, Marianna, maritata a Giulio Giuliani, Isabella, maritata a Pietro Adami, Margherita, maritata a Vito Paturso e Gennaro, avvocato e scrittore di bella fama ed acerrimo assertore di verità.

Le condizioni economiche della famiglia erano quelle di un modesto impiegato al quale è indispensabile misurare il pane quotidiano. E qui sorgono le prime fantasticherie. A sentire alcuni biografi egli si sarebbe dibattuto fra le angustie d'una irriducibile miseria che gli avrebbe negato fin i pochissimi mezzi necessari per frequentare una scuola. Nulla di più inesatto. Giovanni Bovio nacque ribelle ad ogni ordinata, metodica, disciplinata e compassata maniera di vita. Autodidatta trovò nella sua volontà, nel suo intelletto e nella memoria ch'ebbe prodigiosa gli strumenti e gli aiuti più efficaci per rivelarsi immediatamente uomo fuori della comune e destinato a grande avvenire. E tale l'estimavano i suoi amici che l'avevano caro ed a lui si rivolgevano sempre che si trattasse di un alto interesse da difendere e d'una giusta causa da sostenere e far trionfare. In uno di questi rincontri, e precisamente nei funerali del colonnello Nullo, dette i primi chiari saggi di quella sua disposizione alla Epigrafia che lo doveva spingere tanto innanzi ai cultori di questo tra i più difficili generi del comporre.

Più tardi fu per poco a scuola, da Vincenzo Vischi, patriota e libero docente di Filosofia del diritto, e de' giorni trascorsi in quel temuto Ateneo, de' compagni e più ancora del dolcissimo maestro serbò memoria imperitura. La forma della sua mente, la qualità de' suoi studi, le agitazioni politiche tra le quali visse nella gloriosa vigilia del nostro patrio risorgimento lo trassero a vagheggiare la forma repubblicana e della repubblica, quale l'avevano concepita i pensatori e attuata in Roma Mazzini, si proclamò, sin da giovinetto, cittadino. Gli anni trascorsi nella sua Trani furono per lui di esperimento e di preparazione per più alti severi cimenti.

Era nato per insegnare, e all'insegnamento rivolse con costanza non mai affievolita tutte le sue forze. Il primo frutto delle sue profonde meditazioni fu uno studio Intorno ad una esposizione metafisica delle leggi penali con breve disamina critica dei due codici penali del 1819 e sardo 1859. Lo scritto, tuttavia inedito, è chiaro documento di quanto egli si fosse inoltrato nello studio delle leggi e nella critica degl'istituti giuridici de' quali denunziò le manchevolezze e, non rade volte, gli assurdi. Nel 1863 fu abilitato all'insegnamento delle lingue latina e greca e della letteratura italiana. Più tardi aprì cattedra di diritto con frequenza di studenti, tra i quali è degno di essere ricordato Severino Pappagallo che dalle più umili origini si levò ai più alti gradi della magistratura. La più forte manifestazione della sua potente speculazione (a tacere di una larga messe di articoli in ogni più svariato campo del sapere), egli la dette nel 1864 col Verbo Novello che gli meritò speciale scomunica ed interdetto da Roma. Era un ampio naturalismo provocatore di vendette metafisiche e teologiche non sempre innocue. L'opera geniale è stata magistralmente illustrata dal professor Armando Carlini nel libro dal titolo La mente di Giovanni Bovio. Nello istesso anno apparve in Milano il dialogo Cesalpino al letto di Tasso.

Nel 1866 concorse al posto di bibliotecario alla Sagarriga Visconti in Bari e nel 1867, nella stessa città, alla cattedra di dritto penale. Tutti questi tentativi riuscirono infruttuosi perché le cattedre non furono coperte ed al posto di bibliotecario non fu provveduto. Ciò, forse, lo determinò ad ascoltare la voce di Luigi Zuppetta e degli amici che lo eccitavano a tentare più ardue prove in più vasti ambienti.

Nel 1869, fornito di scarsissimi mezzi, si trasferì a Napoli. Qui fu assunto allo insegnamento della letteratura italiana nell'Istituto Marotta e Del Vecchio e vi svolse un corso di lezioni assai applaudite. «Ben egli è poco, soleva dire, liberar Venezia dai tedeschi, e Roma dai francesi, dove non sappiasi insiem da quelli vendicar l'autonomia del pensiero, da questi la proprietà della parola: che a chi né pensa, né parla da italiano tornerà sempre indifferente se in Venezia rientri il tedesco, il francese in Roma». E davvero nessuno più di Giovanni Bovio pensò e scrisse italianamente. In quell'istesso anno (9 dicembre), prese attivissima parte all'Anticoncilio promosso da Giuseppe Ricciardi, in opposizione al Concilio ecumenico che si era nel giorno innanzi inaugurato a Roma. Fra quelli che aderirono a questa protesta del libero pensiero, ricordiamo Garibaldi, Victor Hugo, Michelet, Quinet, Henri Martin, E. Littrè, Moleschott, Giuseppe Ferrari ed altri. La storia di quello importante avvenimento si legge raccolta in un volume. 

Nel contempo apriva cattedra di filosofia e storia del diritto, e si esponeva a concorso per ottenere l'insegnamento della letteratura italiana nel Liceo Principe Umberto. Vittorioso del concorso, rinunziò al suo diritto perché lo si volle destinare ad insegnar filosofia nel Liceo di Avellino, intanto opere sempre più poderose venivano rassodando la sua fama che già volava dall'un capo all'altro d'Italia più che mai rispettata.

Nel 1872 pubblicò il Saggio critico sul fondamento etico del diritto penale, in cui furono anticipate non poche delle conclusioni alle quali è venuta di poi la scuola positiva; nel 1873 videro la luce i Discorsi politici che furono dalla occhiuta polizia sequestrati. Non è a dire come questa sua propaganda gli mettesse contro tutte le forze della reazione che non rallentarono mai di violenza in combatterlo e ne dettero una prova tangibile negli ostacoli che gli levarono contro lorché nel 1875 si espose al concorso di professore pareggiato in enciclopedia del diritto. Delle polemiche assai vivaci e delle accese dissensioni suscitatesi in tale circostanza vi è larga documentazione ne' discorsi parlamentari, ne' contrasti col Bonghi che Bovio, dimentico delle offese, protesse di tutto il suo credito e della sua autorità quando un provvedimento disciplinare lo colpì nella dignità di professore, nella libertà di scienziato. Il primo anno d'insegnamento universitario segnò il trionfo pieno, entusiastico di quella avventurata missione di apostolo de' più alti ideali di verità, di giustizia e di libertà pe' quali aveva sempre lottato e lottò sino alla morte. Da quest'epoca, la sua produzione scientifica e letteraria si svolse sempre più intensa, come risulterà dimostrato dalla pubblicazione che di questi scritti con alto senso di patriottismo sarà fatta dal Comune di Trani. Appartengono a quest'epoca della maturità del suo pensiero il Sommario della Storia del Diritto, il Corso di Scienza del Diritto e la Filosofia del Diritto, nelle quali opere se da una parte, come è stato già da altri studiosi osservato, il Bovio precorre le dottrine giuridiche più moderne del Durkeim, del Gidding e del Fuillée nel determinare la legge di evoluzione del diritto civile e penale (il diritto civile e penale procedono idealmente e storicamente in ragione inversa), da l'altra riesce ad una definizione dello Stato che molto si avvicina alle ultime e più accreditate conclusioni della filosofia italiana. E qui va ricordato che l'insegnamento del Bovio nella Università di Napoli precorse di molti anni quello del Miraglia (1893) e del Vanni (1901).

Giovanni Bovio, oltreché per la scienza, era nato per la politica, nel senso alto e nobile della parola, così come la intesero Platone ed Aristotele. Oratore magnifico, da ricordare i migliori del Cinquecento, a lui più che noti, familiarissimi; adusato alla critica ed ai dibattiti più aspri dalla cattedra, dai comizi, dai giornali; di vita incontaminata, di morale impeccabile, delle leggi della storia sottilissimo indagatore, si presentava come il tipo ideale del legislatore in una nazione che di nobili esempi e di opere feconde aveva ancor d'uopo per compiere l'unità politica e morale verso cui erasi mossa con tanta fede e con sì sublime abnegazione.

L'onore di mandarlo alla Camera toccò al collegio di Minervino Murge che gli restò fedele fino alla morte. «Gli antecedenti del professor Bovio, scrisse in quella circostanza. Giuseppe Garibaldi, io fanno degno di rappresentare l'Italia in Parlamento».

Bovio pronunziò il suo primo discorso il 19 gennaio 1877 ad occasione del disegno di legge presentato da Mancini per infrenare gli abusi dei ministri del culto. Petruccelli della Gattina in un articolo sulla Gazzella di Torino si fece eco delle impressioni suscitate dall'oratore nell'Assemblea nazionale e definì con parole improntate al più schietto entusiasmo quella eloquenza trionfatrice per impeto di sentimento, per profondità di sintesi, per ricchezza d'immagini, per purezza e nobiltà di forma, per civile dignità e temperanza di parola. «Bovio – egli scriveva – è meridionale; ha aspetto torvo che non invita a fare il primo passo verso di lui; è giovane sui trenta, bruno, riserbato; chiuso in sé. Ha voce di basso forte e sonora. Ha gesto ampio, ma moderato... Chi l'udì una volta desidera riudirlo. Ha vastissima erudizione, erudizione seria, precisa nelle cose italiane... Profuse il Bovio molta dottrina filosofica in un scintillante cliquelis di antitesi, opportune e scelte. Abbarbagliò la Camera. Lo si udì come in un'assemblea di quacqueri; però accompagnato dal continuo rombo di applausi. Quella pila elettrica fascinò perfino Bartolucci. È impossibile rendere, riassumere questo discorso... Bovio espresse le sue speciali idee da tribuno, da oratore da tribuna».

Il contenuto politico dei discorsi è informato alle dottrine di Mazzini (italiano per metodo, uomo per sistema) ed alle intuizioni geniali di Giuseppe Ferrari e di Carlo Cattaneo, celebrati filosofi della rivoluzione; le une e le altre sottoposte al rigore scientifico del naturalismo matematico. In Uomini e Tempi è sintetizzata la funzione dei partiti e dimostrata la superiorità della forma repubblicana il cui avvento indeprecabile, a suo dire, è affidato alla ferrea legge della evoluzione. «La repubblica – egli dice nel suo Corso di scienza del diritto – risolve il problema politico mediante il problema economico e trova la libertà nella proprietà di tutti: essa riconoscendo il principio di causalità nell'economia e rendendo il prodotto al produttore, spegne il proletariato e il privilegio». Frattanto che si maturano con le mutazioni gli eventi l'estrema Sinistra, egli afferma, deve intendere con ogni mezzo a trasformare lo Stato (un male necessario come la famiglia e la proprietà) mutandone i poteri supremi e il patto fondamentale. Di qui due corollari. Il primo che i partiti avanzati per fare la loro via non debbono divorziare dall'ideale, sdegnosi di mezzucci e di piccole opportunità; l'altro che si riassume nella necessità di combattere l'onnipotenza dello Stato accentratore perché non ne riuscisse di troppo diminuito il popolo il cui tipo deve soltanto determinare leggi, diritti, istituti, doveri. Qual è il tipo del popolo italiano? La risposta egli la domanda agli scrittori sacri e profani, antichi e moderni, ai poeti ed ai filosofi, agli storici ed ai novellieri, ai musicisti ed agli artisti e, su tutti, agli uomini rappresentativi del Risorgimento in cui le vigorose e multiformi attitudini della nostra razza (di poi rimaste per lunga pezza come in letargo) si erano trionfalmente in conspetto dell'Europa affermate. Di qui non la realtà storica quale si manifesta nello spazio e nel tempo in questo mondo delle nazioni che, fatto dall'uomo, ne rispecchia i principi della sua mente, ma una geniale ricostruzione ed interpretazione di tipi, fatti, aneddoti, dottrine avvicinati fra loro per le vie più diverse e citati a rincalzo della propria tesi ; un'opera sempre ricca di cultura e smagliante di fantasia; una pura espressione di bellezza, intensamente sentita; una limpida fonte di elevazione spirituale mossa dalla forza incoercibile del dovere, presupposto e fondamento saldo d'ogni civile progresso. In sostanza il tipo italiano, ch'egli crede d'avere sicuramente definito, non è che il prodotto de' suoi gusti, specie artistici e letterari, e della sua anima insofferente di freni meccanici e che sentiva della libertà in modo assai vicino all'anarchia verso della quale, era solito dire, saliva la ragione francata di metodi e di pregiudizi. Questi suoi apoftegmi assegnavano tra i compiti più urgenti del partito repubblicano nel campo dell'azione pratica: la rivendicazione della, sovranità nazionale sino al suffragio universale, garentito dal più largo scrutinio di lista e dalla indennità ai rappresentanti; la laicità dello Stato, che a sua volta laicizza la scuola e libera dal giuramento tutti gli uffici derivati dal mandato pubblico; la libertà dello insegnamento superiore, perché dalla libertà di scienza procede la libertà di coscienza; e il diritto del lavoro, emancipato dall'arbitrio del capitale e premiato dal prodotto. E furono questi i temi favoriti ed i motivi principali delle sue orazioni, la parte viva del suo apostolato. Il dissidio tra la concezione ideale e la realtà contingente era insanabile e spesso si manifestava in una forma così stridente da rendersi manifesto anche a' più mediocri che da ciò toglievano argomento e pretesto a critiche ingiuste o faziose. Gli esempi? Eccone qualcuno. Il partito clericale combatte per la conquista dei pubblici poteri anche con le armi spirituali? Ed egli si oppone a qualunque legge eccezionale perché il nostro genio precorse la riforma con la protesta morale di Dante, giuridica di Valla, politica di Machiavelli, filosofica di Pomponazzi; perché la coscienza italiana non terne l'Europa nera a cui risponde con l'arma terribile del sorriso, perché a dirla con Erasmo: Omnes Itali sunt athei.

L'onorevole Depretis presenta un disegno di riforma della legge elettorale politica? Ed egli si fa a sostenere l'allargamento del suffragio perché l'italiano non è popolo di rapidi concitamenti, di bollori estemporanei, di trabalzi incauti: è erede di quel senno latino che compendiava ogni moto civile in questa sintesi mirabile: Festina lente.

In alto e in basso scoppiava il dissidio tra la libera docenza e l'insegnamento ufficiale? Ed egli si faceva presentatore d'un disegno di legge poggiato sulla obbligatorietà e la libertà contro lo Stato che, intervenendo nella determinazione dei principi e nell'indirizzo dei metodi, non fa che sostituire al sillabo pontificio il sillabo politico.

Ognuno tragga da sé la conseguenza di simili affermazioni. L'altezza del pensiero, disposata alla nobiltà del fine a cui l'orazione era rivolta ne plasmava lo stile che era come un parlare per sentenze, per aforismi, per dignità che, disposti con metodo, possono formare una raccolta autorevole di precetti e di massime per il cittadino della nuova Italia quale egli la vagheggiava, una d'armi e di lingua entro i suoi confini naturali. Nessuno ebbe più di lui chiara la visione del conflitto indeprecabile con l'Austria e sentì più urgente la necessità di tenersi preparati al cimento contro la politica accademica del disarmo ch'egli denunziava come un abile gioco di Bismarck. «L'Austria – egli scriveva – è uno Stato senza nazione, l'Italia è uno Stato che deve compiere la nazione a spese dell'Austria. L'una è una espressione diplomatica; l'altra è una espressione geografica. Sono dunque i termini della più flagrante contraddizione innanzi al nuovo diritto pubblico, innanzi a tutta la nuova civiltà europea. Il compimento dell'Italia che non sarà mai l'Italia con l'Austria in casa è una condanna di esilio dell'Austria, costretta ad orientarsi se le nazioni slave potessero consentirle una ospitalità pericolosa. De hospite hostis.

«L'Austria trovasi a gran disagio tra l'impero tedesco, inteso a germanizzarsi, l'impero russo inteso a dilargarsi quanto la Slavia e il regno italico tirato verso le sue naturali frontiere. Ad essa gioverà sempre un buon colpo di accetta sull'Italia donde mosse la scintilla.

«La scintilla, dico, cioè la missione dell'Italia, che oggi si concreta nel principio di nazionalità, il quale trasformando la carta d'Europa, è il verme roditore dell'Austria.

«Chi oserà parlare di pace?».

Parole altamente profetiche che i favoreggiatori della triplice alleanza non debbono dimenticare.

Presidente dell'associazione per l'Italia irredenta la difese strenuamente contro amici politici, che non ne dividevano il concetto, ed avversari timorosi di compromettere il capolavoro della nostra politica servitù. Il suo patriottismo trovò accenti epici nel dì 9 ottobre '82 quando nel più eloquente dei suoi impeti oratori disse:

«Il conseguimento del nostro territorio, la signoria dei mari finitimi, l'alta protezione delle nostre, colonie, e l'esplicamento ampio dei nostri commerci sono i cardini d'una politica estera elettiva. A nessuna simpatia posponemmo il diritto e il decoro nazionale, e quando la Francia infelloniva a Tunisi dall'estrema Sinistra si udì un ammonimento: Al confine non vi sono partiti, ma italiani». E chi senti mai più italianamente di lui che volle una cattedra a Dante che tutta riassume in sé e comprende la dottrina e la tradizione della nazione? Chi del genio latino, di Roma e della sua missione storica nel mondo disse con più luce d'ingegno e splendore di forma di lui? Chi più e meglio di lui vide e denunziò i pericoli del pangermanesimo? Certo in questo punto la dottrina collimava con la pratica, il pensiero con l'azione, mentre gli avvenimenti hanno chiarito tutto il contenuto realistico delle sue previsioni.

Bovio preparava i suoi discorsi e, spesso, li menava a memoria. Nel dirli, però, li avvivava in guisa da sembrare improvvisati. Alle interruzioni rispondeva pronto ed efficace e molti Mazzarella furono dal suo umorismo costretti a battere in ritirata. Questo suo metodo, del resto, corrispondeva ai più corretti dettami dell'eloquenza parlamentare la quale, al dire di Angelo Majorana, «richiede, di solito, una preparazione maggiore che non qualsiasi altro genere d'oratoria». Quanti confondono la chiacchiera vuota e disordinata con l'eloquenza, e si fanno a protestare contro que' pochi o molti che leggono o recitano i loro discorsi faranno bene a ricordare che la loro critica va a colpire, a tacere di altri antichi e moderni, Miràbeau, Vergniaud, Robespierre che usarono di tali metodi e salirono in fama di grandi oratori. Non togliamo certo il merito agl'improvvisatori, tra' quali come aquila vola Danton, ma la loro eloquenza aspetta tempo ed occasioni propizie ed in tutt'altre si appalesa disadatta e manchevole. Del resto, all'infuori del banale, ogni stile è buono. La volgarità, ecco il nemico al quale le assemblee non hanno mai perdonato.

La consuetudine di trattare argomenti di carattere nazionale; di mirare dalla tribuna più che agl'interessi di parte a quelli del paese, più che al fatto di cronaca alla storia, gli concitava contro lo spirito dei mediocri pe' quali i fini son nulla e tutto si riassume nelle particolari, immediate utilità. Egli, perciò, veniva accusato di essere un ideologo buono alle alte speculazioni della metafisica ma per nulla adatto alla cura minuta delle anime, de' bisogni e degli appetiti d'un collegio elettorale. Certo Giovanni Bovio respingeva da sé, per salda, granitica costituzione morale, tutto ciò che potesse lontanamente offendere la purezza della sua anima immacolata. Gli atti parlamentari, però, testimoniano della sua operosità per tutto che si riferisse alla elevazione economica, intellettuale e morale della regione pugliese allora, più che mai, bisognevole d'aiuti. Ed egli rivendicando la paternità di questo lavoro fatto con amore intenso e costanza così scriveva al venerando patriota Metello Corsi che, con Federico De Venuto e Giuseppe Rinella, tenne ambo le chiavi del cuore di quel grande:

«Non è vero che io mi occupo soltanto della grande politica: fui dei primi ad escogitare il disegno dello acquedotto pugliese; venni a Bari per propugnarlo; invitai consiglieri provinciali e rappresentanti politici, e non vennero. Allora io parlai a Bari e dissi pubblicamente amare parole contro gli uni e gli altri e senza smettere il disegno, tornai a Roma. Coi colleghi Imbriani e Pansini presentai alla Camera un disegno di legge e, insistendo, ottenemmo che Rudinì, presidente del Consiglio, avocasse a sé l'iniziativa. Allora tutti quelli che non credevano, cominciarono a credere. Nondimeno, molte insidie e cupidigie personali trassero in lungo la cosa, ed io presentai una interpellanza. Ieri, poi svolgendo alla Camera l'ordine del giorno della Estrema, scaricai innanzi al Parlamento un'accusa enorme. Parlai di ladri. Ricordi che nel Comitato dei sette non temei compiere il mio dovere anche contro miei amici personali».

Tutti devono riconoscere (contrariamente a quanto finora è stato pubblicato) che Giovanni Bovio nella lotta per dotare di acqua potabile le popolazioni di Puglia ha un posto d'onore che dev'essere ricordato.

Nell'ascensione verso le più alte vette della rinomanza e della gloria lo angosciavano fortemente le strettezze familiari, lo stato malfermo di sua salute e la difficoltà in cui lo metteva la politica di occuparsi dei suoi studi prediletti. Aveva frattanto sposato la signorina Bianca Nicosia dalla quale gli erano venuti due figliuoli: Corso e Libero. Ciò era causa di maggiori angustie per il suo animo grande. Nelle sue lettere, delle quali ho una larga raccolta, si coglie spesso tutta l'altezza della lotta che egli combatteva entro di sé e lo sforzo gigantesco per uscirne vittorioso. Eccone dei brani: «Io non voleva portafogli, non ricchezze, ma un po' di salute per lavorare; ho trovato troppo invidiosa la fortuna. Il certo è che tutte le mie cose private vanno in rovina e che non arrivo (questo è il danno maggiore) a pubblicare il Naturalismo, che mi costa quasi trent'anni di lavoro e di ricerche». E fu profeta. L'opera che doveva stringere in un sistema tutto il conoscibile non venne anche perché la morte lo incolse nel meglio del suo aspro lavoro. Il Naturalismo, di cui abbiamo oggi dei preziosi frammenti, era rivolto (a dirla con le parole del maestro) a dimostrare che le leggi della natura (costanti ed universali) fanno una legge sola; che questa legge nel pensiero, assumendo coscienza e nome, si formula nei principio di reciprocità, onde procedono i così detti assiomi che governano le singole discipline; che dal pensiero versandosi nella storia, la reciprocità si impone come alto fine verso cui la storia sale di continuo senza raggiungerlo mai, a traverso gli evi, i periodi, le generazioni e che dentro questa necessità della legge cessa l'età dei miracoli nella natura, nel pensiero e nella storia. La storia si fa pensata, il pensiero si fa naturale.

Poeta, letterato, oratore e drammaturgo si ebbe lodi dal Guerrazzi, dal De Sanctis, dal Carducci, da Victor Hugo, che lo chiamò intelletto universale, da Aurelio Saffi, da Paolo Perez, da Antonio Tari, da Pasquale Stanislao Mancini, che ne apprezzò gli studi danteschi, ed, a tacere di moltissimi altri, da Mario Rapisardi che lo raffigurò in questi versi:

In quel pallido volto, onde traspira 

Con prudenza profonda animo antico, 

L'intemerato onor di Trani ammira,

Dal cor di Bruno e dal pensier di Vico. 

Di torve sètte fra le insidie e l'ira 

Sereno Ei passa e sol del Vero amico, 

D'aquila al par che la nebbiosa via 

Trascende e nella luce amplia s'oblia.

A Bovio, però, fu sempre avversa la scienza aulica che gli si mantiene ancora irragionevolmente ostile. Dopo le polemiche a base di esegesi e di dizionari dovette difendere i suoi drammi dalla furia clericale che, per punirlo del suo ateismo, non gli dette quartiere. Le risposte ai suoi critici, forti di pensiero e riboccanti di spirito combattivo, mostrano l'abisso che intercedeva tra lui ed i grammatici spulciatori di testi.

La sua fede repubblicana non gli vietò d'intendere il moto gigantesco che si veniva compiendo anche da noi in nome del socialismo. «Io – egli diceva – non intendo repubblica senza la soluzione di gran parte del problema sociale, né modo di codesta soluzione fuori di una repubblica democratica. Scrisse su tale argomento pagine eloquentissime, ma ammonì che la quistione sociale, esigenza umana ed universale, non doveva essere separata da quelle quistioni politiche che sono esigenza viva della nazione e dello Stato. Tra queste, primissima, la politica ecclesiastica che non è morta se non per i troppo cauti e troppo ciechi. Gli riusciva però difficile comprendere come «tanti in meno d'un'ora diventassero socialisti, e proprio contro di lui capitalista e gonfio di denaro bancario». Insignito della laurea di avvocato ad honorem, se ne servì due volte soltanto, una per difendere Alberto Mano e l'altra i socialisti accusati di associazione a delinquere, ma dai Tribunali si ritrasse spaventato perché «il sistema giudiziario, com'è di presente, non si concilia con la verità». Nessuna battaglia per l'acquisto delle più ardite riforme lo trovò estraneo ed indifferente. Ricordiamo, fra le tante, quella per il suffragio universale, felicemente oggi conseguito, e l'altra per l'abolizione del giuramento. «Le parole giuramento politico – egli scriveva – sono una contradizione nei termini: il giuramento se non è religioso è vuoto: se non è sacro è un'ironia».

Il suo temperamento fra lo stoico ed il socratico gli temprò l'animo a serena dignità ed a magnanima tolleranza. Armato di superba fierezza contro i potenti e gl'ignoranti in veste di dottori, aveva per norma di vita l'equità, il sentimento buono che in breve lo pose in alto, al di fuori e al di sopra di tutti i partiti giudice invocato e temuto. Ebbe profonde amarezze e non se ne dolse, chiuso nella rocca della sua coscienza adamantina, nella fede immensa nella forza del vero e nelle leggi riparatrici del tempo. Se mai qualche onesta vendetta trasse con l'umorismo le cui punte temprò sempre al fuoco della più squisita urbanità. Nei casi fortunosi della sua travagliata esistenza non dimenticò mai Trani, a cui fu sempre rivolto il suo pensiero, nonostante alcuni increscevoli episodi, che egli volle e seppe dimenticare E lo dimostro nella forma più commovente quando con le ferite aperte e sanguinanti venne tra i suoi concittadini a rinsaldare l'antico vincolo d'amore, a perdonare le offese prima di volgere gli occhi all'ombra eterna. Aveva compiuto il suo grande apostolato col più profondo disprezzo delle materiali utilità; aveva rifiutato l'oro dei banchieri francesi con una lettera vibrante di sdegno e di magnanima fierezza.

Nel giorno della sua morte mancarono i denari pel funerale! 



CAMERA DEI DEPUTATI - Tornata pomeridiana dell'8 giugno 1896

Società segrete

L'onorevole Bovio svolgeva interrogazione al presidente del consiglio, ministro dell'interno, intorno ai suoi intendimenti su tutte le società segrete, specialmente su quella che educa i giovani ad odiare la libertà e la Patria ed ha dovunque i suoi rappresentanti:

Bovio. Da non poco tempo vedo in questo e nell'altro ramo del Parlamento un certo moto contro le società segrete, che a me par diretto contro una sola associazione, che è universale, e sembra parte di un moto più largo, del rialzarsi di un certo spirito guelfo, che non può passare senza un qualche momentaneo pericolo.

E bene, affermo anch'io che, passato il tempo di lottare nell'ombra contro la tirannide laica e sacerdotale, oggi tutto possa discutersi alla luce aperta. Io credo che a tempo non lontano la Massoneria universale porterà in pubblico le sue deliberazioni; e qui, come dovunque, come sempre, sciolto da ogni vincolo, io parlo per conto mio.

Si alza la voce contro le società segrete e si allude ad una sola. Ma che dite voi di una società piena di misteri, d'intendimenti e di mezzi occulti, di quella famosa Compagnia, che educa tanta parte della gioventù ad odiare la libertà e la patria? di quella in cui la giustizia sociale si chiama brigantaggio, la capitale d'Italia non si chiama Roma, e che alimenta una stampa impudica per calunniare gli uomini più onesti? Ho qui un giornale di quella setta, che sotto una circolare contro l'eucaristia segna il mio nome, il nome d'un uomo nemico delle cose volgari e sciocche. A qual fine? Per la questua in chiesa, e per esporre me all'ira altrui. Che ne dicono le leggi penali? Io non le invoco per il mio profondo disprezzo contro l'impostura, ma il Governo giudichi qual è la setta.

Ora qual valore, qual costume, qual carattere possono avere i giovani educati in queste officine tenebrose? Il Governo sa che mezza Roma appartiene a questa setta, che maneggia vasti capitali, manda dovunque i suoi rappresentanti, e si impadronisce persino del Pontefice.

Il Governo conosce la piramide simboleggiata da questa Compagnia: sotto i popoli, sopra i principi, sui principi i cardinali, sui cardinali il papa bianco, e lì dietro il papa nero. (commenti) Pochi pontefici arrivarono a liberarsene con loro pericolo.

Che fa lo Stato nuovo? A poco a poco si lascia invadere da questo spirito gesuitico. Non si osa più dire e fare ciò, che in giorni più liberi si diceva e si faceva. Pochi anni fa nella Camera molti insorsero contro Baccelli per aver nominato professore Roberto Ardigò, e non furono mai biasimati Mamiani e Mancini che chiamarono ad illustrare la cattedra italiana Giuseppe Ferrari ed Augusto Vera.

Si fa peggio ancora: si concedono exequatur e placet senza riserve. Vorrei sapere: è vero che si medita un disegno di legge per abolire questo diritto dello Stato?

Io penso che una successione pontificia può sorprenderci. È vero che il Governo ha il suo candidato di accordo con la Francia? Io vorrei che il candidato non fosse anche quello della famosa Compagnia.

Pensate, onorevole presidente del Consiglio, che i maggiori pensatori nostri cercarono liberare lo Stato italiano dagli influssi invisibili di quella Compagnia. Oh la setta è lì: la setta che non perdona a Rosmini, che fu chiamato il santo prete di Rovereto, che non perdona a Gioberti, che nel Rinnovamento intese liberare l'Italia dalle sette, e che condannò alla miseria gli ultimi anni sin del padre Curci. (Bene! - commenti).

Questa setta diffonde per l'Italia il volterianismo cattolico, la peste peggiore che possa invadere una nazione: il volterianismo cattolico, che non è né la fede, né la scienza, ed è l'ipocrisia.

Ne parlerò a lungo in altra discussione, Ora vi dico: vigilate! (Bravo! Bene!)


Tornata del 10 giugno 1887

Stato e Chiesa

L'onorevole Bovio svolgeva interrogazione ai ministri dell'interno e di grazia e giustizia sulla politica del Governo verso il Vaticano.

Bovio. (Segni d'attenzione) Onorevoli signori. Innanzi alla legge scritta, buona o mala, delle guarentigie, io era disposto ad udire ieri (*) una breve dichiarazione del Governo, a prenderne atto e andar via. A discorsi non ero disposto. Ora che per sapere ho dovuto piegare la mia domanda alla forma d'interrogazione, dirò poche parole, quante occorrono pel sì o no.

Ed il Governo si è affrettato a rispondere, perché ha inteso che, dopo l'errore di Africa, nessuna grande quistione si ha da nascondere al Parlamento, e che un Parlamento, il quale patisce che le quistioni più vitali gli siano sottratte, ha già abdicato.

Nondimeno a qualcuno è parsa dubbiosa l'opportunità di questa mia interrogazione sulla politica del Governo verso il Vaticano. Di quale opportunità si parla?

Se di quella che, per constatare la possibilità di un avvenimento assai grave nella politica di un paese, ha bisogno di mettere insieme un cumulo enorme di fatti minuti e mediocri, questa opportunità è passata, sin da quando abbiamo vedute le tante blandizie onde il Governo ha letificato l'alto clero, fattosi padrone di tutte le solennità civili e di tanti onori che derivano dallo Stato, sin da quando abbiamo veduto molte restaurazioni di ordini frateschi, e relazioni e carezze e condiscendenze, che hanno creato intorno a noi, sotto specie di tolleranza, una vasta bugia, che si chiama fede di uomini non credenti. Cosa innocua pare questa fede d'increduli, ed è questa che crea la falsità politica, la falsità letteraria, sin la falsità de' bilanci, e fa dello Stato una bugia come del Tempio. (Approvazioni).

L'opportunità de' fatti minuti, che hanno creato l'ambiente, è passata, ed ora c'è l'opportunità determinata da' fatti grandi, aperti, e sono l'allocuzione del pontefice, le pubblicazioni quasi ufficiali uscenti dalla Curia, le discussioni della stampa italiana e straniera, le discussioni più ardenti che odo negli ambulacri del Parlamento e la politica infida de' nostri alleati. Chi dice dunque che l'opportunità non c'è, è un uomo che ha emigrato da sé stesso.

(*) In fine della seduta precedente l'onorevole Bovio chiedeva sollecita, risposta alla sua interpellanza su questo argomento e, per affrettarla, consentiva, su preghiera del ministro, a convertirla in interrogazione.

E neppure avrebbe questa legge un significato politico; perché, se fosse voluta da noi, svelerebbe debolezza nello Stato; e se consigliata da qualche potente straniero, sarebbe un'offesa al sentimento nazionale. (Bene! Bravo!

Di veramente politico, di veramente fecondo in Italia non ci sarebbe che una libera lotta tra noi e il Vaticano, lotta che sforzerebbe noi a progredire nella scienza e nella legislazione ed il Vaticano a illustrare le sue tradizioni, ad acuirci coi suoi dogmi. Ad ogni scoperta, ad ogni moto del Vaticano, lo Stato contrapporrebbe una sua scoperta, un suo moto. Da una parte si eleverebbe tutta la patristica, dall'altra parlerebbe tutto il mondo moderno, ed in Roma, senza urtarsi, parlerebbero due mondi. Ciò farebbe la meraviglia delle nazioni. Tolta questa lotta, che cosa saremmo e che ci resterebbe? 

La conciliazione sarebbe acqua stagnante, un patto di mutua mediocrità tra lo Stato e la Chiesa, un papa mezzo principe, uno Stato mezzo cattolico, in un terreno comune, fungheggiante di mezze istituzioni, mezzi uomini e mezza religione. (Bene! a sinistra). 

Allora, tra Stato e Chiesa cotali, Cristo sarebbe veramente diviso.

In un altro modo si ha da fare la conciliazione: il prete si ha da conciliar meglio con la religione; noi dobbiamo conciliarci meglio col nostro diritto pubblico, troncato o deviato nella sua evoluzione; conciliarci con la coscienza italiana che ci ha condotti a Roma ed ora non si sente ben rappresentata da noi; conciliarci anche noi con la religione di un grande pensiero, col quale si parla da Roma, col quale si risponde al Vaticano, e senza del quale non è necessario e neppur tollerabile che l'Italia ci sia. (Vive approvazioni da tutta la sinistra). 

Dopo le risposte del ministro guardasigilli onorevole Zanardelli, e del ministro dell'interno, onorevole Crispi, l'onorevole Bovio se ne dichiarava soddisfatto, pur scorgendovi alcune reticenze che gli uomini di Stato debbono imporre a se stessi.


Tornata del 30 Luglio 1895

Chiesa e Stato 

Iniziata la discussione del bilancio dell'interno, gli onorevoli Vendemini e Berenini dichiaravano, in nome dell'estrema Sinistra, di non prendere parte alla discussione del bilancio di un ministro che è sotto processo e che aveva rinviata la discussione della interpellanze sulla politica interna. L'onorevole Bovio, che aveva presentato un ordine del giorno per invitare il Governo ad una più ferma e decisa politica ecclesiastica, dichiarava. 

Bovio. I miei amici sanno che io non ho consentito con loro nel proposito di abbandonare la discussione. L'ho detto loro apertamente. Avrei desiderato oggi che tutte le Opposizioni fossero state qui al posto loro, tanto a destra che a sinistra, che in questi estremi banchi della Camera, per discutere i diritti più alti, più sacri del paese, specialmente poi si doveva discutere, ad esempio, di alcuni capitoli relativi ai fondi segreti. Questo era il desiderio mio. Radicalmente avverso al Governo, io non mi sento di poter commettere la libertà di coscienza a nessun partito, a nessun gruppo, specialmente sulle questioni fondamentali. Ma perché non si creda che la mia condotta sia determinata dalla vanità di fare un discorso io rinunzio alla parola lungamente pensata, che doveva dire, e resto protesta muta contro tutti gli atti del Governo e rimprovero alle varie Opposizioni, che qui oggi non hanno combattuto. (Approvazione). 

Però, avendo dopo di lui parlato gli onorevoli Afan de Rivera, Fili-Astolfone, Cambray-Digny e Salaris, i quali due ultimi proponevano ordine dal giorno di fiducia nel Governo, l'onorevole Bovio aggiungeva: 

Bovio. Mai come oggi mi è costato il rinunziare alla parola, ma mantengo il mio proposito. 

Avrei voluto, come ho detto, larga e profonda la discussione. 

Voci. Fatela: chi l'impedisce? 

Bovio. Cose interessantissime, quante altre mai, si dovevano discutere. Io poi aveva portato al banco della Presidenza un ordine del giorno intorno a materia della quale la Camera da lungo tempo si è interessata. Non è cosa da pigliarsi a gabbo la politica ecclesiastica in uno Stato nuovo, specialmente in Italia. Altre volte ne abbiamo discusso con l'onorevole presidente del Consiglio e con l'onorevole Zanardelli, quando sedevano allo stesso banco. Oggi l'onorevole Crispi mi ha risposto con le parole d'allora.

E buona coerenza per lui. Ma di ciò lo rendo avvisato, che i tempi sono mutati. Oggi la politica ecclesiastica ritorna all'antico, ma è più pericolosa.

Nel primo momento c'era il non possumus; nel secondo periodo si mostrarono certe tendenze conciliative della Chiesa. Oggi si ritorna all'intransigenza, ma non come prima, bensì col proposito di combattimento. Questo combattimento comincia nelle lotte municipali. E dei Municipi gli avversari dichiarati dello Stato nuovo vogliono impadronirsi. Lo sapete tutti: dopo i Municipi vogliono mirare a più alto. E quando l'onorevole presidente del Consiglio, Francesco Crispi, mi rispose la prima volta, per la Chiesa era un periodo di aspettazione; oggi è un periodo di combattimento. Il tempo è mutato. Pensi lei, quando si saranno impadroniti dei Municipi, quale sarà il secondo passo, e provveda in tempo.

Io ho detto di rinunziare alla parola e insisto.

Basta l'accenno, che ho dato, perché il Governo dello Stato sia avvisato dell'avvenire che sovrasta e dei provvedimenti che opportunamente deve prendere.

La Camera approvava per alzata e seduta l'ordina dei giorno di fiducia degli onorevoli Salaris e Cambray-Digny.


Tornata del 1° luglio 1897

Clero povero

Durante la discussione generale del bilancio di grazia e giustizia e dei culti, l’onorevole Di Cesare aveva svolto un ordine del giorno per invitare il Governo a fare un’inchiesta su quanto si era fatto dal 1891 nell’amministrazione delle Chiese Palatine di Puglia, ed affrettare la separazione del patrimonio proveniente dal clero secolare destinandolo ad accrescere le congrue parrocchiali. Dopo di lui l’onorevole Bovio svolgeva ordine del giorno per invitare il ministro di grazie e giustizia a limitare il numero esorbitante delle mense vescovili, volgendone il risparmio a beneficio del clero povero.

Bovio. Dirò pochissime parole. Me ne dà voglia il discorso dell'onorevole De Cesare. Egli ha domandato se il deputato di Acquaviva delle Fonti era presente, ed ha ricordato un'interrogazione dell'onorevole Imbriani del 1894: ma non ha ricordato un'altra cosa, ed è che la questione di venire in aiuto del Clero inferiore non è nuova alla Camera italiana: è stata qui altre volte sollevata da me (ed io oggi sono lieto dell'aiuto suo, però con diversità di propositi) dall’amico Vischi e da altri deputati.

Ma la differenza è semplicemente questa, che nel discorso dell'onorevole De Cesare mi par di vedere un sottinteso, la conciliazione.

Di questi sogni non ne feci mai.

Sono lieto, ripeto, del suo aiuto ma il sottinteso proposito è diverso. Libera la Chiesa, onorevole De Cesare; libero lo Stato. Ciascuno dei due grandi istituti nel campo suo.

Onorevole ministro, io so che con lei è difficile contendere. Ma neppure a lei, signor ministro, è facile serbare a lungo quel metodo di lotta che vince l'avversario, non vince la quistione, la quale, dopo il duello, risorge tale e quale.

Non è nuova, io diceva, questa mia proposta alla Camera, in favore del proletariato della Chiesa; è uno dei punti che derivano dal mio modo di vedere la politica ecclesiastica.

Nella Chiesa accade ciò che in tutti gli altri ordini: la Chiesa è ricca, dispone di mezzi considerevoli spirituali e materiali, ve ne accorgerete più tardi; ma il clero inferiore è povero; e qualcuno di questi preti poveri si è rivolto anche a me, che non sono uno stinco di santo. (Si ride) Tutt'altro.

Questo a me dovrebbe importar poco; dovrei dire: se la sbrighino tra loro. Ma positivamente non posso dire così. Per dire a tanti: non vi fate preti, bisogna ignorare l'organismo sociale. Politicamente debbo esaminare se vi sia anche in questa faccenda una funzione di Stato.

Certo, noi abbiamo in Italia un numero di vescovi assai più grande che in ogni altro paese cattolico; abbiamo che le loro mense vescovili salgono ad una media che farebbe contento ogni vecchio barone; abbiamo giù un numero grandissimo di preti che quando qualche giorno non arrivano a rinfrescare l'anima di un morto non sanno come riscaldare il loro corpo; ed abbiamo più su i diritti dello Stato, che può scemare il numero delle mense vescovili, coi mezzi che lo Stato possiede.

Dunque è il caso di ripetere: se può, deve.

Deve, perché viene a diminuire il numero di nemici potenti allo Stato; deve, perché volgendo a benefizio del clero povero le mense risparmiate, disarma una parte del clero e lo mette in grado di avvertire gli effetti della vita nazionale; deve, perché dovunque penetra l'equità entra insieme il diritto di far valere le leggi proibitive contro le monacazioni e le abolite corporazioni che risorgono tutte; deve, per tante altre ragioni che non si dicono, ma che il vero uomo di governo coglie a volo.

E qui mi piace ripetere un aneddoto che altra volta ricordai alla Camera.

In una chiesa di Napoli il clero superiore chiedeva atto di genuflessione dal clero inferiore; negava il clero inferiore prestare quest'atto di genuflessione nel presbiterio. Il clero superiore era difeso da un avvocato insigne, cospicuo, antenato del nostro Imbriani, quel Poerio che fu tanta parte della gloria nostra!

Il clero inferiore era difeso da un altro valente giurista, Pasquale Borrelli, il quale, così cominciava dinanzi al magistrato la difesa sua: «Caso strano, o giudici, oggi si presenta innanzi a voi. Ministri di Dio nel tempio di Dio chiedono atti di genuflessione da loro fratelli. Eppure gli uomini in tre luoghi sono tutti eguali: nei cimiteri innanzi all'unità della morte; nei tribunali dinanzi alla unità della giustizia, e nelle chiese innanzi all'unità di Dio».

E come – disse un vicino – tu profondo pensatore materialista ed ateo hai potuto proferire quelle parole?

Ed egli al vicino: «Sapete che la difesa del clero inferiore è una delle prime necessità della politica italiana, convenendo spezzare la gerarchia».

Questo io ripeto a voi, onorevole ministro, che se il mio ordine del giorno accetterete, più che un giurista valente come siete, vi dimostrerete un uomo politico ed un uomo di governo. (Bravo - Approvazioni).

Dopo la risposte del ministro di grazia e giustizia e dei culti onorevole Costa, l'onorevole Bovio replicava:

Bovio. L'onorevole ministro ha detto che questa legge potrebbe molto turbare la coscienza italiana, ma io una cosa vorrei sapere dall'onorevole ministro, che tante cose belle dice: vorrei sapere quale è stato il progresso civile che non abbia turbato qualche classe, qualche ambiente.

Non siamo noi, onorevole ministro, entrati in Roma turbando tante tradizioni? E dovremo temere di fare una legge, la quale sia il completamento del disegno laico dello Stato per paura di turbare i piccoli interessi e quella coscienza religiosa che può essere anche volteriana?

Noi dobbiamo camminare sulle traccie del nostro pensiero, dobbiamo compiere il disegno dello Stato laico.

L'onorevole ministro ha detto che molti deputati sollecitano da lui gli exequatur. Per fede? No, onorevole ministro, per esigenze elettorali.

Ebbene, giacché ella sorride, mi compiaccio di questo suo sorrisetto italiano.

Per conseguenza noi non dobbiamo temere queste sollecitazioni, ma dobbiamo invece studiare i mezzi che tronchino le sollecitazioni medesime e ci mettano per la via del progresso. Di una cosa veramente, onorevole ministro, mi congratulo con lei, ed è che le sue ragioni, addotte per non presentare la legge, mi fanno però intendere che la legge può esser fatta dallo Stato. Ella non l'ha negata questa potestà.

Costa, ministro di grazia e giustizia e dei culti. Non la nego.

Bovio. Questo è stato il punto buono, il migliore del suo discorso. Si era conteso se lo Stato avesse, o no, questa facoltà, ed ella questa facoltà non l'ha negata al potere civile; ha detto soltanto che vi sono delle ragioni di opportunità.

Ebbene, quella che può essere un'opportunità per lei ministro, non può esserlo per me e pel seggio dove io sono. Non potendo ella presentare la legge, tocca a me il presentarla; e la ripresenterò nei suoi disegni e profili precisi. Dimodoché divisando e proponendomi di far questo, ritiro l'ordine del giorno.

(Bene!)


Fonte: Gianfranco Murtas
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